I figli della libertà – Le cronache di Braveheart – Jack Whyte

SINTESI DEL LIBRO:
Ancora adesso, più di
cinquant’anni dopo, non ho
difficoltà a immaginare un uomo
meno propenso a diventare un
paladino. Eppure per me lo è stato,
perché ci ha salvato la vita,
restituendoci senso del dovere e
lucidità mentale, rinvigorendo la
nostra dignità schiacciata nella
peggiore delle situazioni. Era forse
l’uomo più brutto che avessi mai
visto ed è diventato ben presto uno
dei maggiori punti di riferimento
della mia giovane vita. Quella
famosa sera, quando ci svegliammo
da un sonno esausto, vedemmo la
faccia mostruosa, verdognola e
glabra, di un demonio che ci
osservava dall’alto.
Farfugliammo dal terrore, perché
per due giorni interi avevamo corso
su e giù per le colline, inciampando
e cadendo accecati da lacrime e
dolore, singhiozzanti e confusi,
convinti di essere catturati e uccisi
dagli uomini che ci inseguivano.
Non avevamo idea delle miglia
macinate né della distanza percorsa.
Sapevamo solo di dover continuare a
correre. A volte, inermi perché
esausti, ci fermavamo a riposare,
rannicchiandoci in qualunque luogo
offrisse un minimo di nascondiglio,
ma non osavamo mai rimanere a
lungo, perché gli inseguitori
avevano gambe ben più lunghe delle
nostre e sapevano che avremmo
potuto farli condannare per i crimini
commessi. Così, non appena
ritrovavamo le forze, riprendevamo
a correre. Bevevamo l’acqua dei
ruscelli, ma non ci fermavamo mai a
cacciare o a pescare. Non potevamo
nemmeno rubare del cibo, perché
eravamo sempre in mezzo alla
campagna ed evitavamo persone e
luoghi che potessero ospitare i nostri
inseguitori.
Giunti in cima a una lunga salita
nella brughiera ci accovacciammo
dietro un cespuglio di felci,
guardandoci alle spalle, stupiti dal
fatto di avere una visuale di miglia e
miglia e che nessuno ci stesse dando
la caccia. Aguzzammo la vista, ma
sul pendio vedemmo solo lepri e
forse un cinghiale a più di un miglio
sotto di noi. Alla fine ci
convincemmo che non c’erano
assassini feroci a inseguirci.
Davanti a noi la collina scendeva
dolcemente verso un pianoro erboso
delimitato sulla destra da un torrente
di montagna che si infilava tra gli
alberi.
Will li indicò. «Andiamo là. Non
ci vedrà nessuno e potremo
dormire.»
Appena ci incamminammo, mi
sentii barcollare, incapace di pensare
ad altro che alla dormita che ci
saremmo fatti. Ormai era
pomeriggio inoltrato e il sole
allungava le nostre ombre. L’erba
era bassa e camminare era facile.
Raggiungemmo il limitare del
sentiero e saltammo giù nella prima
conca che trovammo, una profonda
fossa erbosa riparata dalle cime
degli alberi che si ergevano dal
burrone sottostante. Nel giro di
qualche secondo ci
addormentammo.
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