Ipnosi – Nei meandri della mente – Domenico Vasile

SINTESI DEL LIBRO:
Ogni volta che si ritrovava in quella sala d'aspetto, il povero Dan
Twice non poteva fare a meno di calarsi inconsapevolmente in uno
strano stato di agitazione. Eppure erano già otto ormai le sedute
avute in quello studio nel centro della città. La dottoressa Norma era
solita chiamarlo col suo classico cenno della mano affacciandosi
all'uscio della porta d'ingresso. Dan cercava di calmare i suoi battiti
accelerati guardandosi intorno, concentrandosi su qualsiasi cosa
fosse presente in quella stanza d'attesa. Una volta osservò così
tanto quel grande quadro appeso alla parete, raffigurante alcuni
cavalli indomiti, che ne poté sentire quasi il nitrito. Tant'è che la
dottoressa, in quell'occasione, lo dovette chiamare più volte prima
che ritornasse alla realtà. Dan era fatto cosi, conduceva una vita
monotona, nella sua bella casetta circondata dal prato sempre ben
curato, tagliato su misura. La sua auto sempre lucida e rimessa in
garage tutte le sere. Con la sua famigliola, di ceto medio alto, viveva
nella pacata cittadina di Portland nello stato dell'Oregon. Con le sue
aree verdi e la vicinanza dei fiumi che la rendevano rigogliosa ed
affascinante al tempo stesso. Il suo cane però, nell'ultimo periodo
risultava essere un po' nevrotico per la passeggiata quotidiana.
Quel meticcio color nocciola, che lo stesso Dan trovò cucciolo
anni prima, nei pressi del Washington Park, quella mattina di tanti
anni fa, in pieno inverno. Ricorda ancora oggi quel tenero episodio di
un cagnolino che emetteva piccoli lamenti ricoperto dai rifiuti,
accanto ad un bidone della spazzatura.
«Chissà quale essere malvagio lo abbandonò lì», pensò Dan .
Che non perse tempo, si tolse la giubba e lo ricoprì frettolosamente
per placarne il tremore. Lo portò a casa e cominciò ad accudirlo con
tanto amore fino a che non divenne un cagnone vivace e
scodinzolante.
Sembrava trascorso un lasso di tempo talmente ridotto ed
indefinibile eppure, erano ormai già sette anni che convivevano e
passeggiavano insieme lungo le rive del fiume Willamette, dove
sorgeva una lunghissima pista ciclabile, inaugurata proprio quando
Buck era ancora un cucciolo. Sì, quello era il nome che gli diede la
prima volta che lo prese in braccio alzandolo verso il cielo ed
esclamando in tutta felicità.
«Ehi, benvenuto tra noi! Ti chiamerò Buck».
La gioia di quel cane era scorrazzare su e giù per i larghi viali
senza l'ausilio del guinzaglio. Correva e saltellava rincorrendo
libellule nel parco. Alle volte si allontanava un po' troppo, ma
bastava un fischio e il padrone lo riportava subito ai sui piedi.
Dan aveva un modo singolare di fischiare, a differenza della
maggior parte dei suoi amici, che usavano il pollice e l'indice,
creando una sorta di anello a premere la lingua per far fuoriuscire il
suono, lui usava due mani portate alla bocca e per la precisione i
due mignoli all'unisono. Il suono che ne produceva era a dir poco
assordante. Lo aveva imparato per strada, durante i suoi giochi con
gli amichetti nella vecchia Portland di un tempo, quando si passava
la maggior parte della giornata all'aperto a correre nei campi e ad
arrampicarsi sugli alberi. La sua città era tanto cambiata negli ultimi
quarant'anni, ora di zona verde era rimasta solo l'area fluviale. Il
resto si ergeva in palazzi e grattacieli. Per quelli come lui, che ci
avevano passato una vita intera in città, in questi tempi moderni un
po' di rammarico rimaneva nell'animo. I suoi vecchi amici erano
quasi tutti andati via, chi per studio, chi per lavoro .
Solo un paio rimasero in città, ma pur vivendo nello stesso luogo
si erano persi di vista. Ai tempi dell'infanzia, con i suoi piccoli amici,
era solito scalare gli alberi di ciliegio, che in primavera sfoggiavano
dei colori vivaci nel loro periodo di massima fioritura. Molti di quegli
arbusti nascevano proprio di fronte al ponte di ferro sul fiume. Ponte
che loro stessi denominavano Il Mostro, per via della sua
mastodontica ferraglia ammassata tra le due rive del Willamette. Nei
pressi del ponte c'era un tratto di riva sabbiosa, che affiorava con la
bassa marea, a favorire le loro passeggiate e scorribande. Quella
rena diveniva un po' melmosa, con una sorta di acquitrino a
ricoprirla. Un albero di ciliegio era nato proprio a ridosso di quel
pantano, con le radici piantate su quella sponda posta qualche metro
più in alto della riva e alcuni rami che si estendevano sopra il fiume.
Dan era un abile scalatore e andava a posizionarsi proprio in
punta a quell'ultimo ramo, il più esposto. Così da poter guardare
dall'alto quello stagno, che si formava ad ogni riflusso. Seduto con il
ramo fra le gambe e i piedi incrociati a mantener salda la presa,
poteva scrutare la presenza delle rane di sotto. Lo stagnare delle
acque favoriva l'arrivo degli anfibi per la deposizione delle uova. Ad
ogni avvistamento, lo scaltro Dan richiamava i suoi amici col suo
tipico fischio assordante, indicando con un gesto della mano la
precisa posizione della preda. I suoi compagni lo guardavano da
sotto e poi partivano fulminei con la caccia, sguazzando festosi
nell'acqua bassa. Armati di fionde cercavano di colpire la disgraziata
di turno. Ad ogni rana catturata, Dan con il suo coltellino praticava un
intaglio su quel ramo. Memorabile fu quella giornata, quando i due di
sotto non facevano in tempo a fiondarne una, che subito arrivava il
fischio per la prossima. Ne catturarono ben una dozzina.
Il retino era strapieno quel dì, e a cavallo delle biciclette si partiva
per andare a consegnare il bottino a Zio Ennio, quello del ristorante
italiano. Il simpatico baffuto era sempre contento di vedere arrivare
le bici con i ragazzi. Quando sentiva gli schiamazzi davanti la porta
d'ingresso, usciva fuori con il suo grembiule unto e accennava quel
sorriso sotto i baffi, mentre si puliva le mani con lo strofinaccio, che
poi riponeva sulla spalla. I suoi piatti di rane fritte però, erano una
prelibatezza per i palati più fini. Dan odiava quell'odore di olio fritto e
rane, ma una volta ogni tanto Zio Ennio, per ringraziare i suoi
procacciatori di fresca materia prima, li riempiva di fritture da portare
a casa per la cena. La mamma di Dan ogni volta che lo vedeva
rientrare con il sacchetto sgocciolante, incominciava a sbraitare e gli
ripeteva adirata.
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