Cane pallido – Heinrich Böll

SINTESI DEL LIBRO:
Quando Heinrich Perkoning aveva sedici anni, pensò per la prima
volta che era bello morire. In un grigio giorno di dicembre, mentre
passeggiava per la grande città in cui era nato, vide un vecchio
signore che conosceva seguire una prostituta giovane e insolente
nella sua casa. Di colpo provò un dolore così atroce da desiderare di
morire. E questa sua sofferenza, che gli sembrava incommensurabile,
cresceva in lui giorno dopo giorno. Vedeva troppe cose brutte e
cattive, ed erano così poche quelle di cui poteva rallegrarsi, che
decise di togliersi la vita. Non ne parlò a nessuno. Sopportò tutto
questo per un anno, e nessuno intuiva la sua sofferenza. Spesso era
sul punto di confidarsi, di parlare a qualcuno che sembrava ispirare
fiducia, ma ogni volta si ritraeva davanti alla superficialità che
incontrava e chiudeva il suo cuore.
Così adesso - era di nuovo un giorno di dicembre - camminava
lungo la riva del grande fiume e non pensava ad altro che a una cosa:
uccidersi, togliersi la vita con un atto di forza. Scendeva lentamente i
gradini di pietra che portavano al fiume e tremava. Sull'ultimo
gradino si fermò. L'acqua sciabordava sommessa sui sassi, invitante
come un'amica. Aveva già pensato a tutto: avrebbe indossato il
cappotto senza infilare le maniche e l'avrebbe chiuso fissandolo
dall'interno con una serie di spille in modo da non poter muovere le
braccia per nuotare. Rabbrividì pensando ancora una volta a tutti
quelli a cui la sua morte e il suo genere di morte avrebbero causato
dolore. La madre, il padre, i fratelli e pochi altri, amici e ragazze che
credevano di amarlo. Nel suo spirito li rivedeva passare tutti,
lentamente, in silenzio. Un moto quasi impercettibile di amore e di
nostalgia salì in lui ma non si lasciò frenare, già troppe volte aveva
lottato contro questi sentimenti. E nel suo spirito vide il volto
sofferente di un giovane sacerdote che sussurrava a bassa voce: «Il
Figlio dell'uomo non sapeva dove posare il capo, tanto era solo;
povero e solo era tra gli uomini, l'avevano abbandonato anche i suoi
discepoli, perché era giunta l'ora del distacco; solo la forza dello
Spirito Santo li sosteneva di fronte al tormento atroce e alla
spaventosa sofferenza per amore di Dio; e tuttavia il Figlio dell'uomo
amava tutti, in verità sapeva com'è brutta e cattiva la terra, ma era
pieno d'amore per l'umanità smarrita, e ha dato la vita per lei, per te.
Se credi in lui, come dici sempre, seguilo e amali tutti, i cattivi, coloro
che si sono smarriti e i molti che soffrono». Heinrich fu scosso da un
tremito violento e gemette: - Non riesco a sopportarlo -. Ma dentro di
lui una voce tuonò, con una potenza che non aveva mai avvertito
prima: «La grazia e l'amore di Dio aleggiano ovunque, abbi fede!!» E
Heinrich si girò e risalì i gradini. Attraversò il grande viale sotto
l'arcata del ponte. Sull'altro lato della strada in un padiglione di
legno dai colori squillanti circondato da cespugli e alberelli c'era un
caffè equivoco. Heinrich si frugò in tasca, contò il suo denaro e
attraversò la strada; poi entrò in quella sordida baracca. Si sedette
senza salutare in una delle tante nicchie che circondavano una
piccola pista da ballo e ordinò un caffè, che fu servito da una vecchia
sciatta. Sulle pareti erano dipinti in rosso corpi di donna nudi,
stilizzati. In alcuni degli angoli sedevano viziosi vecchi e giovani in
compagnia di prostitute. Una ragazza graziosa sui diciassette anni,
vestita come una prostituta, si sedette accanto a lui. A un suo cenno
stanco di rifiuto sorrise stranamente. Heinrich prese dalla tasca il
Nuovo Testamento, che portava sempre con sé, e cominciò a leggere.
