Lezioni d’amore per principianti – Marilena Boccola

SINTESI DEL LIBRO:
«Davvero, ti fidi di me fino a questo punto?»
Amalia annuisce con decisione. Il suo sguardo è così fiducioso; sembra
fatto apposta per farmi sentire ancor più in colpa, come se non bastasse già
la voce insistente della mia coscienza sporca. Eppure, sono qui, indeciso sul
da farsi.
Mi soffermo per un momento a osservare la ragazza che mi sta di fronte:
i suoi fitti capelli neri sono raccolti in una mezza coda che ne trattiene le
morbide onde, non vi è cenno di trucco sul suo viso, le arcate sopraccigliari
ben delineate conferiscono profondità ai suoi occhi limpidi. È proprio lì che
si incagliano i miei, ora fissi nei suoi ostinatamente imploranti.
Per un momento, la determinazione che credevo di avere vacilla.
Sospiro, portandomi indietro i capelli in un gesto che di sicuro tradisce il
mio nervosismo, ma di cui lei non pare accorgersi; solo la sua bella bocca
carnosa ha un fremito nell’attesa.
Come ho fatto a credere di poter acconsentire con tanta leggerezza a una
tale insensata richiesta? Io e Amalia siamo stati amici fin dall’infanzia: l’ho
vista crescere, ho provato nei suoi confronti un innato senso di protezione,
l’ho consolata per le ginocchia sbucciate dopo le cadute in bicicletta, l’ho
difesa dalle cattiverie dei bambini più grandi, ho asciugato le sue lacrime
quando il suo gattino è finito sotto a una macchina e in mille altre
situazioni…
Quante volte ci siamo arrampicati sulla pianta di ciliegie in fondo
all’orto dei nonni? Credo di averne perso il conto. Per mano siamo andati a
scuola assieme, anno dopo anno, e abbiamo giocato per interi pomeriggi
all’ombra, davanti al garage, indistintamente con bambole e macchinine.
Eppure, non so nemmeno io come sia potuto accadere, ma ho accettato di
impartirle le assurde lezioni che mi ha chiesto di darle.
È evidente che Amalia si fida ciecamente di me, mi era chiaro anche
prima di vederla muovere la testa su e giù con decisione. Glielo leggo negli
occhi, mentre se ne sta ritta al mio cospetto nella fin troppo ingenua attesa
di quello che dovrebbe venire dopo.
Lei si fida e io ne approfitto. Bell’amico!
Sento lo stomaco annodarsi su sé stesso e i palmi sudare; dovrei
ascoltare i segnali che il mio corpo mi sta mandando, invece di
temporeggiare in questo modo. Scuoto la testa, credendo di poter scacciare
come mosche i pensieri molesti che mi stanno assalendo, i ricci mi
scivolarono di nuovo davanti agli occhi e io li soffio subito via, infastidito.
Perché Amalia continua a guardarmi con quell’espressione implorante,
come se riponesse in me chissà quale assurda speranza?
Sono solo un ragazzo imbottito di ormoni e istinti repressi nei lunghi
anni passati chino sui libri, guidato dall’unico obiettivo di laurearmi in
corso, come i miei genitori si aspettano che faccia.
See, Leopardi!
Chi è?, mi chiedo confuso, ma la voce di Amalia mi riporta a lei.
«Massimo, lo sai che mi fido di te, sei stato il mio migliore amico, solo
tu puoi aiutarmi…»
Sospiro rumorosamente mentre le afferro una mano per farla sedere
accanto a me, sul letto della stanzetta in cui abito già da cinque anni. Il
materasso cede lievemente sotto al nostro peso, sollevando nell’aria un
buon profumo di bucato, che si mischia all’odore invitante di gianduia che
entra a ondate dalla finestra aperta sulla piazzetta qua sotto, in cui si
affaccia un bar.
Quasi non ho il coraggio di guardarla negli occhi, ma lei è qui, troppo
vicina per far finta di niente. «Va bene, allora incominciamo» mi decido,
infine. «Davvero non ti ha mai baciata nessuno? Hai vent’anni…»
La vedo fare una smorfia che le arriccia le polpose labbra rosate e mi
risulta ancora più difficile credere che nessuno le abbia mai sfiorate con le
proprie.
«Lo sai com’è fatto mio padre… dopo la morte della mamma mi ha
tenuta prigioniera in una gabbia dorata e al momento di iscrivermi
all’università mi ha mandata in un collegio di suore. Sono riuscita a venire
da te solo perché oggi pomeriggio ho saltato le lezioni. Ho chiesto a
un’amica di firmare la presenza al mio posto; spero che il docente non se ne
accorga…»
Inspiro profondamente, conscio del tremore alle mani e le stringo l’una
nell’altra per bloccarle.
«Direi che a questo punto dovremo partire proprio dall’ABC». Cerco di
sorridere per nascondere l’imbarazzo e alzo di nuovo lo sguardo su di lei,
scoprendo che non ha mai smesso di guardarmi, apparentemente tranquilla,
come se si aspettasse la spiegazione di una formula matematica, anziché
quella dell’alchimia dei baci.
