Matrimonio d’Interesse – Marilena Boccola

SINTESI DEL LIBRO:
Londra, Hyde Park – 19 aprile 1813
Devo proprio ammettere di aver passato il segno, si disse Thomas
avviandosi verso il luogo concordato. Se suo zio fosse venuto a conoscenza
di quella faccenda gli avrebbe senz’altro fatto una lavata di capo senza
precedenti, ma già da qualche anno Edward non era più il suo tutore e del
resto cosa ci poteva fare se il tavolo da gioco e le donne erano le sue
passioni?
Non necessariamente in quest’ordine… gli scappò un sorrisetto al pensiero
della focosa rossa naturale – come aveva avuto modo di appurare
personalmente – nel cui letto aveva dormito quella notte, approfittando
dell’assenza del marito. Dormito era una parola grossa a volerla dire tutta;
giaciuto in senso biblico sarebbe stato forse il temine più adatto, si corresse
mentalmente, compiacendosi con se stesso, sebbene una vaga inquietudine gli
serpeggiasse nell’anima.
A quell’ora, la folta vegetazione che lo circondava gli faceva apparire
Hyde Park come un immenso polmone pulsante che sembrava allargarsi e
stringersi attorno a lui in maniera minacciosa, come un respiro soffocante.
Doveva trattarsi per forza di una suggestione, cercò di rincuorarsi, mentre
procedeva cauto nell’oscurità che anticipa l’alba, nella cui coltre nera si
celavano senz’altro animali selvatici e uccelli notturni dai versi striduli che lo
facevano rabbrividire, senza contare i malintenzionati che sarebbero potuti
sbucare fuori da un momento all’altro dai fitti cespugli.
Con quell’ultima considerazione, i suoi pensieri avevano compiuto una
specie di cerchio riportandolo alla riflessione iniziale: quella volta aveva
davvero passato il segno. Sfidare a duello nientemeno che un vecchio Barone
sfondato di quattrini, solo perché questi lo aveva offeso dandogli del bastardo
– a un Duca! – dopo aver perso a carte contro di lui, non era stata una gran
bella idea. Avevano bevuto in eccesso entrambi e le parole erano volate ma,
anche dopo qualche bicchiere di troppo, Thomas era ancora perfettamente in
grado di comprendere che il suo avversario non era altri se non un povero
cristo che faceva ricorso al gioco per sfuggire a chissà quale pena.
D’altra parte, a venticinque anni si riteneva decisamente troppo giovane
per perire, nonostante l’idea di affrontare la morte lo eccitasse quasi quanto
sfidare le convenzioni sociali alle quali Edward, il fratello della sua
compianta madre, lo richiamava puntualmente. Ma faceva parte del gioco,
no? Era divertente interpretare la parte dello scapestrato agli occhi di uno zio
che in fondo aveva solo pochi anni più di lui, benché apparisse sempre così
impettito e rigido – soprattutto con se stesso – come la disciplina marziale gli
aveva insegnato, dato che in qualità di figlio cadetto di un Marchese aveva
scelto di intraprendere la carriera militare.
«Ti sei dimenticato dei tuoi doveri nei confronti del Ducato e della
Corona» lo avrebbe senz’altro rimproverato Edward facendogli la consueta
manfrina. Gli sembrava quasi di sentire le sue parole confondersi con i fruscii
provenienti dalla boscaglia, mano a mano che si avvicinava alla radura in cui
si era dato appuntamento con il Barone Ashcroft. Certo che la questione
dell’erede era una vera seccatura!, protestò per l’ennesima volta tra sé. Tutti a
stargli addosso a quel modo… e se lui avesse voluto sperperare tutto il suo
denaro in una vita di piaceri senza pensare di mettere al mondo dei figli? La
morte precoce dei suoi genitori costituiva per lui un costante monito; a cosa
sarebbe servito sposarsi, avere una discendenza, far fruttare i propri beni e
compiacere il Ton se in fondo tutti ma proprio tutti, indipendentemente dal
rango, siamo destinati a lasciare ogni cosa?, si chiedeva spesso, e a maggior
ragione se lo domandò nel momento in cui, alla fine del sentiero
scricchiolante sotto alla suola dei suoi stivali, intravide la sagoma scura del
suo contendente attenderlo, sinistro.
Era davvero basso per essere un uomo e secco come un ramo destinato al
camino ma, nonostante i passi che ancora lo separavano da lui, appariva nel
complesso scattante e nervoso. Thomas lo salutò con un cenno del capo che il
Barone ricambiò senza togliersi il cappello in segno di spregio, o perlomeno
così interpretò il Duca.
Iniziamo bene…
Oltre a loro due non c’era nessun altro. Nei giorni successivi alla
sciagurata partita a carte che li aveva condotti, armati di spada, nel luogo in
cui si trovavano in quel momento, i rispettivi avvocati si erano scambiati un
intenso carteggio, arrivando a stilare l’ammontare di quanto ciascuno avrebbe
dovuto cedere all’avversario nel caso fosse stato sconfitto. Altro non avevano
ritenuto necessario. In fondo, non c’era bisogno di giudici, arbitri e notai –
così avevano convenuto – scoprendo di pensarla allo stesso modo riguardo a
più cose di quante potessero credere. Entrambi erano convinti che si trattasse
squisitamente di una questione d’onore che, a parere dei due gentiluomini,
non riguardava altri se non il Duca d’Arcy e il Barone Ashcroft i quali
avevano stabilito, appunto, che se la sarebbero sbrigata da soli.
Non mancava molto all’alba, ma tutt’attorno era ancora buio pesto, tanto
da impedire a Thomas di vedere in faccia il Barone, anche a causa delle falde
del cappello che portava ben calato in testa. Visto che quegli non proferiva
parola, limitandosi a starsene ritto davanti a lui come un manichino, fu il
Duca a parlare per entrambi.