Tremava di eccitazione per via degli occhi strani della giovane donna;
cercava di concentrarsi sulla Scrittura, ma continuava ad alzare lo
sguardo e a vedere quegli occhi sorridenti che lo fissavano. La donna
aveva appoggiato i gomiti sul tavolo e teneva il mento tra le mani;
aveva capelli bruni, morbidi e folti e un viso grazioso, intelligente; i
suoi occhi un po' infantili erano belli e puri. Dapprima Heinrich
l'aveva guardata con diffidenza, ma più alzava lo sguardo, più si
stupiva. Vedeva che i suoi grandi occhi scuri erano tristi, erano puri
come quelli di un bambino e tristi come... «Eppure è una prostituta, -
pensò, - ha cercato di sedurmi, mi sbaglio, è cattiva», e chinò di
nuovo il capo e ricominciò a leggere. Ma continuava ad alzare gli
occhi e a guardare quel viso, e infine non riuscì più a sopportare quel
terribile dubbio e chiese con impeto, brusco:
- Come c'è finita qui? -
Sembrava che si fosse aspettata quella domanda, perché si tolse
dal collo una catenina a cui era appesa una croce e disse con voce
ferma e chiara, indicando la croce: - Sono qui per amore di questo
segno.
Heinrich chinò il capo e arrossì di ammirazione: - Anche se non
riesco a capire, le credo -.
La ragazza accennò un sorriso e proseguì: - Le spiegherò tutto
molto semplicemente. Qui, in questa... baracca, ho accettato un
lavoro come prostituta, saprà che queste cose esistono, per salvare gli
uomini. Voglio salvarli, e dato che mi sento troppo debole per lottare
contro i vecchi viziosi, ho cercato di salvare i giovani. Ci sono
moltissimi giovani che rischiano di rovinarsi. Lei non è il primo a cui
mi avvicino nelle vesti di una peccatrice, ma è il primo dei tanti con
cui mi sono seduta qui a non avere bisogno del mio aiuto -. Heinrich
la osservò con stupore come se non credesse alle proprie orecchie, e
sotto il suo sguardo quasi estatico lei divenne seria, il suo sorriso
svanì e adesso Heinrich si rese conto della tristezza
incommensurabile della sua anima, perché il sorriso delle sue labbra
non riusciva più a smorzare lo sconforto che le leggeva negli occhi.
Voleva domandarle se aveva già avuto successo ma si vergognava
di chiederle un resoconto, quindi aspettò che continuasse a parlare.
Sedeva nella sua mistica bellezza un po' china in avanti, il suo viso
sofferente sembrava quello di un angelo dell'apocalisse. Heinrich
vide che in lei avveniva qualcosa di strano e inatteso, e in preda a un
pudore sconosciuto e terribile si premette le mani sul viso: tutt'a un
tratto sentì che amava quella giovane donna. Lei continuò a parlare,
e la sua voce adesso tradiva un turbamento: - Uno sono riuscita a
salvarlo davvero. Entrò barcollando la prima settimana che ero qui,
ma vidi subito che barcollava non per l'alcool, bensì per la fame. Era
più pallido della morte, perché era vivo, con i capelli neri arruffati
intorno alla testa. Si sedette e urlò con voce quasi folle che voleva una
donna. Lo presi per il braccio e lo condussi nella mia stanza per
sottrarlo alla derisione degli altri, infatti avevo visto subito che era
quasi impazzito per il bisogno. Gli diedi da mangiare, lo lasciai
parlare; poi si addormentò. Restai a lungo seduta vicino a lui per
essere certa che nessuno lo disturbasse. Quando si svegliò, rinnovò la
sua richiesta, ma al mio sguardo ammutolì. Allora gli parlai. Si stupì
come se non fosse cristiano per le cose che gli raccontai. La mattina
presto se ne andò. Tornò spesso da me, voleva sentir parlare di
Cristo. Non viene più qui da quattro mesi. Si vergogna per qualche
motivo. L'ho sentito quando è stato da me per l'ultima volta. Voleva
dire qualcosa, ma non ci è riuscito perché si vergognava. So come si
chiama, ma non so dove abita, mi piacerebbe molto andare a trovarlo
-. Quando ebbe finito sembrava che stesse per crollare, si afflosciò sul
tavolo, si coprì il viso con le mani e pianse. Heinrich si chinò verso di
lei, aveva già dimenticato il tormento che gli causava quell'amore, era
in pensiero per lei.
