Biografia non autorizzata della Seconda Guerra Mondiale – Marco Pizzuti

SINTESI DEL LIBRO:
Contrariamente a quanto divulgato dalla propaganda nazista, la
minoranza più integrata nella Germania del XX secolo era costituita
proprio dagli ebrei tedeschi. Durante la prima guerra mondiale,
infatti, molti ebrei dimostrarono di essere degli straordinari patrioti,
offrendo la propria vita per difendere la nazione. Nel 1914
l’Associazione dei cittadini tedeschi di fede ebraica dichiarò
solennemente: «In questo momento decisivo della nostra storia, la
madrepatria chiama tutti i suoi figli alla difesa della bandiera. È cosa
scontata che ogni ebreo tedesco sia pronto a dare la vita per la
Germania e a fare il proprio dovere. Camerati religiosi! Vi incitiamo
ad andare oltre alla chiamata al dovere nel consacrare la vostra forza
alla madrepatria. Affrettatevi ed arruolatevi volontari. Ognuno di voi,
uomo o donna, faccia il possibile per sostenere la madrepatria, sia con
i fatti, sia con il denaro».
1 Tale dichiarazione non era un mero
proclama di circostanza perché, come confermato dai fatti storici,
molti ebrei tedeschi perirono o ritornarono mutilati dai campi di
battaglia, mentre altri ancora si guadagnarono le massime
onorificenze militari per atti di eroismo al fronte.
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Il concetto di patriottismo era così radicato nelle loro coscienze che
molti esponenti di spicco della comunità ebraica arrivarono a
promettere il proprio sostegno al partito nazionalsocialista di Adolf
Hitler come prova di fedeltà assoluta alla Germania.
3 Questo nuovo
tipo di ebraismo ebbe molti leader di diverso orientamento politico,
tra cui un ex ufficiale reduce della prima guerra mondiale, l’ebreo
tedesco Max Naumann, noto per avere fondato un’organizzazione
militante di ebrei tedeschi nazionalisti.
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Naumann era il principale fautore dell’assimilazione di tutti gli
ebrei nella nazione tedesca e tra i suoi nemici dichiarati c’erano altri
correligionari come gli Ostjuden (gli ebrei provenienti dall’Est, privi di
una lunga tradizione culturale germanica) e gli ebrei sionisti, che non
ammettevano l’integrazione. I primi erano accusati da Naumann di
fomentare l’antisemitismo con la loro indifferenza nei confronti dei
gentili (i non ebrei), mentre i secondi venivano ritenuti responsabili
della diffusione di un’ideologia razzista contraria all’integrazione e ai
matrimoni misti.
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Il 20 marzo 1935 Naumann scrisse a Hitler una
lettera in cui sosteneva che lui e i suoi seguaci avevano lottato per
tenere gli Ostjuden fuori dai confini della Germania e assicurava che
gli ebrei tedeschi avrebbero dimostrato di valere quanto gli ariani, se il
Führer avesse dato loro la possibilità di servire nelle forze armate
come avevano fatto durante la prima guerra mondiale. Per tutta
risposta, Hitler ordinò lo scioglimento dell’organizzazione di
Naumann e fece rinchiudere quest’ultimo in carcere, dove morì nel
1939 per un tumore.
Lettere di tenore analogo giunsero a Hitler dagli altri leader
nazionalisti di diversa estrazione politica, che nel loro insieme
rappresentavano la maggioranza degli ebrei tedeschi. Tra questi
possiamo citare Hans-Joachim Schoeps, il capo degli studenti
universitari della Deutsche Vortrupp (Avanguardia tedesca), e Leo
Löwenstein, fondatore del Reichsbund jüdischer Frontsoldaten (Lega
dei soldati ebrei combattenti al fronte).
6 Schoeps auspicava
un’integrazione totale con il popolo tedesco ed era assolutamente
convinto che si dovesse porre fine ai vecchi contrasti tra ebrei e gentili.
