La resa del guerriero – Michelle Willingham

SINTESI DEL LIBRO:
Il gelido vento autunnale
penetrava sotto il mantello, un cupo
monito che era ormai giunta l'ora di
cercare riparo. Eppure Trahern
MacEgan non si accorgeva quasi del
freddo. Durante la stagione appena
trascorsa non aveva provato alcuna
sensazione: le sue emozioni erano
congelate come l'aria che lo
circondava.
Ormai, però, si rodeva per la sete
di vendetta e il bruciante bisogno di
rintracciare gli assassini di Ciara.
Aveva lasciato la dimora di famiglia
per tornare nella regione
sudoccidentale di Eireann, dove il
clan Ó Reilly risiedeva a Glen
Omrigh.
I fratelli erano all'oscuro delle sue
intenzioni di trovare i predoni,
convinti che fosse partito per
rendere visita ad amici e narrare
storie. Sapevano che, essendo un
bardo, si tratteneva di rado in un
posto, dunque non nutrivano
sospetti.
Tuttavia, in quel caso, aveva
insistito per partire da solo. I fratelli
dovevano occuparsi delle mogli e
dei figli: Trahern non li avrebbe mai
esposti ai pericoli, poiché avevano
troppo da perdere. Lui, invece,
non aveva niente e nessuno e
preferiva così.
In quella zona il terreno era più
montuoso, con alture verdeggianti
che si elevavano nella foschia. Una
strada stretta serpeggiava per la valle
e il fiato del cavallo si condensava in
tiepide nuvolette biancastre.
L'impressione di vuoto si confaceva
al suo umore. Mai si era aspettato di
perdere la donna amata!
All'inizio dell'estate Aron, il
fratello di Ciara, aveva inviato il
messaggio che il cashel era stato
attaccato da razziatori vichinghi.
Ciara si era ritrovata nel mezzo della
mischia ed era stata uccisa mentre
tentava la fuga.
La sconvolgente notizia aveva
tenuto Trahern lontano da Glen
Omrigh per parecchi mesi. Si
rifiutava di vedere la tomba di Ciara
e di prestare ascolto alle
condoglianze degli amici. Più di
ogni altra cosa, aveva bisogno di
dimenticare.
Il tempo, però, non aveva
alleviato il dolore; al contrario, lo
aveva alimentato. Non avrebbe
dovuto lasciarla sola. Il senso di
colpa lo consumava, annientando
l'uomo che era sempre stato.
Nelle sue vene scorreva soltanto
l'odio, che soffocava la pena
straziante del lutto. La sofferenza
era stata rimpiazzata dalla collera,
da una feroce determinazione.
Trahern intendeva scovare i
colpevoli e infliggere loro la
medesima sorte che era toccata a
Ciara.
Appena il sole era calato
all'orizzonte, aveva preparato un
falò e montato la tenda. Anche se,
cavalcando ancora per poche ore,
avrebbe potuto raggiungere Glen
Omrigh, preferiva trascorrere la
notte in solitudine.
Le fiamme lambivano la legna e
ardevano rosse e arancioni nel
crepuscolo. L'indomani Trahern
sarebbe arrivato al cashel e avrebbe
iniziato la ricerca dei nemici.
Si sedette per mangiare,
contemplando il fuoco e ascoltando i
rumori della sera. A un certo punto
udì un debole fruscio nel sottobosco,
prodotto quasi certamente da un
animale. Per sicurezza, però, brandì
la spada.
I passi erano più pesanti di quelli
di uno scoiattolo o di una volpe:
erano di una persona, non di una
bestia. Trahern strinse l'elsa, in
attesa che si avvicinasse.
All'improvviso una figura emerse
dagli alberi: una fanciulla di circa
tredici anni, in léine bianca
stracciata e sopravveste verde.
Aveva il viso sudicio di polvere e,
d'istinto, tese le mani verso il fuoco.
Era talmente magra che dava
l'impressione di non consumare un
pasto completo da settimane. I
lunghi capelli castani scendevano
sciolti fino alla vita e i piedi erano
scalzi.
Jesu, dovevano essere gelati!
«Chi sei?» le domandò Trahern
con gentilezza. Lei evitò di
guardarlo in volto e di rispondere
alla domanda. Invece arrossì per
l'imbarazzo e gli rivolse un cenno.
«Vieni a scaldarti» la invitò lui.
«Ho un po' di cibo da offrirti, se hai
fame.»
La ragazzina avanzò di un passo,
ma scosse il capo, indicando il bosco
alle sue spalle. Trahern scrutò in
quella direzione, ma non vide
nessuno. Pur alzando le mani
davanti alle fiamme per godere il
tepore, lei si mostrò ancora più
timorosa di prima. Di nuovo puntò
un braccio verso il fitto del bosco.
«Che cosa c'è?» le domandò.
Lei tossicchiò prima di muovere
le labbra, come se non parlasse da
parecchio tempo. «Mia sorella...»
Trahern si alzò in piedi.
«Accompagnala qui. Potrà
riscaldarsi e mangiare. Ho
abbastanza vivande per tutte e due.»
Non era vero, però non gli
importava se esaurivano le sue
provviste. Meglio permettere alle
due sorelle di saziarsi: lui avrebbe
sempre potuto andare a caccia.
La fanciulla scosse di nuovo la
testa. «Sta male.»
«È grave?»
Lei non rispose, ma lo chiamò con
un gesto e si incamminò tra gli
alberi. Trahern lanciò un'occhiata al
destriero e poi al pendio boscoso.
Sarebbe stato più rapido andare a
cavallo, ma i tronchi sembravano
troppo vicini per poter passare.
Non aveva alcuna voglia di
avventurarsi nella foresta, tanto più
che nel giro di un'ora sarebbe calato
il buio. Tuttavia non poteva
nemmeno consentire alla ragazza di
allontanarsi senza scorta. Con una
smorfia, confezionò una torcia con
un ramo caduto, poi si gettò in spalla
la bisaccia delle vivande, che non
voleva abbandonare.
Lei lo guidò su per la collina per
quasi mezzo miglio, camminando
sul suolo coperto di foglie secche.
Trahern stava attento a tenere alta la
torcia.
Dopo aver guadato un ruscelletto,
scorse un rifugio di fortuna, ricavato
dai resti di una vecchia capanna.
Quando lo raggiunse, seguì la
fanciulla all'interno.
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