Noi, bambine ad Auschwitz. La nostra storia di sopravvissute alla Shoah – Andra Bucci

SINTESI DEL LIBRO:
Due vite, due percorsi attraverso il Novecento uniti nella voce comune
di una testimonianza che avvicina differenze e peculiarità. Un
tracciato che oscilla come un pendolo: talvolta cerca punti di contatto
e condivisione, altre volte si diversifica, si allontana per segnare
discontinuità e fratture fra i due tragitti di vita. Due bambine, le
sorelle Bucci, travolte dalle pagine più terribili del secolo scorso:
Tatiana e Andra si tengono per mano per uscire dall’oscurità e cercare
una nuova luce negli anni del dopoguerra.
Queste pagine contengono una testimonianza unica, una storia che
è al tempo stesso individuale e collettiva, distinta e sovrapposta a
seconda dei contesti, delle tracce di memoria, dei segmenti di passato
che sono giunti fino a noi. Un documento di un tempo lontano che ci
interroga da vicino, ci fa pensare, riesce a metterci in relazione con
eventi e momenti che rischiano di essere sepolti o dimenticati.
Le radici familiari delle due bambine affondano ramificate nel
terreno composito dei primi decenni del secolo scorso. L’età degli
imperi e del loro tramonto: grandi spazi capaci di raccogliere identità,
culture, religioni, lingue diverse in una convivenza in grado di
arricchire il tessuto comune senza produrre lacerazioni o strappi
pericolosi. È il tempo del primato europeo, del suo apice e del
successivo e incontrollabile tramonto. Una sorta di linea di
demarcazione tra la fine delle certezze e l’inizio di un cammino senza
approdi definiti.
Al momento dell’attentato di Sarajevo, nel giugno 1914, lo spazio
controllato dai grandi imperi era pari all’ottantacinque per cento delle
terre emerse. Una dimensione globale sorretta da una supremazia
europea incontrastata, economica, politica, militare, persino culturale,
nella convinzione di poter indicare la direzione di marcia all’umanità
tutta. Una potenza diffusa che si sgretola lentamente mentre si
avvicinano le dinamiche di contrapposizione che porteranno alla
Grande guerra.
In fondo, le origini di questa lunga storia conducono alle cesure più
profonde che hanno segnato il Novecento. La famiglia materna di
Tatiana e Andra si muove dalle terre dell’impero zarista, fuggendo
dalla minaccia dei pogrom dell’Est Europa. Una migrazione
consapevole e motivata: la ricerca di fortuna e serenità in un contesto
differente, più accogliente e prospero. Due aspetti che si combinano
sostenendosi a vicenda: l’imprenditorialità coraggiosa di chi
scommette sul futuro (una piccola fabbrica di caramelle in Ungheria o
l’America dei primi del Novecento in cerca di fortuna) con la
possibilità di mettere in sicurezza le ragioni della tradizione ebraica,
un’identità minacciata e indifesa. Così facendo, la famiglia si sposta
attraversando frontiere, confini incerti, identità mobili nel crogiuolo di
presenze dell’età dei grandi imperi. Riavvolgere il nastro fino a
cogliere i punti, i fermi, le città che diventano residenza e casa, il mare
come orizzonte di riferimento e apertura al mondo, l’Impero
asburgico come destinazione finale di un itinerario tra mondi che
muoiono e speranze che si consolidano.
La città di Fiume è lo spazio di formazione e circolazione di una
cultura mitteleuropea, tra montagna e mare, tra nazioni in costruzione
e imperi in disfacimento. Anche l’incontro tra le due famiglie, i Bucci e
i Perlow, ha una straordinaria capacità narrativa segnata dalle eredità
distinte dell’età degli imperi: la fuga dallo zarismo prima del crollo,
l’approdo alla multietnica realtà della dominazione asburgica. In
quello spazio (Fiume è italiana dal 1924) le bambine Bucci iniziano il
processo d’inserimento nelle dinamiche di una collettività più ampia:
educazione e formazione cattolica convivono con i segni della cultura
ebraica di una mamma, Mira Perlow, attenta e rigorosa, punto di
riferimento costante nel loro lungo cammino. Il padre, Giovanni Bucci,
lavora in mare, imbarcato su navi che solcano gli oceani, in
navigazione per lunghi periodi, ma in contatto attraverso gli
strumenti di allora con la sua famiglia. Il suo volto è consegnato a una
fotografia che ogni sera diventa un canale d’incontro e comunicazione
tra le figlie e una presenza distante ma continua
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