E il diavolo si innamorò – Marta Arvati

SINTESI DEL LIBRO:
Ma guardali! Da secoli calpesto questo suolo, mutando vesti e
identità, e non se ne sono mai accorti. Mi temono, eppure non si
rendono conto che cammino in mezzo a loro. Basta così poco per
ingannarli, così poco per soggiogarli, tanto sono vulnerabili e fallaci
le loro menti mortali, e deboli i loro cuori.
Mi diverto, lo ammetto, a interpretare ruoli diversi. Adesso sono
qui, con l’aspetto che più mi aggrada, in questa città, una città come
tante altre. Domani potrei essere altrove, con un altro volto, un altro
nome. Questo è un po’ il mio parco giochi personale. Però, ho
sempre fatto le cose per bene, senza mai tralasciare alcun dettaglio.
Ho attraversato svariate epoche calandomi alla perfezione in ogni
contesto, senza mancare di crearmi un background credibile alle
spalle. E poi, quando mi stanco, cancello tutto, lasciando soltanto
una misera scia di ricordi più o meno fittizi in coloro che, per
quell’infinitesimale frazione di tempo, hanno fatto parte del mio
gioco. D’altronde, essere in possesso di certe facoltà particolari,
soprannaturali, come dicono gli essere umani, ha i suoi vantaggi. E
io ho intenzione di godermeli tutti. Qui posso farlo, mentre là sotto,
dove mi hanno relegato, sinceramente ci si annoia un po’. Non per
niente a volte alcuni miei coinquilini dei piani bassi provano a farsi
avanti in questo mondo. Ma io, francamente, non approvo certi
mezzucci rozzi e volgari come quelle che, da queste parti, vengono
chiamate possessioni demoniache. Meglio camminare in mezzo a
queste ignare creature, come uno di loro, solo nell’aspetto si intende.
La mia natura non è minimamente paragonabile a quella di questi
esseri inferiori, mortali e limitati.
Al momento mi sto dilettando a vestire i panni di un giovane
facoltoso imprenditore, Damon Steal. Nel passato che ho
accuratamente ricostruito, ho ereditato un patrimonio dai miei
genitori, morti in un incidente d’auto. Finché ne avrò voglia, Damon
Steal farà parte di questo mondo, lo dimostrano documenti, foto,
conti in banca... una realtà fittizia che ho generato con uno schiocco
di dita, e alla quale con altrettanta facilità porrò termine quando me
ne sarò stancato. Anche se, obiettivamente, questo ruolo mi sta
piacendo parecchio, è una delle mie interpretazioni migliori.
Fortunatamente posso evitarmi di vivere queste esistenze fasulle fin
dall’inizio: gli esseri umani, da bambini, sono terribilmente fastidiosi,
insopportabili, e quella fase della loro scialba vita me la risparmio
volentieri.
Sono secoli che mi aggiro tra di loro e sinceramente non ho mai
trovato nessuno che attirasse davvero la mia attenzione. Nessuno
che solleticasse il mio istinto più recondito. Ammetto tuttavia che mi
diverte osservarli mentre da soli si distruggono, impugnando le armi
gli uni contro gli altri, e il bello è che imputano a me tutto il Male che
li circonda, mentre in verità io non faccio nulla, a parte stuzzicarli,
provocarli, di tanto in tanto. Alla fine, il merito è solo ed
esclusivamente loro, della loro natura meschina e ambigua. Il Male,
così come il Bene, è una scelta, nessuno ne detiene la piena
proprietà, nemmeno io. La decisione è loro, io mi limito a osservarli
e, al massimo, tentarli.
Mi siedo al solito bar, occupando uno dei tavolini che si
affacciano sulla piazza. I nomi di questi luoghi poco mi interessano,
così come i nomi di coloro che li abitano.
Una cameriera dalle curve generose mi si avvicina ancheggiando
sensuale e ammiccando con occhi felini. Bene, avrò compagnia
anche stasera.
«Vuole ordinare?» mi chiede sorridendo, e io in un attimo
percorro con gli occhi le sinuose forme del suo corpo.
Devo ammettere che questi involucri di carne non sono niente
male se gestiti bene, e determinate attività permettono di toccare
vertici di piacere indescrivibili. Non mi suona strano che la Lussuria
venga considerata uno dei sette Peccati Capitali: dal momento che
stiamo parlando di una materia che mi compete, ho il dovere di
approfondirla.
«Sei nuova?» le domando abbozzando un sorriso ammirato.
«Sono stata appena assunta» mi risponde compiaciuta.
«E come ti chiami?» insisto, proseguendo nella mia opera di
seduzione, fatta di sguardi, sorrisi appena accennati. Sta per cedere,
lo so. Alla fine, cedono tutte.
Di punto in bianco, una cosa pelosa non ben definita si infila sotto
il mio tavolino, emettendo fastidiosi mugolii e strusciandosi contro le
mie gambe. D’istinto mi sposto indietro con la sedia, puntando con
occhi ferini l’ammasso di pelo che ha interferito con i miei
programmi.
«Jimmy, vieni qui!»
Sollevo lo sguardo in direzione della voce cristallina che ho
appena udito e vedo farsi avanti a passo spedito una donna. In un
istante la inquadro: avrà all’incirca trent’anni, capelli lisci castani
raccolti in una coda di cavallo, fisico asciutto e atletico sul quale
risalta il seno prosperoso che si scorge sotto la stoffa tesa della
camicetta bianca. Nonostante l’abbigliamento sportivo, jeans
aderenti e scarpe da ginnastica, è sexy da morire. E non sembra
rendersene conto. Quasi non le importasse. Che creatura
singolare...
«Mi scusi» mi dice costernata, quando mi raggiunge.
«Questo... è suo?» domando indicando lo strano essere sotto il
tavolo, che immagino dovrebbe essere un cane.
«Sì, mi è scappato» si giustifica lei, mordendosi nervosamente il
labbro inferiore, e nel guardarla decido dentro di me che quella
bocca sarà mia, come tutto il resto.
«Mi si è rotto il guinzaglio» prosegue, sempre più in imbarazzo.
«Non c’è problema. A me piacciono i cani» mento
spudoratamente, però con classe, sfoderando un sorriso che
conquisterebbe chiunque.
Ma non lei, non questa donna, i cui occhi neri si socchiudono su
di me in un’espressione dubbiosa.
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