Lascia dire alle ombre – Jess Kidd

SINTESI DEL LIBRO:
Mahony si mette lo zaino in spalla, scende dal pullman e si ritrova proprio
al centro di Mulderrig.
Oggi Mulderrig è solo un benigno corpuscolo geografico, srotolato alla
rinfusa e steso al sole. Fingendosi innocuo.
Se Mahony si ricordasse di questa piccola città, cosa che ovviamente non
può fare, non noterebbe molti cambiamenti da quando l’ha lasciata.
Mulderrig non cambia, né in fretta né adagio. Ventisei anni non fanno la
minima differenza.
Perché Mulderrig è un posto come nessun altro. Qui i colori sono un po’
più brillanti e il cielo è un po’ più vasto. Qui gli alberi sono vecchi come le
montagne e un fiume limpido sfocia nel mare. La gente nasce per vivere,
restare e morire qui. Non vogliono andarsene. Perché mai dovrebbero, se
tutte le strade che portano a Mulderrig sono in discesa e quindi per andarsene
è tutta salita?
A quest’ora del giorno i pochi negozi sono chiusi e sprangati, le insegne
oscillano con indolenza oziosa e le scritte sulle vetrine scaldate dal sole si
gonfiano e sbiadiscono. Da un lato e dall’altro della strada principale, dalla
farmacia Adair al ferramenta Farr, dagli uffici dello Studio legale Gibbons &
McGrath all’Ufficio postale con Emporio generale, tutto è silenzioso.
Alcuni vecchietti sono seduti davanti alla pompa in mezzo alla piazza.
Oggi non gli si cava una parola di bocca: sono rintronati dal caldo, perché
non piove da giorni e giorni e giorni. È l’aprile più caldo a memoria di vivi e
morti. Così caldo che le cornacchie volano con la lingua penzoloni.
L’autista fa un cenno del capo a Mahony. “È come se in città fossero
arrivate di colpo cento estati, eppure sulla costa a un miglio da qui piove a
secchiate e c’è un vento da ghiacciare le tette alle pollastre. Se vuoi il mio
parere,” dice l’autista, “una roba così significa solo rogne.”
Mahony guarda il pullman lasciare la piazza in un turbinio di polvere
rovente e allontanarsi, ormai vuoto, sullo stretto ponte di pietra che scavalca
un fiume apatico. Con questo tempo, qualunque cosa si muova s’impegola in
una tenue sacca di polvere. Ma al momento non c’è granché che si muova, a
parte una manciata di bambini che corrono a casa sapendosi in ritardo,
inseguiti dall’eco dei loro strilli squillanti. Le mamme sono dentro a
preparare il tè, i papà sono dentro in attesa di uscire a farsi una birra. E così
Tadhg Kerrigan è la prima anima viva del villaggio a veder tornare Mahony.
Tadhg sta puntellando la porta del Kerrigan’s Pub dopo aver cambiato un
fusto difettoso e minacciato di morte un ratto in cantina. Sta alzando verso il
sole il suo faccione rosso per godersi un po’ di luce, e nel frattempo si gratta
il culo con una certa risolutezza. Ha pensato alla vedova Farelly, al suo
villino appena costruito, al prodigioso candore delle sue tende di tulle e alla
piumosa consistenza del suo petto.
Tadhg squadra ben bene Mahony mentre attraversa la piazza
avvicinandosi al pub. Con un aspetto del genere, pensa Tadhg, con quei
capelli lunghi e il giubbotto di pelle e quel modo di camminare come se fosse
chissà chi, quel tizio o è un poeta o è un coglione.
“Tutto bene?”
“Alla grande,” dice Mahony posando a terra lo zaino e sorridendo tra i
capelli, poco lavati e lunghi fin sotto le orecchie e oltre.
Tadhg decide che il tizio è sicuramente un coglione.
