I cani del Sinai – Franco Fortini

SINTESI DEL LIBRO:
Gli avvenimenti hanno cominciato ad allontanarsi. Era tempo che
qualcuno provasse un sentimento di vergogna. Non per
l’atteggiamento assunto, per la scelta compiuta, razionale o emotiva.
O non ancora. Prima di ogni altra considerazione: per essere stato
così bene scaldato dalla propaganda. Vergogna è però troppo grave
parola. Meglio: leggero dispetto, fastidio.
Un sentimento molto probabilmente previsto dagli specialisti della
propaganda. Quel che conta è, come in guerra, non mancare il
primo colpo, impegnare in una direzione. La gente non ama
ricredersi. Quando dovrà farlo, lo farà in segreto. La certezza
dell’inganno si muterà in cinismo. Guadagno per la causa della
conservazione. Gli indifferenti sono i suoi più certi alleati.
La diversione: perfetta. Un piccolo capolavoro. Tutto in ordine,
compresa la prevista incapacità dei nostri funzionari comunisti di
prevedere, di interpretare, di esprimere in tempo utile ragioni buone
e non cattive; intendo ragioni comuniste, non soltanto proarabe. Ho
pensato al senso di frustrazione e di inganno che nei più giovani si
accompagnerà alle emozioni del giugno scorso. Anche questo un
risultato a favore del peggio. [13]
2.
I servizi televisivi: arma totale. Il corrispondente Arrigo Levi, lucido,
persuasivo, controllato. Il suo fantasma sommava tutte le qualità
positive del medio occidentale colto, modestia compresa. Il
messaggio fondamentale era: sono obiettivo. «Sono obiettivo» vuol
dire che la scelta è stata compiuta prima, dietro le quinte. Una scelta
su cui si è a tal segno tutti d’accordo che non c’è nemmeno bisogno
di parlarne. Ma l’a-fondo supremo era quel cognome rituale che
appariva e spariva a intervalli durante le grandi orchestrazioni dei
corrispondenti mentre si succedevano come figure di tarocchi gli
emblemi del giuoco dei potenti: il Cremlino, i minareti del Cairo, il
Campidoglio di Washington, la strada di Tel Aviv. Introduceva nel
dramma uno straordinario effetto d’eco, uno strazio-dell’-anima.
Quello strazio poteva essere autentico? Tanto meglio. «Sono
obiettivo», diceva quel volto; e l’educato accento ripeteva. «Il mio
cognome non deve contare, sono l’informazione, il servizio al
pubblico, rappresento la democrazia, il fair play, la civiltà, il bene».
[15]
3.
Gli avvenimenti hanno cominciato ad allontanarsi. L’opinione
comunista avvertiva che i sovietici, accusato il colpo, stavano
cercando una via d’uscita; e, l’opinione democratico-melensa, che gli
israeliani dimostravano una efficienza quasi esagerata, che il
napalm, i prigionieri egiziani spediti senz’acqua nel deserto, il
massacro dei giordani, l’occupazione di Gerusalemme, mal
s’accordavano con l’immagine del piccolo popolo in lotta per la vita,
cara alla propaganda e pure, per una sua parte, vera. Noi ci siamo
riuniti a Torino – c’erano più o meno tutti quelli di «Quaderni rossi» e
di «Quaderni piacentini» – il documento poi pubblicato mi è parso
buono, abbastanza chiari i termini politici della questione: il conflitto
ha concluso l’assunzione, da parte delle dirigenze politiche
israeliane, di un mandato di compartecipi e di uomini di mano degli
interessi economico-militari americani e, subordinatamente, inglesi in
quella parte del mondo; e ha confermato il fallimento della politica
sovietica dimostrando inconciliabili la coesistenza e il sostegno delle
borghesie nazionali del Terzo Mondo in funzione antiamericana. Il
documento ha dato anche molta importanza, giustamente, al ruolo
della Cina, criticandone l’atteggiamento assunto come esempio, non
unico, di incoerenza fra la politica interna di quella rivoluzione e
quella internazionale.
La vera lezione è stata nel moto dell’opinione. Uno storico francese
ha scritto che solo dopo l’esplosione antiaraba e filoisraeliana a
Parigi («Algérie française…») ha capito, fisicamente, che cosa
fossero stati i giorni della dichiarazione di guerra [16] del 1914 a
Parigi e a Berlino. Questa frase, fra qualche mese, parrà una rozza
esagerazione. I soli a non perdere la testa: quelli che avevano
perduto le penne a Suez undici anni prima, gli inglesi. Rammento i
giorni di Budapest: era stata una prova angosciosa soprattutto per i
comunisti, la partecipazione emotiva dell’opinione non comunista era
stata convogliata tutta entro formule già provate da tanti anni.
Rammento le poche migliaia di manifestanti in piazza, la sera della
crisi cubana. No, questa volta la guerra di Israele scatenava nei
nuovi, nei recenti piccoli borghesi italiani la volontà di essere dalla
parte buona, gustata per breve ora ai tempi di Kennedy e Giovanni
XXIII, di liberarsi dalla colpa fascista – l’unica che in parte, e solo
nella forma di nazismo tedesco, quel ceto è disposto a riconoscere –
di scaricare sull’Arabo l’odio accumulato contro la generazione dei
padri, la miseria, la madre contadina, l’esuberanza, gli stracci, la
boria militare, l’analfabetismo… C’è già stato chi ha scritto queste
cose: faute de mieux, su di una rivista d’avanguardie letterarie.
Sensibile alle vibrazioni dell’opinione, un giornalista come Bocca ha
inteso o qualcuno gli ha fatto intendere che ormai certe verità
possono esser dette; e consiglia prudenza agli amici di Israele,
soprattutto a quelli che più hanno abbaiato contro gli straccioni, gli
analfabeti incapaci di usare un’arma…
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