L’emporio degli incanti – Tanya Huff

SINTESI DEL LIBRO:
Mira alla luna" era considerato uno dei trucchi più pericolosi da
eseguire con uno yoyo. Non che fosse particolarmente complicato, e
certo non poteva essere paragonato agli intrecci richiesti da una "Stella
Texana", ma bastava la minima disattenzione perché con ogni
probabilità quei 35.7 grammi di legno compatto andassero a sbattere
dolorosamente contro la curva frontale del cranio. Correva voce che nel
1937 il Campione Canadese e Mondiale Joe Young avesse una volta
sbagliato a eseguire un "Mira alla luna", ma avesse continuato a
dominare la competizione senza che nessuno si accorgesse di nulla fino
al giorno successivo, quando il livido era cominciato ad affiorare.
Personalmente, non era certa che fosse vero, e non si fidava molto delle
dicerie, ma sapeva che quando Joe Young era morto, durante la guerra,
quello sport aveva perso un maestro.
Lei eseguì la manovra alla perfezione.
Prelevato uno yoyo luminescente dalla sua scatola, spense le luci del
negozio ed eseguì di nuovo la manovra.
Le riuscì a meraviglia.
Era un peccato che non ci fosse nessuno che potesse vederla.
In un coraggioso, ma in ultima analisi anche inutile, tentativo di
divertirsi, prese uno yoyo in ciascuna mano e cominciò a manovrarli
alternativamente finchè un'ombra non intervenne a coprire la luce che
dalla strada filtrava attraverso il vetro sporco della porta. Le ci volle un
momento per liberare l'indice della mano sinistra dal laccio dello yoyo, e
in quel breve intervallo lo stipite della porta cominciò a gemere.
Ancora un istante, e avrebbe ceduto.
Con le labbra compresse in un'espressione irritata, spinse da parte
alla meglio i due giocattoli e avanzò verso la porta: essa non era chiusa a
chiave, ma si trattava evidentemente di un dettaglio che quei visitatori
notturni non si preoccupavano mai di verificare.
– Perché ci hai messo così tanto? – scattò, spalancando la porta e
fissando la sagoma deforme visibile all'esterno.
Risultò evidente che quella non era la reazione che essa si era
aspettata.
– Allora, hai intenzione di alzarti, prima o poi?
Allie si tirò il cuscino sulla testa, sperando che sua madre si
accontentasse di quel gesto come risposta. Aveva ventiquattro anni, era
senza lavoro, senza amici, ed era dovuta tornare a casa senza alcuna
prospettiva per il futuro: per quanto la concerneva, aveva il diritto di
restarsene a letto anche per tutto il giorno, se ne aveva voglia.
La pausa di silenzio, appesantita da consigli taciuti, ma sottintesi, si
concluse con una quasi udibile espressione esasperata da parte di sua
madre e con il rumore della porta della camera da letto che si richiudeva.
Bene. L'ultima cosa di cui aveva bisogno, in quel momento, era quel
genere di analisi della situazione pratica e pragmatica in cui sua madre
eccelleva.
Con la testa ancora sotto il cuscino, allungò il braccio sinistro,
tastando il letto che risultò vuoto: Charlie se ne era andata,
probabilmente da parecchio, a giudicare da quanto erano fredde le
lenzuola. Protendendo il braccio sinistro, tastò l'altro lato del letto,
constatando che anche Dmitri non c'era più. Con il volto premuto contro
il lenzuolo di sotto, che odorava vagamente di ammorbidente e di sesso,
Allie si accigliò e cercò di ricordare che giorno fosse.
Il suo lavoro come assistente ricercatrice presso il Royal Ontario
Museum si era concluso martedì, quando i fondi della borsa di studio
grazie alla quale veniva pagata si erano infine esauriti, senza nessuna
speranza di essere rinnovati. Avendo avuto quasi un mese di preavviso,
lei aveva almeno cercato di inserire nel nuovo programma di
catalogazione gli ultimi manufatti ciprioti; ce l'aveva fatta con il periodo
classico/ellenistico, ma pareva che il periodo cipro-geometrico non
sarebbe mai stato catalogato. E lei detestava lasciare qualcosa a metà.
Così come aveva detestato lasciare quel lavoro.
O, per essere più precisi, aveva detestato di doversene andare, di
sentire la propria vita sfuggire al suo controllo. In realtà, non aveva
amato quel lavoro, anche se doveva onestamente ammettere che le era
piaciuto frugare nei magazzini del museo, tentando di portare ordine nel
caos; era solo che ultimamente non trovava più molto divertenti le
battute sul fatto che una laurea in Belle Arti fosse utile quanto un piatto
di patatine fritte.