È difficile dire se i morti di Mulderrig concordino o no, fatto sta che
cominciano a guardare cautamente fuori da finestre di stanze da letto o a
scivolare lungo vialetti per poi fermarsi di colpo a fissare.
Perché i morti sono sempre vicini in una vita come quella di Mahony. I
morti sono attratti dai confusi e inespressi, dai danneggiati e violati, da chi ha
nella propria storia grosse crepe e lacune che i morti non vedono l’ora di
colmare. Perché i morti hanno racconti di seconda mano da condividere, se
solo gliene dai l’opportunità.
Ma i morti sanno guardare. E sanno aspettare.
Perché adesso Mahony non li vede.
Ha smesso di vederli tanto tempo fa.
Adesso i morti sono confinati in una fugace nebbiolina nella stanza al
momento di spegnere la luce, o in uno sporadico tremolio nella sua visione
periferica. Adesso Mahony riesce a ignorarli più o meno come si ignora il
ticchettio di un rumoroso orologio a pendolo.
Perciò Mahony non si accorge affatto della vecchia morta che sbuca dalla
parete accanto al gomito destro di Tadhg. E nemmeno Tadhg se ne accorge,
perché anche lui, come il resto di noi, gode di una beata mancanza di visione.
La vecchia morta spalanca un paio d’occhi cisposi e tondi come tuorli
d’uovo e guarda Mahony, e Mahony guarda altrove, facendo un gran sorriso
al faccione di Tadhg. “Allora, amico, sai se c’è qualche buco in città?”
“Qui non c’è lavoro.” Tadhg incrocia le braccia sul petto e tira su col naso
con aria afflitta.
Mahony estrae dalla tasca del giubbotto un pacchetto di sigarette mezzo
vuoto e Tadhg ne prende una. Stanno per un po’ a fumare in silenzio, Tadhg
con gli occhi socchiusi verso il sole, Mahony con l’ombra di un sorriso sulle
labbra. La vecchia morta avanza di qualche centimetro sul marciapiede e
indica enigmaticamente la cantina sottostante, con un borbottio tetro.
Mahony allarga il sorriso fino a mostrare i denti, con un’espressione di
gran fascino naturale capace di ammaliare il più incallito bastardo della terra.
“Be’, il lavoro è l’ultima cosa che mi serve. Mi sto prendendo una vacanza
dalla capitale.”
“Dalla capitale, eh?”
La vecchia morta si avvicina abbastanza da sussurrare nell’orecchio di
Mahony.
Mahony tira una boccata e poi espira. “Già. Il rumore, le macchine e i
ratti.”
“Ci sono ratti?” Tadhg stringe gli occhi.
“Grossi come pecore.”
Tadhg esteriormente è impassibile, ma nel profondo dell’anima
solidarizza. “I ratti sono un grandissimo problema per il mondo,” dice in tono
solenne.
“A Dublino lo sono eccome.”
“Allora, cosa ti porta qui?”
“Volevo vedere un po’ di verde. Hai presente quando sulla carta non c’è
assolutamente niente intorno a te? Solo triangoli che indicano le montagne e
quegli alberelli tutti in fila per miglia e miglia?”
“Quindi quello che stai cercando è il culo del mondo?”
Mahony sembra pensarci su. “Sai una cosa? Penso proprio di sì.”
“Be’, l’hai trovato. Sei in fuga nel selvaggio West?”
“Pare di sì.”
“Da una donzella o dalla legge?”
Mahony si toglie la sigaretta dalla bocca e la scaglia in direzione della
vecchia morta, che gli lancia un’occhiata profondamente disgustata. Si alza le
gonne diafane e fluttua via attraverso il muro del pub.
“Non era una donzella.”
La faccia di Tadhg si contrae trattenendo un sorriso. “Come vuoi essere
chiamato?”
“Mahony.”
Tadhg nota una bella stretta di mano salda. “Vada per Mahony.”
“Allora, un letto per stanotte lo trovo o mi toccherà rannicchiarmi con
quei vecchietti sulla panchina laggiù?”
