Il criminale – Julia Sykes

SINTESI DEL LIBRO:
Non sembro una prostituta. Non sembro una prostituta.
Quel mantra suonava falso alle mie stesse orecchie. I miei
vestiti erano lascivi e faticavo a nascondere l’imbarazzo per essere
così esposta. Le dita mi fremevano per il bisogno di abbassare l’orlo
della gonna in latex, ma mi fermai giusto in tempo, passando invece
le mani sul materiale scivoloso. Repressi l’impulso di digrignare i
denti.
Non rovinare tutto, Silverman.
Dovevo apparire imperiosa, del tutto sicura di me stessa e in
controllo. Ricordando i video che avevo studiato online, per
prepararmi all’operazione, cambiai espressione in qualcosa che
speravo passasse per cattiveria.
Con la coda dell’occhio, notai le labbra piene di Miller curvarsi
verso l’alto, come se trovasse divertenti i miei sforzi. L’irritazione che
mi invase quasi rovinò il mio tentativo di dimostrare gelido distacco.
Ero stata oggetto di quello sguardo da parte di Smith e Clayton
un sacco di volte, e se era irritante a morte, almeno avevano anni di
esperienza sul campo che rendevano sopportabile la loro arroganza.
Reed Miller era una matricola. Era appena stato assegnato all’unità
dell’FBI di New York tre giorni prima, non appena era uscito da
Quantico. Il fatto che mi avessero assegnato come sua partner era
una dimostrazione ulteriore della poca considerazione che gli uomini
avevano di me.
Diavolo, questo intero incarico era un insulto, un inutile lavoro per
far sentire utile la piccola e fragile agente donna. Miller e io eravamo
stati inviati in un locale BDSM, il Decadence, per indagare
sull’utilizzo di droghe. Non appena avessimo trovato le prove, l’FBI
avrebbe dato il via libera all’NYPD per fare una retata nel locale.
Ma la verità era che non c’era bisogno di coinvolgere l’FBI in
questa missione di ricognizione. Certo, ero stata assegnata alla Task
Force delle Gang Violente, ma quel lavoro comprendeva investigare
su traffici di droga e mafiosi, non arrestare della gente perché
folleggiava in modo sfrenato in un locale. Avrebbe dovuto essere
l’NYDP a occuparsi della cosa, non noi. Avrei dovuto essere
impegnata a fare il culo ai criminali e ad arrestare della feccia, non a
vestirmi come una puttana per usare le mie doti femminili per
raccogliere informazioni.
Soffocai uno sbuffo per nulla educato. Le doti femminili non
erano certo uno dei miei punti forti. Esempio emblematico:
barcollavo sui miei tacchi ridicolmente alti. Ero abituata a scarpe
sensate, cazzo. Quegli stivali erano davvero poco pratici per
inseguire i criminali.
Le labbra di Miller fremettero ancora, alla mia chiara instabilità.
Quella pelle bronzea e i capelli neri lucidi potevano risultare attraenti
per qualche donna, così come la mascella marcata e quel sogghigno
a labbra piene. Io, d’altro canto, ero immune alla sua manifesta
virilità. Mi infastidiva troppo perché potessi trovarlo attraente. Non
sarebbe stato in grado di usare il suo aspetto attraente come una
distrazione, non con me.
Mi ripromisi di allenarmi con lui in palestra il prima possibile. Non
sarebbe stato più così arrogante, una volta che lo avessi atterrato di
fronte agli altri uomini. I suoi notevoli muscoli mi dicevano che la sua
forza gli avrebbe dato un vantaggio, ma avevo imparato a usare la
mia bassa statura a mio favore, in uno scontro. Lo avrei bloccato a
terra prima ancora che sapesse cosa lo aveva colpito.
Fu il mio turno di scoccargli un sorriso riservato e compiaciuto.
Lui inarcò un sopracciglio, intrigato e chiaramente colpito dalla mia
espressione sicura. Il mio compiacimento si acuì.