«Credo che dovremmo metterci di spalle e percorrere cinque passi prima di
voltarci l’uno verso l’altro e dare inizio al duello.»
Il Barone si limitò ad annuire apprestandosi a eseguire quanto suggerito dal
più giovane. A ogni falcata che li allontanava sempre più, spingendoli verso i
lati boscosi della radura, Thomas sentiva arrivargli alle narici gli effluvi
umidi dell’erba calpestata, in un misto di essenze che gli richiamarono alla
mente altre primavere della sua esistenza; quelle dolci e spensierate
dell’infanzia, quando sua madre era ancora viva.
Quel pensiero inaspettato lo riportò immediatamente a interrogarsi sul
presente, sulla propria vita che, per una bravata, forse era in procinto di
perdere… Sono un uomo giovane e forte, nel fiore degli anni e allenato a
tirare di scherma, si disse. Avrò senz’altro la meglio su un vecchio. Intanto,
quel vecchio si era già voltato e messo in posizione, nell’evidente attesa che
fosse il suo antagonista a dar avvio alla tenzone.
Al Duca non restò altro da fare se non esclamare: «In guardia!» prima di
lanciarsi verso il centro dello spiazzo erboso che lo divideva dal Barone.
Giunto al suo cospetto, senza indugi, piegò il busto e il ginocchio destro in
avanti, allungando il braccio armato verso il suo avversario, il quale, con
un’agilità che lo impressionò, vibrò a sua volta un colpo diretto a lui,
producendo, all’incrociarsi delle lame affilate, un clangore metallico che
risuonò con una cupa eco nel silenzio del parco ancora addormentato.
A ogni affondo del Duca, il Barone ricambiava con un’infallibile parata
alla quale faceva seguire a sua volta un attacco, dimostrandosi più lesto di
quanto potesse sembrare. Thomas lo vedeva saltellare sulle gambe snelle
schivando i suoi assalti in un fraseggio di azioni che appariva guidato da una
precisa tattica: imbolsirlo e fargli al contempo saltare i nervi. Devo mantenere
la calma, si disse, per evitare di rimanere vittima di quei micidiali assalti che
si stavano susseguendo a ritmo sempre più serrato. Non avrebbe mai
immaginato, infatti, che il Barone Ashcroft avesse nell’arte della scherma una
tale fantasia e una tecnica tanto degna di ammirazione.
Quando, dopo essere stato offeso, lo aveva sfidato, il suo unico obiettivo
era stato quello di puntare a ottenere un congruo indennizzo, sicuro di avere
tutte le carte a proprio favore per spennare con facilità quel nobiluomo dalla
risaputa ricchezza. Mai avrebbe pensato di rischiare seriamente di rimetterci
anche quel poco che gli restava dei beni di famiglia. Avanti di quel passo,
alla successiva stoccata, avrebbe potuto essere ferito e, in onore all’accordo
preso, costretto a cedere quanto concordato.
Doveva riconoscere l’estrosa scaltrezza del suo rivale, in contrapposizione
alla paziente riflessività che si era imposto, sebbene la serie di finte e contro
offese con cui Ashcroft lo stava mettendo alla prova lo ponessero in seria
difficoltà. Ormai sentiva i polmoni scoppiare, senza che vi fosse alcun
apparente cedimento da parte del suo rivale, nonostante lo udisse ansimare,
evidentemente anch’egli affaticato.
Le forze iniziavano a venirgli meno e probabilmente anche il senno poiché
quegli ansiti gli risuonavano nella mente simili a gemiti amorosi. Inoltre, nei
momenti in cui il suo corpo e quello dell’avversario venivano a contatto,
intrecciati l’uno all’altro nell’azione offensiva, percepiva una strana
sensualità, accentuata dall’insolita morbidezza del petto del Barone.
Devo essere proprio malato, si disse Thomas. Era vero che si dilettava a
passare da un letto all’altro, rubando alle donne che lo accoglievano tra le
loro gambe inebrianti fiori, il più delle volte appartenenti a vecchi mariti
aristocratici, incapaci di dare loro soddisfazione, però non gli era mai capitato
di provare simili sensazioni nei confronti di un uomo… Quel pensiero
molesto bastò a distrarlo, tanto da farsi raggiungere da una stoccata alla
guancia che gli procurò una breve ma intensa fitta bruciante.
Reagì con foga, stanco di quel combattimento che si stava prolungando
decisamente più del dovuto e che, oltretutto, gli aveva messo in animo
sensazioni preoccupanti; una vera e propria minaccia alla sua tanto decantata
virilità.
Il nuovo assalto con cui si scagliò contro l’antagonista rispondeva anche
all’esigenza di mettere a tacere ogni dubbio, perciò vi impresse maggior
aggressività, intenzionato a non dare più alcuno scampo al Barone. Fu così
che con la sferzata iniziale gli lacerò la stoffa della manica, mentre la
seconda, più decisa, lo ferì a un braccio, facendogli emettere un urlo di
dolore, prima di lasciarsi cadere a terra.
In un attimo il Duca gli fu sopra – ancora incapace di comprendere come
un uomo potesse emettere un grido tanto acuto – e, deciso ad affermare
indiscutibilmente la propria superiorità, con un ultimo fendente gli aprì
completamente la camicia. All’improvviso, nell’alba che aveva già invaso
ogni cosa con la sua soffusa luce aurea, tutto fu chiaro alla sua vista, dal viso
accigliato di colei che avrebbe dovuto essere un uomo, al suo seno bianco,
coronato di capezzoli rosa, che la camicia a brandelli aveva infine svelato.
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