Tadhg trattiene una scorreggia proprio mentre sta pensando. “Shauna
Burke affitta qualche camera a Rathmore House, su nella foresta. Mi sa che
non c’è altro.”
“Mi sta benissimo.”
Tadhg squadra Mahony dalla testa ai piedi. Deve ammettere che
fisicamente non è malaccio. È piuttosto alto e ha l’aria robusta, pure un po’
tosta. È entrato nella ventina e ne uscirà senza grossi danni; ha il tipo di
faccia che resta giovane. Però dovrebbe darsi una lavata e radersi quella
peluria sul mento. E quei pantaloni sono ridicoli: cominciano stretti e
finiscono abbastanza larghi da spazzarci la strada.
Tadhg li indica con un cenno del capo. “Quei pantaloni sono la moda del
momento?”
“Sì, vanno molto.”
“Non ti senti un po’ fesso ad andare in giro così?”
Mahony sorride. “In città ce li hanno tutti. Ce ne sono anche di più
larghi.”
Tadhg inarca di qualche millimetro le sopracciglia. “Davvero? Be’,
meglio non farsi beccare quando tira vento.”
Tadhg si rende conto che se quel tizio si desse una rasata e una strofinata
col sapone, le ragazze si farebbero in quattro per lui. E deve saperlo anche
Mahony. Si capisce dalla piega del suo sorriso e dalla luce in quegli occhi
scuri. Si capisce dal suo modo di muoversi, come se fosse padrone di ogni
singolo centimetro del proprio corpo.
Tadhg si spreme un sorriso. “Prima ti conviene dare un’occhiata all’altra
ospite che vive lì, la signora Cauley. È un tipino difficile.”
“Dopo quello che ho passato, sono sicuro di poterla gestire.” E Mahony
fissa Tadhg con una risata negli occhi.
Ora, Tadhg non è particolarmente dedito all’introspezione, ma
all’improvviso è sicuro di due cose.
Uno: lui quegli occhi li ha già visti.
Due: sta per venirgli un colpo.
Perché il sangue dentro il suo corpo si è messo a sfrecciare qua e là come
non faceva da un sacco di tempo, e Tadhg sa che non fa bene smuovere un
sistema che anni di ruggine hanno abituato a pompare con comodo. Si copre
il viso con le mani e si appoggia pesantemente alla porta del pub. Gli sembra
quasi di sentire un fottuto coagulo di sangue schizzare verso il cervello per
spazzarlo via dal mondo dei vivi.
“Tutto a posto, amico?”
Tadhg apre gli occhi. Il tizio che si è preso una vacanza da Dublino lo sta
fissando con aria preoccupata. Tadhg snocciola una silenziosa preghiera
contro il peggiore degli incubi di Mulderrig. Estrae dalla tasca un fazzoletto e
si asciuga la fronte. E quando sente che i peli del collo hanno smesso di
rizzarsi dice a se stesso che quel tizio non è altro che uno sconosciuto,
davvero.
Qualunque cosa abbia visto sul suo viso, ora non c’è più.
Davanti a lui c’è un hippy di Dublino che si trova a passare per il culo del
mondo.
“Ti senti bene?”
Tadhg annuisce. “Sì, certo.”
Lo sconosciuto sorride. “Sei aperto? Mi farei volentieri una birra.”
“Accomodati pure,” dice Tadhg, e decide risoluto di rinunciare alla luce
del sole.
Per fortuna il sole fa una gran fatica a entrare dalle finestre del Kerrigan’s
Pub, ma quando riesce a filtrare dalle tende fuligginose può far risaltare i
tavoli di legno scuro e appiccicoso. O suscitare un pallido luccichio sulle
placche d’ottone appese ai lati del camino, che è spento e pieno di sacchetti di
patatine. O conferire una sfumatura più ricca e calda alla birra scura nel
bicchiere del sergente Jack Brophy.
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