Miller pensava di essere speciale perché era un qualche tipo di
Dom cazzuto, ma non sarebbe stato così difficile simulare
l’atteggiamento arrogante che mi serviva. Il mio capo, Kennedy
Carver, lo aveva reclutato di persona nell’unità di New York affinché
conducesse quella missione con me. Kennedy aveva insistito che
fosse qualcuno che aveva sperimentato “quello stile di vita” ad
accompagnarmi.
C’erano così tanti Dom, nell’ufficio di New York e tra gli agenti
che lavoravano sul campo, che l’eccessivo testosterone stava per
soffocare il resto di noi. Stava diventando sempre più evidente che
Kennedy avesse delle preferenze di un certo tipo sul chi assumere.
Immaginai di dovermi sentire fortunata che le iniziative sulle pari
opportunità lo avessero con ogni probabilità costretto ad assoldarmi.
Con la mia anatomia femminile ero un’assunzione praticamente
obbligata, un fatto che mi faceva ulteriormente arrabbiare. Avrei
preferito sapere di aver guadagnato la mia posizione grazie ai miei
meriti.
Raddrizzai le spalle. Miller pensava che avrebbe portato avanti
questa operazione perché era un “vero” Dom, ma io avevo fatto le
mie ricerche. Gli avrei mostrato che quel suo atteggiamento
pretenzioso era facile da imitare, piuttosto che essere una qualche
elusiva qualità che in qualche modo lo rendeva superiore a me. Dar
prova di me stessa sarebbe stata una battaglia in salita, ma sarei
diventata un rispettato agente operativo, dannazione.
A essere sinceri, i video che avevo trovato nelle squallide
profondità di internet mi avevano portato a credere che i Dom
fossero semplicemente delle persone in preda a un delirio di potere.
Ero incappata in alcune scene orribili. Certo, avevo solo visto dei
trailer, anziché comprare i video interi – non volevo proprio avere
quella transazione sulla mia carta di credito – ma quei brevi spezzoni
erano stati sufficienti a disturbarmi. Immagini di donne che ridevano
mentre torturavano uomini sottomessi, e di uomini che degradavano
donne, mi avevano fatto sentire male. Non capivo affatto quello stile
di vita. E non capivo come a Kennedy, Smith e al dolce Clayton
potessero piacere simili perversi atti sessuali.
Scacciai dalla mia mente immagini di Clayton che mi legava e mi
sculacciava. Alcune delle donne in quei video non avevano urlato dal
dolore e quelle immagini mi avevano condotto ad alcuni sogni
decisamente sconcertanti, che comprendevano il mio splendido
amico.
Resta concentrata, Silverman, mi rimproverai.
Non importava che capissi il BDSM. Tutto ciò che contava era
che portassi avanti per qualche ora quella farsa di comprenderlo,
così da poter fare un lavoro dannatamente buono e colpire quelli
dell’ufficio.
«Dovremmo dividerci,» dissi a Miller. «Non voglio che la gente
pensi che siamo una coppia. Sarà più facile mescolarci alla folla, se
siamo single.»
Lui mi scoccò un sorriso sghembo, con un irritante lampo arguto
negli occhi neri. «Non so se sia una buona idea lasciarti qui da sola.
Non tutti i Dom sono gentili, e ad alcuni piace cacciare le belle
novelline. Anche quando sono vestite da Domme.»
Non sussultò nel ricevere la mia occhiata torva. La mia irritazione
salì di un’altra tacca. «Ascolta, Miller. Se pensi per un attimo che ti
permetterò di prendere il comando, ti sbagli di grosso. Vorrei
ricordarti che sei tu il novellino, qui, non io.»
Non potevo rinfacciargli di essere una matricola in modo
esplicito, ma il significato era chiaro.
Lui sollevò le mani, in un gesto accondiscendente e calmante.
«Ehi, sto solo cercando di guardarti le spalle. Sono qui perché tu sei
fuori dal tuo elemento.» Fece un cenno con il mento verso due
uomini che erano appoggiati al bancone. Delle strisce di pelle,
sottolineate da anelli argentati, si incrociavano sui loro petti nudi.
Sorrisero entrambi e chinarono gli sguardi ammirati, quando lanciai
un’occhiata nella loro direzione.
«Puoi aver ingannato i sub,» continuò Miller, «ma i Dom più
esperti vedranno la verità, non importa come sei vestita.» La luce
arrogante abbandonò i suoi occhi e la sua espressione tornò seria.
«Sono il tuo partner in questa missione perché il mio compito è
guardarti le spalle in un territorio che non ti è familiare. Dovremmo
rimanere assieme.»
Il mio cipiglio rimase al suo posto. «Se vuoi guardarmi le spalle,
sentiti libero di farlo. Ma io mi concentrerò a fare il mio lavoro.»
Per puntualizzare le mie parole, mi girai di scatto, facendo
volteggiare i miei lucidi riccioli neri, mentre gli davo letteralmente le
spalle. Il suo sorriso, mentre barcollavo sui tacchi, mi fece digrignare
i denti. Rilassando i lineamenti, ritrovai di nuovo l’equilibrio e con
sicurezza mi diressi a larghi passi verso il dungeon.
Mi resi conto subito di quanto sarebbe stato difficile fingere
noncuranza. Guardare trenta secondi di video e qualche immagine
in anteprima sul mio computer non aveva nemmeno cominciato a
prepararmi alla realtà.
Un uomo urlò e io sussultai, girandomi per fronteggiare la
minaccia. Era incatenato al muro e una snella donna bionda, in una
tuta di latex, gli stava stringendo le palle con le unghie. Puro veleno
le uscì dalle labbra, mentre diceva all’uomo quanto fosse indegno,
quanto fosse piccolo il suo cazzo e quanto lui fosse patetico. I suoi
occhi verdi sembravano faticare a mettere a fuoco e c’era del sudore
sul suo sopracciglio. Quella donna era chiaramente fatta di qualcosa
e avevo la sensazione che non fosse adrenalina.
«Grazie, Mistress!» L’uomo urlò la sua gratitudine per gli insulti, i
lineamenti contorti per il dolore. Mi si rivoltò lo stomaco. Come
poteva il resto della gente rimanere ferma a guardare una simile
crudeltà? Come potevano non dire nulla, quando questa donna
drogata stava facendo del male all’uomo incatenato?
Mi morsi un labbro. Magari era normale? Per quanto odiassi
ammetterlo, anche a me stessa, ero fuori dal mio elemento.
All’improvviso mi sentii nervosa, a disagio. Mi pervase quella
sensazione nauseante di essere intrappolata in una situazione
mortificante. Tanto valeva che fossi nuda, di fronte a tutte quelle
persone, con un enorme riflettore puntato su di me, che faceva
luccicare la mia pelle color mocaccino.
Solo che avevo la sensazione che nessuno dei presenti avrebbe
battuto ciglio alla mia nudità.
L’uomo urlò ancora, il suono profondo che penetrò nel mio ovvio
turbamento. Reprimendo un brivido, andai avanti. L’adrenalina
cominciava a pervadermi, in risposta al senso di disagio per quel
posto. Le mani minacciavano di tremare. Me le strinsi dietro la
schiena. Avanzare in quel luogo spaventoso con le spalle
orgogliosamente dritte sarebbe stato molto meglio che tenere le
mani strette in due pugni tesi lungo i fianchi.
Questa volta fu un urlo di donna a perforarmi le orecchie. Solo
che quelle urla avevano una sfumatura differente. Erano più calde,
meno simili a grida. Non risvegliarono il mio istinto protettivo, come
invece avevano fatto quelle dell’uomo. Decidendo che quella doveva
essere una scena più sicura da guardare, senza andare fuori di
testa, feci del mio meglio per dirigermi a passo lento verso quel
suono.
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