E non si tratta solo di teoria!
Mi avvicino un po’ di più a lei, incerto. Di ragazze ne ho baciate in vita
mia, considero, e non mi sono certo fermato lì, per quanto si sia trattato
solo di esperienze fugaci alle quali ho sempre anteposto lo studio, ma ora
l’odore di talco della sua pelle mi sale alle narici annullando ogni altro
pensiero, se non quello dei ricordi che d’un tratto mi assalgono.
Le innumerevoli immagini di me e Amalia che ridiamo a crepapelle
facendoci il solletico si materializzano nella mia mente. Come spesso
accade, gli odori sono scrigni di memoria. Sono passati più di dieci anni da
allora, ma in questo momento Amalia è tornata a essere la tenera vicina di
casa con cui ho condiviso le interminabili estati avventurose e i lunghi
inverni della mia infanzia.
«Come mi devo mettere?» La sua domanda mi riporta di nuovo al
presente.
«Eh?» La studio confuso.
«Come mi devo mettere?» ripete. Non c’è nessuna malizia nel suo
sguardo, come se davvero si trattasse di una qualunque lezione.
«Stai sciolta, ci penso io» mi decido infine a risponderle, dopo un
ultimo istante di esitazione. Così dicendo, faccio scorrere con lentezza le
dita sotto ai suoi capelli, arrivando fin quasi a sfiorarle le orecchie.
Mi sforzo di mostrarmi asettico; come un chirurgo in sala operatoria,
soppeso ogni gesto, tentando di svuotarlo del significato che normalmente
assume quando un uomo e una donna si sfiorano. Senza staccare gli occhi
da quelli di Amalia, le stringo delicatamente le guance tenendo le mani a
coppa attorno al suo viso.
Mi avvicino e finalmente poso la bocca sulle sue labbra, scoprendone
l’incredibile morbidezza; indugio per un momento, incerto se sia il caso di
continuare, ma il suo respiro caldo e tranquillo mi rassicura.
Lei si fida di me, mi dico per farmi coraggio, mentre faccio susseguire
brevi baci a stampo che dovrebbero indurla ad aprire la bocca.
Provo a forzarla dolcemente ma, quanto più cerco di penetrarla, tanto
più le labbra di Amalia sembrano farsi sempre più dure e tese. Mi vedo
costretto a riaprire gli occhi, che avevo istintivamente chiuso, e la colgo
intenta a fissarmi.
Ma che diavolo!, mi sfugge persino un’imprecazione soffocata. Che
idiota sono stato! Lei non ne sa assolutamente nulla di baci alla francese,
prima di iniziare avrei dovuto spiegarle come funzionano.
«Devi chiudere gli occhi e aprire la bocca» le dico pazientemente,
staccandomi da lei. Mi sforzo persino di mantenermi serio quando la vedo
fissarmi stupita, ma probabilmente ha già notato il guizzo divertito che mi
ha attraversato il volto, perché assume una sorta di broncio.
«Non me l’hai detto!» mi accusa.
«Scusami, hai ragione. Solitamente, quando due si baciano, prima
avvicinano le bocche, dandosi dei piccoli baci che emettono lievi schiocchi,
tipo i baci innocenti che ci si dà sulle guance, ma in un secondo momento si
aprono le labbra e le rispettive lingue iniziano ad accarezzarsi». Amalia mi
sta guardando inorridita. «Non dirmi che non lo sapevi» aggiungo.
«Ma sì! Cioè… non proprio… Ho visto in qualche film gli attori
baciarsi con le bocche incollate, ma pensavo finisse lì e infatti mi chiedevo
cosa ci trovassero di tanto piacevole. In pratica, vuoi dire che ci si scambia
la saliva?»
«Certo che, detto così, fa perdere tutta la poesia…» protesto. Ormai ho
abbassato le mani dal suo viso e ora la sto tenendo per gli avambracci. È
strano parlare di queste cose in un modo tanto esplicito e stando così vicini,
pronti a mettere nuovamente in pratica le istruzioni.
«Meglio lavarsi per bene i denti ed evitare di mangiare aglio e cipolla…»
sembra riflettere ad alta voce.
«Decisamente! Comunque, non mi sembra il tuo problema» cerco di
rincuorarla. «Sai di fragola…» mi sfugge.
«Oh, grazie! Ho davvero bisogno di essere incoraggiata… Nemmeno il
tuo, comunque» aggiunge.
«Nemmeno il mio?»
«Nemmeno il tuo problema» specifica, semplicemente. «Tu sai di
menta.»
È inevitabile che la sua osservazione mi faccia sentire intimamente
compiaciuto. Ringalluzzito, le sorrido di nuovo. «Allora, possiamo
continuare. Stavolta dovrai aprire la bocca e chiudere gli occhi.
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