Il cavaliere di Artù, Io, Lancillotto – Jack Whyte

SINTESI DEL LIBRO:
Appena sono entrato nella stanza ho
visto l'uccello disteso in una pozza
di luce. Era nell'angolo in fondo,
accanto al focolare che costruii
quando arrivai qui, più di vent'anni
fa. Ho riconosciuto la sua sagoma
immobile, e ho provato un
immediato rimorso comprendendo
perché quel mattino non avevo udito
il suo canto familiare dalla mia
camera da letto. Lo sfolgorio della
luce in cui era immerso mi ha fatto
capire cos'era successo: l'uccello era
entrato dalla finestra e poi, accecato
dall'improvvisa oscurità della stanza,
era finito contro un muro ed era
morto.
Era un merlo, una piccola, lustra
creatura interamente nera, salvo
l'arancio vivo del becco. Mentre mi
chinavo su di lui a osservare una
delle sue ali miseramente spiegata
sul pavimento di pietra, ho pensato
che nulla in quell'esserino faceva
sospettare che la sua fragile struttura
potesse imprigionare un canto di
potenza e volume così miracolosi.
Quando cantava, lo si poteva sentire
a miglia di distanza nelle silenziose
sere d'estate. La sua voce e il suo
magico potere trascendevano e
contraddicevano l'esiguità fisica del
cantore.
Mi sono accovacciato con cautela,
conscio della precarietà delle mie
ginocchia cariche d'anni, e ho
raccolto l'uccello morto, cullandolo
nella mia mano e ripiegandone le ali
già quasi rigide, mentre la sua
testolina penzolava dal collo
spezzato. Così piccolo,
rappresentava una perdita enorme
per i miei risvegli mattutini, e per
chiunque altro fosse raggiunto dal
suo canto. Un merlo, una voce di
immensa bellezza e purezza, zittita
per sempre. E pensando
semplicemente al suo nome, un altro
dolore più profondo mi ha invaso
all'improvviso: nella mia mente si
sono creati collegamenti e
associazioni, e di colpo i miei occhi
si sono riempiti di lacrime. Mi sono
alzato e ho respirato a fondo per
calmarmi, appoggiandomi con una
mano alla cappa di pietra del
camino, mi sono asciugato gli occhi
con la manica guardandomi attorno
in quella stanza vuota che racchiude
tanti ricordi e tanti compiti lasciati a
metà.
Non servono fuochi nelle case, qui
nel calore della Gallia meridionale,
ma quando giunsi in questa zona per
la prima volta, molti anni fa, avevo
ancora la mente piena di ricordi
delle lunghe, belle serate trascorse in
un'altra terra lontana nel nord-ovest,
sprofondato in una comoda sedia
davanti alle fiamme che guizzavano
in un camino di pietra, e così mi
concessi il lusso di costruirne uno
simile qui, nella mia nuova casa.
Una volta che l'ebbi terminato,
naturalmente, la realtà ebbe la
meglio e il fuoco raramente venne
acceso, con un pizzico di
divertimento da parte di mia moglie.
Ma spesso mi sedevo per ore di
fronte al focolare silenzioso nelle
lunghe sere autunnali, fissando la
legna secca e sognando il passato, e
col tempo quest'abitudine è rimasta
mentre il ricordo del tepore del
fuoco si è affievolito. Da quando è
morta mia moglie, sono stato l'unico
a utilizzare questa stanza e ho
acceso il fuoco quattro volte, solo
per il piacere di guardare nel cuore
delle fiamme e interpretare le
immagini che mi sembrava di
vederci dentro. Oggi sarebbe stata la
quinta volta, se non avessi trovato
l'uccello.
Qualche istante dopo aver raccolto il
cadaverino, mi sono ritrovato fuori
di casa a scavare col tallone una
piccola cavità nell'erba sotto la
finestra, poi mi sono inginocchiato
per scavare più in profondità col mio
pugnale in modo da trasformarla in
una tomba. Ho seppellito lì l'uccello,
cercando di non chiedermi perché
facessi una cosa del genere, poi sono
tornato qui e ho trascinato questo
pesante tavolo davanti alla finestra,
sedendomi a scrivere per la prima
volta da anni. Ed eccomi qui, a
scrivere di un uccello morto e dei
ricordi che ha fatto riaffiorare in me.
Dieci anni fa, un anno dopo la morte
della mia amata moglie e spinto da
un impulso che non riuscivo a
ignorare, feci il viaggio più triste
della mia vita, anche se quando lo
intrapresi ero convinto che nulla
avrebbe potuto accrescere la
tristezza che avevo conosciuto negli
ultimi anni. Smisi i miei ricchi abiti
e mi vestii come un uomo qualsiasi,
per passare inosservato, poi traversai
il braccio di mare verso la Britannia
in una robusta, solida barca che
apparteneva a un mio vecchio e
onorato amico.
Non partii da solo. Sarebbe stata una
follia assoluta per un uomo della
mia età, anche se mi rifiutavo di
considerarmi vecchio. Inoltre, quelli
che mi amano e si preoccupano per
me avevano rapidamente stabilito,
dopo aver saputo cosa avevo in
mente, che dovevo essere pazzo a
rischiare la mia vita sul mare e in
una terra famigerata per i suoi
abitanti selvaggi dagli strani
costumi. Dapprima tentarono di
dissuadermi, ma poi, vedendomi
deciso a partire malgrado loro,
pretesero che viaggiassi con una
scorta. Così scelsi di farmi
accompagnare dal più giovane dei
miei figli, Clovis, e da nove dei suoi
più cari amici e compagni. Erano
tutti giovani guerrieri, ancora celibi
e nel fiore degli anni, dotati delle
armi migliori che i nostri armaioli
fossero in grado di produrre - spade
dalla lunga lama e asce di ferro
perfettamente temprato - quindi
nessuno avrebbe potuto negare che
fossero la migliore protezione
possibile. Così accompagnato, partii
per la Britannia col beneplacito, se
non con la benedizione, dei miei
consiglieri.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo