Il battito del sangue – Tess Gerritsen

SINTESI DEL LIBRO:
Già dalla soglia sento odore di libri antichi, profumo di carta vecchia
e di rilegature di pelle consunte. Gli altri negozi di antiquariato di
questa via lastricata hanno il condizionatore acceso e la porta chiusa
contro la calura, invece questo è aperto e mi invita a entrare. È il mio
ultimo pomeriggio a Roma, l’ultima occasione per comprare un
souvenir. Ho già preso una cravatta di seta per Rob e un vestitino
con le balze per nostra figlia, Lily, che ha tre anni, ma per me non ho
ancora trovato niente. Nella vetrina dell’antiquario, però, ho visto
finalmente quello che cercavo.
Entro. La penombra è talmente fitta che mi ci vuole un attimo
perché gli occhi si abituino. Fuori si boccheggia, ma lì fa
stranamente fresco. Ho la sensazione di essere entrata in una
caverna dove luce e calore non arrivano mai. Lentamente gli oggetti
prendono forma nella semioscurità: scaffali carichi di libri, vecchi
bauli e, in un angolo, un’armatura ossidata da cavaliere medievale.
Alle pareti sono appesi brutti dipinti a olio dai colori sgargianti,
corredati ciascuno da un cartellino ingiallito con il prezzo. Non mi ero
accorta del proprietario, in piedi in una specie di nicchia, e faccio un
salto quando all’improvviso mi rivolge la parola in italiano. Mi volto e
vedo un uomo basso, una specie di gnomo dalle folte sopracciglia
bianche.
«I’m sorry» rispondo. «No parlo italiano.»
«Violino?» mi chiede indicando la custodia che ho sulle spalle. Il
mio violino è troppo prezioso e quando viaggio non lo lascio in
albergo, lo porto sempre con me. «Musicista?» domanda ancora,
afferrando con la destra un archetto fantasma per mimare il gesto.
«Sì, sono una musicista. Americana. Ho suonato stamattina al
festival» spiego in inglese. L’antiquario annuisce educatamente, ma
credo che non abbia capito una parola. Gli indico l’oggetto che ha
attirato la mia attenzione nella vetrina. «Mi fa vedere quel libro?
Quello di musica.»
L’uomo lo prende dalla vetrina e me lo porge. Capisco che è un
libro molto vecchio dalla sottigliezza delle pagine. È intitolato
Canzoni zigane ed è una raccolta di spartiti, con un violinista
scarmigliato in copertina. Lo apro e il primo brano è in chiave
minore. Non lo conosco. È una melodia triste e già mi fremono le
dita, ansiose di suonarla. È il genere di musica che cerco, vecchie
arie dimenticate che meritano di essere riscoperte.
Mentre sfoglio le pagine per dare un’occhiata agli altri brani, dal
libro cade un foglio. È un foglio di carta da musica scritto a mano,
note fitte tracciate a matita sui pentagrammi. Anche il titolo della
composizione è scritto a mano, in una grafia inclinata, elegante.
Incendio, di L. Todesco.
Comincio a leggere e le note risuonano nella mia mente. Mi
accorgo subito che si tratta di un bellissimo valzer. Comincia con una
melodia semplice in mi minore, ma alla sedicesima battuta diventa
più complessa. Alla sessantesima, le note si infittiscono ancora e ci
sono accidenti dall’effetto dissonante. Giro il foglio e le battute,
sempre scritte a matita, sono molto fitte. Una serie di arpeggi
rapidissimi trasforma la melodia in un vortice di note che mi fanno
rabbrividire.
Lo voglio!
«Quanto costa?» chiedo. «Questo spartito e anche il libro?»
Il proprietario del negozio mi guarda con aria furbesca. «Cento
euro.» Tira fuori una penna e si scrive il numero nel palmo della
mano.
«Cento euro? Scherza?»
«È antico. Very old.»
«Non esageriamo.»
L’uomo alza le spalle: prendere o lasciare. Mi ha letto negli occhi
che lo voglio a tutti i costi, che sono disposta a pagare qualunque
cifra per quel vecchio volume di canzoni zigane. La musica è il mio
unico lusso. Gioielli, scarpe o vestiti firmati non mi interessano.
L’unico accessorio cui tengo veramente è il violino che ho sulle
spalle, che ha cento anni.
L’antiquario batte lo scontrino e io esco, ritrovandomi nell’afa
appiccicosa del pomeriggio. Eppure sento uno strano freddo dentro.
Mi volto verso il negozio e guardo la vetrina, le due gargouille
identiche ai lati del frontone, la maniglia a forma di testa di Medusa.
Un raggio di sole si riflette sull’ottone e mi abbaglia. La porta della
bottega è chiusa, adesso, ma dietro il vetro impolverato il
proprietario mi guarda, abbassa la veneziana e sparisce.
Mio marito Rob è felice della cravatta di seta che gli ho portato da
Roma. Se la annoda abilmente davanti allo specchio di camera
nostra. «Proprio quello che ci voleva per ravvivare un po’ la riunione
noiosissima che mi aspetta» commenta. «Spero che li tenga svegli
durante la mia analisi dei dati.» Nato e cresciuto a Boston, Rob ha
trentotto anni ed è ancora bello e scattante come il giorno in cui ci
siamo sposati, benché in questi dieci anni gli sia venuto qualche
capello grigio. Camicia bianca inamidata e gemelli d’oro ai polsi, ha il
look dell’esperto di economia e finanza che è. Per lui contano solo i
numeri: utili e perdite, attività e passività. Vede il mondo in termini
matematici ed è preciso e meticoloso anche nei movimenti, nell’arco
che descrive con la cravatta per annodarla. Quanto siamo diversi!
Gli unici numeri che interessano a me sono quelli delle sinfonie e
delle opere e i tempi segnati sugli spartiti. Rob dice che è stato
questo a conquistarlo: il fatto che, contrariamente a lui, sono
un’artista, una creatura eterea che danza nel sole. All’inizio temevo
che fossimo troppo diversi per poter stare insieme, che Rob,
essendo un uomo con i piedi per terra, si sarebbe stancato di una
donna che spesso si perde fra le nuvole. Invece sono passati dieci
anni e siamo ancora innamorati.
Rob mi sorride nello specchio mentre si aggiusta il nodo alla
cravatta. «Ti sei svegliata prestissimo stamattina, Julia.»
«Sono ancora sintonizzata sul fuso di Roma. In Italia è già
mezzogiorno. È il vantaggio del jet-lag: pensa quante cose riuscirò a
fare oggi.»
«Secondo me, prima di pranzo crolli. Vuoi che porti io Lily
all’asilo?»
«No, voglio tenerla a casa, oggi. Mi sento in colpa per essere stata
via tutta la settimana.»
«Non è il caso. E poi tua zia Val è stata qui e ha pensato a tutto.
Come al solito.»
«Be’, Lily mi è mancata da morire. Voglio passare tutta la giornata
con lei.»
Rob si volta con la cravatta impeccabilmente annodata. «Che
programmi hai?»
«Visto che fa così caldo, mi piacerebbe portarla in piscina. Poi
magari passiamo dalla biblioteca e prendiamo in prestito qualche
libro.»
«Ottima idea.» Si china a baciarmi e la sua pelle rasata di fresco
profuma di agrumi. «Mi intristisco quando sei via, tesoro» mormora.
«La prossima volta prendo una settimana di ferie e vengo con te.
Non sarebbe più...»
«Mamma, guarda come mi sta bene!» Nostra figlia entra in
camera a passo di danza e fa una piroetta sfoggiando il vestitino che
le ho portato da Roma. Se lo è provato ieri sera e stamattina lo ha
voluto mettere a tutti i costi. Mi corre incontro con tutta l’energia dei
suoi tre anni e mi si butta fra le braccia. Cadiamo sul letto insieme
ridendo. Non c’è niente di più bello del profumo della mia bambina.
Vorrei poterla inspirare, assorbire ogni molecola di cui è fatta e
tornare a essere un corpo solo con lei. La stringo a me, riccioli biondi
e balze di stoffa color lilla, mentre ride felice. Anche Rob si sdraia sul
letto e ci prende fra le braccia.
«Le due ragazze più belle del mondo!» esclama. «E sono tutt’e
due mie!»
«Papà, non andare a lavorare» lo prega Lily.
«Magari potessi, tesoro.» Rob le schiocca un bacio sulla testa e, a
malincuore, si rialza. «Papà deve andare in ufficio. Ma tu sei una
bambina fortunata e potrai passare tutta la giornata con la mamma.»
«Mettiamoci il costume» propongo. «Ci divertiremo un sacco.»
E infatti ci divertiamo. Facciamo il bagno in piscina, a pranzo
mangiamo pizza e gelato e poi andiamo in biblioteca, dove Lily
sceglie due libri illustrati che hanno per protagonisti i suoi animali
preferiti, gli asini. Torniamo a casa alle tre del pomeriggio, e io sono
già sfinita. Come previsto da Rob, la levataccia si fa sentire e l’unico
mio desiderio sarebbe mettermi a letto e dormire.
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