- Lo troverò, mi creda, io... io... -.
Lei alzò la testa e lo guardò con fervore, tra le lacrime: - Credo
che lei... lei... si sbagli... - lo guardò in modo così strano che
all'improvviso Heinrich seppe con assoluta certezza che amava lui,
non l'altro, l'infedele, che lui era pronto a cercare di consolarla, no,
amava lui. Si chinò su quel viso in lacrime e sussurrò: - Non
piangere, rallegrati piuttosto, esulta con me, che ho appena avuto in
dono una nuova vita. Voglio servirti, voglio amarti più della mia vita,
donna, ti prego, non piangere più, lasceremo questo fetore e
cominceremo una vita in povertà nel nome di Cristo.
Noi... -. Non riuscì più a parlare dalla gioia, la lingua, la
mediatrice più goffa tra gli esseri umani, non sapeva esprimere la sua
anima, e lui s'inginocchiò e le baciò le mani, e quando la rialzò e la
strinse tra le braccia la sentì tremare di felicità.
La sera stessa Susanne lasciò il suo «lavoro». Insieme cercarono
un alloggio per lei in città. Affittarono una graziosa stanzetta dove
restarono seduti a guardarsi fino a notte inoltrata, scambiandosi
poche parole. Decisero di cercare Benedikt Tauster, l'unico che
Susanne aveva potuto salvare durante il lungo e tormentato periodo
che aveva trascorso nel bordello. Benedikt Tauster aveva diciott'anni
quando cominciò a scuotere il pubblico. Scrisse il famigerato saggio
Napoleone, anche un genio erotico!?, e come sottotitolo
Considerazioni sul noto e avvenente uomo della Corsica. Già solo il
fatto di aver munito il titolo di un punto esclamativo e di un punto
interrogativo mise addosso a parecchi una furia che non faceva
neanche in tempo a ribollire, ma evaporava subito e si distillava. E da
uno di questi cervelli distillati Heinrich venne a sapere di Benedikt
Tauster. Lesse il suo saggio e trovò che era stato concepito - con
intelligenza quasi satanica - come beffa e derisione di tutto
l'esistente. Nel breve trattato parlava anche dell'erotismo di
Napoleone, certo, ma soprattutto delle circostanze attuali, e spesso i
suoi paragoni politici e sociali erano così divertenti che Heinrich
rideva fino alle lacrime. Soprattutto lo stupiva quella nota di
entusiasmo che dominava palesemente l'insieme. Era un entusiasmo
caldo, folle, incredibilmente affascinante, perché era accoppiato
all'ironia. Alla fine c'era una frase che suonava come il dispiacere di
un bambino per uno scherzo mal riuscito: «Peccato che io, Benedikt
Tauster, sia irrimediabilmente una carogna». Heinrich ebbe notizie
di B. T. per via indiretta da un letterato molto famoso, che era noto
come genio della critica. Una volta aveva detto: «La grandezza di
Dostoevskij consiste nel fatto che fu un epigono veramente geniale di
Goethe». In seguito a quest'affermazione avevano tentato per tre
volte di sparare con la pistola alla sua testa coronata d'alloro.
Heinrich conobbe il personaggio tramite un carceriere. Quando
costui era andato in carcere a far visita, con intenti pedagogici, a
quelli che avevano attentato alla sua vita onorata, aveva sussurrato
all'orecchio del carceriere: - Se non mi sbaglio di grosso, ma credo di
poterlo escludere, presto avrà modo di vedere qui anche questo
Benedikt Tauster -. Il carceriere poi, un conoscente di Heinrich, gli
raccontò di Benedikt Tauster, perché sapeva che Heinrich nutriva
«interessi letterari.
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