Il mercoledì, suo zio Richard e tre cugini erano arrivati per aiutarla a
imballare il contenuto del suo piccolo appartamento e a portare a casa
ciò che non aveva venduto o regalato ad altri cugini che vivevano in
città. La famiglia non aveva quelle che si potevano definire proprietà
comuni, ma c'erano pentole che venivano ancora passate di mano in
mano da tempi che risalivano a prima dell'invenzione dei surgelati.
Charlie era rimasta con lei, e avevano passato la notte insieme su un
materasso gonfiabile; al giovedì, aveva riconsegnato le chiavi
dell'appartamento, poi avevano caricato gli ultimi pezzi e frammenti
della sua vita su una macchina presa a prestito e avevano lasciato la
città, con Charlie che per tutto il tragitto si era lamentata del mezzo di
trasporto usato. A conti fatti, quindi, quel giorno doveva essere venerdì.
Venerdì 30 aprile.
Questo, se non altro, forniva una risposta all'interrogativo
sull'assenza di Dmitri: era a scuola.
Charlie poteva essere da qualsiasi parte.
Ancora una volta, era stata lasciata sola.
Le sue dita tormentarono la trapunta che le zie avevano cucito per
lei, e non ebbe bisogno di rimuovere il cuscino dalla faccia per trovare il
quadrato di stoffa che aveva al centro un pezzo di una delle vecchie
camicie di Michael.
L'avevano lasciata sola, proprio come aveva fatto Michael, per via di
quel suo stupido e perfetto amichetto, e del suo stupido e perfetto
lavoro a Vancouver.
– Alysha Catherine Gale! – tuonò Zia Jane, la cui voce arrivava ancora
nitida fino al secondo piano, nonostante gli anni. Come se l'età avesse
potuto osare di indebolirla. – Se non sarai fuori da quel letto e qui in
cucina entro quindici minuti, ti farò pentire di essere nata!
Non c'era che sperare che Zia Jane la lasciasse in pace.
E ancora minore era la speranza che si potesse non prendere alla
lettera ogni sua singola parola.
In un momento imprecisato della notte, Dmitri le aveva tracciato un
simbolo magico sul polpaccio destro. Probabilmente aveva creduto che
in quel punto lei non lo avrebbe notato, ma del resto Dmitri era giovane,
e tuttora oggetto di un'indulgenza davvero incredibile. Levando gli occhi
al cielo, Allie cancellò il simbolo, contemplò con un sorriso quello più
antico che Charlie le aveva impresso sulla spalla e uscì da sotto la doccia,
sorprendendo Samson, uno dei quattro border collie della famiglia,
mentre stava bevendo dalla toilette.
– Non mi dire che hai imparato ad aprire le porte – borbottò,
afferrando il cane per la collottola e tirandolo indietro; non si era presa la
briga di infilare il vecchio gancio arrugginito nel suo occhiello, ma
nonostante questo la porta del bagno era ancora chiusa.
Sferzandole le ginocchia con la coda scodinzolante, Samson ignorò il
suo rimprovero.
Allie arrivò al piano di sotto con dodici secondi e mezzo di anticipo,
ancora impegnata ad avvolgere un elastico intorno all'estremità della
treccia umida per poi gettarsela dietro le spalle. Come si era aspettata,
sua madre e Zia Jane erano nella grande cucina della fattoria, intente a
preparare pasticci e torte, entrambe impegnate a lavorare a
un'estremità del vecchio tavolo rettangolare.
Arrivata sull'ultimo gradino, Allie si soffermò a osservarle.
Era scontato che le ragazze Gale avessero delle sorelle, perché
inevitabilmente nella famiglia c'erano quattro o cinque femmine per
ogni maschio che nasceva.
Sua nonna, la madre di sua madre nonché sorella minore di Zia Jane,
aveva avuto tre femmine e nessun maschio. Una cosa strana, ma non
priva di precedenti.
Allie aveva un fratello, David, più grande di lei di quattro anni.
Quell'anomalia aveva scatenato i commenti delle zie, perché non
capitava mai che i maschi nascessero per primi; inoltre, lei non aveva
sorelle.
– Lui ha ereditato il potenziale Gale che avrebbe dovuto essere
suddiviso fra una mezza dozzina di femmine – aveva commentato con
contrarietà Zia Jane, più di una volta, gli occhi scuri fissi su David. –
Quello che bisogna chiedersi è che uso ne farà.
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