Cheer – Connie Furnari

SINTESI DEL LIBRO:
La vita mi aveva fregata per l’ennesima volta, ma non mi sarei
lasciata abbattere, perché non era mai stato nel mio stile.
Ero sempre riuscita a sopravvivere, in un modo o nell’altro, alle
avversità. Anche stavolta ce l’avrei fatta. Dovevo solo sforzarmi di
vederla in modo diverso.
Lanciai uno sguardo a mio padre, seduto sul sedile del
passeggero, accanto a me. Stavo guidando la sua Mercedes Benz
nera, dirigendomi verso il mio liceo.
Lui era chinato sul tablet, stava controllando la sua agenda
elettronica: quel giorno doveva avere un sacco di cose da fare, in
ospedale. Thomas Berkley, illustre chirurgo di San Diego, la città
dove avevamo sempre vissuto.
E che l’indomani avremmo lasciato.
Si accorse che lo stavo spiando, staccò i suoi occhi, color verde
chiaro come i miei, dal tablet e mi sorrise. Sembrava colpito.
«Che c’è?» alzai un sopracciglio.
Le mie compagne di scuola erano tutte pazze di mio padre.
Capelli neri ma brizzolati alle tempie, fisico prestante e alto,
camminata sciolta.
Non sembrava un medico reale, ma uno di quei dottori dei telefilm
come Grey’s Anatomy o E.R., somigliava a Patrick Dempsey.
In giacca e cravatta, stava benissimo.
«Sai guidare» rise. «Devo ancora abituarmi all’idea…»
«Papà, io guido oramai da due anni» mi strinsi nelle spalle e
sterzai. Eravamo quasi arrivati al mio liceo. Il vento mi scompigliò i
capelli, color rosso scarlatto, che di solito portavo sempre sciolti e
che mi arrivavano alla cintura dei jeans a vita bassa.
Visto che ero una carogna, non mi lasciai scappare l’occasione di
punzecchiarlo. «Certo, sarai stato molto occupato con le infermiere,
per accorgerti che la tua unica figlia è già all’ultimo anno di liceo…»
«Pam» mi riprese.
Divenne serio. Avevo esagerato.
«Scusa» mormorai, demoralizzata. «Tutta questa faccenda mi sta
uccidendo.»
«Per faccenda, ti riferisci al divorzio tra me e Tatiana?» chinò di
nuovo lo sguardo sul suo tablet, riaccendendo il display che era
andato in stand by. Era pieno di sensi di colpa, lo sapevo bene.
«So che sarà dura frequentare una nuova scuola a lezioni già
cominciate… ma è il Crown High, uno dei migliori licei privati di Los
Angeles. Il mio trasferimento non poteva capitare in un momento più
appropriato.»
Oramai avevo smesso da mesi di lottare.
Avevo accettato quasi un anno prima la decisione dei miei genitori
di separarsi. Non erano mai andati d’accordo, e il divorzio era la
soluzione più facile e più sbrigativa.
Per mia fortuna, sarei andata a vivere a Los Angeles con mio
padre, e non sarei rimasta a San Diego con mia madre: lei aveva
una boutique di abiti d’alta moda e gli affari andavano molto bene,
quindi non poteva spostarsi.
Buon per me. Tatiana Berkley era la quintessenza della donna
d’affari attaccata al denaro e avida di potere, e io avevo sempre
detestato le donne come lei.
Da qualche tempo, cominciavo a pensare che avesse sposato
papà solo perché era un chirurgo molto conosciuto.
Da mamma avevo ereditato solo i capelli, ma poiché non aveva
fatto altro che schiarirli, adesso i suoi erano diventati biondo platino.
E se c’era una cosa che io detestavo, erano le bionde.
I miei capelli erano rimasti color rosso scarlatto fin dalla nascita,
eredità dei nonni materni di origine irlandese.
«Mi odi, vero?» la domanda di mio padre non mi sorprese.
«Non odio te, papà» risposi, sincera. «Odio lei. Per come ci ha
sempre trattati.»
«Tua madre non è così male, cerca di capirla.» Eccolo, Thomas
Berkley. Lui era sempre un gentiluomo, non si smentiva mai.
Sarebbe stato un sogno incontrare, un giorno, un uomo simile.
Malgrado la moglie lo avesse sempre trattato di merda, attingendo
alle sue carte di credito per aprire la sua pidocchiosa attività, lui la
difendeva ancora.
Andare via con papà sarebbe stata la mia salvezza.
«Sarà un nuovo inizio» dissi più a me stessa che a lui.
«Bravissima, Pam» si complimentò, quando fermai la Mercedes
davanti al viale d’entrata del mio liceo. «Tu sei una ragazza forte. Ce
la faremo.»
Lo abbracciai, inspirando il suo profumo Armani. Scesi dalla
macchina e lui si spostò sul sedile del conducente.
Pochi studenti che erano appena arrivati, mi squadrarono storto,
convinti che io fossi la pupa di un gangster o di qualche ricco
spacciatore, visto che mio padre era un gran figo e non sembrava
per nulla un dottore.
Mi chinai, appena. «Papà, te lo ripeto per l’ennesima volta, devi
cambiare macchina. Sembri un mafioso italiano. La gente si aspetta
di vedere spuntare i mitra da sotto il paraurti anteriore.»
Si mise a ridere e ingranò la marcia. Lo vidi sparire tra il traffico
delle strade di San Diego. Sebbene gli avessi mostrato uno dei miei
tanti falsi sorrisi, mi sentivo stravolta.
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