A tal fine rilasciò una dichiarazione dove accusava gli stessi
correligionari di comportamenti che favorivano reazioni antisemite:
«Le tradizioni religiose ebraiche incoraggiano un’immagine di sé
narcisista, una tendenza all’autoisolamento e all’indifferenza rispetto
alla sensibilità dei gentili».
7 Molti ebrei nazionalisti assimilazionisti
giunsero addirittura a falsificare i propri documenti, pur di potersi
arruolare nelle forze armate tedesche e nei suoi corpi d’élite, SS
comprese.
8 Secondo le approfondite ricerche svolte da Bryan Mark
Rigg, docente di storia all’American Military University, oltre 150.000
soldati tedeschi di origine ebraica (tra cui veterani decorati e molti alti
ufficiali come generali e ammiragli) combatterono nelle forze armate
naziste che, prima della promulgazione delle leggi razziali, non
avevano dato alcun peso al loro albero genealogico.
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I rapporti tra ebraismo e fascismo prima del 1938
La realtà storica è sempre molto più complessa di come viene
presentata dai libri di scuola e, a volte, le semplificazioni eccessive
hanno in realtà come unico scopo quello di raccontare ai posteri solo
mezze verità di comodo. In questo modo vengono creati dei luoghi
comuni difficili poi da sradicare, che finiscono per nascondere
efficacemente più di quanto pretendano di rivelare. Uno di questi
luoghi comuni riguarda i rapporti tra ebraismo e fascismo italiano che,
contrariamente a quanto si crede, fino al 1938 furono tutt’altro che
ostili. L’antifascismo ebraico, infatti, iniziò a manifestarsi nella sua
pienezza solo dopo la promulgazione delle infami leggi razziali del
1938 e, anche successivamente a tale data, la componente ebraica che
aderiva al movimento sionista (sostenuto dalla grande finanza, ma
con scarso consenso popolare) rimase in buoni rapporti con il
fascismo. Ciò è dimostrato dal fatto che, prima del 1938, molti
esponenti del regime e alcuni dei più convinti attivisti in camicia nera
provenivano proprio dalla comunità israelita.
10 Lo stesso Mussolini
dichiarò addirittura di essere un fervente sostenitore del progetto
politico sionista, appoggiando pubblicamente la minoranza ebraica
che rifiutava qualsiasi tipo di assimilazione con il popolo italiano:
«Voi dovete creare uno stato ebraico. Io sono sionista, io. L’ho già
detto al dottor Weizmann. Voi dovete avere un vero stato e non il
ridicolo focolare nazionale che vi hanno offerto gli inglesi. Io vi
aiuterò a creare uno stato ebraico».
11
Tale situazione di attiva collaborazione tra ebrei e fascisti non può
sorprendere più di tanto, poiché gli ebrei italiani dei primi anni del
Novecento, al pari di quelli residenti in molte altre nazioni europee
(fatta eccezione per le minoranze costituite da ebrei ortodossi e
sionisti), si erano perfettamente integrati nella cultura e nella società
del paese in cui vivevano. In tali condizioni era difficile resistere al
fascino dell’ultranazionalismo fascista, un movimento che prometteva
la rinascita dell’Italia come degna erede dell’antica Roma imperiale.
Mussolini, da parte sua, non aveva alcuna ragione per dubitare della
lealtà degli ebrei italiani, dal momento che molti di loro avevano
combattuto valorosamente come volontari sia durante le lotte
risorgimentali per l’unità d’Italia sia nella successiva prima guerra
mondiale.
12 La celebre breccia di Porta Pia, ad esempio, venne aperta
dai cannoni del capitano ebreo Giacomo Segre, mentre un gran
numero di ebrei con la divisa dell’esercito italiano morì
coraggiosamente in battaglia per redimere le terre di Trento e
Trieste.
13 Anche l’impresa di Fiume del 1919, guidata da Gabriele
d’Annunzio, venne compiuta da un gruppo di militari che
comprendeva 79 soldati ebrei
14
(si trattava di un numero decisamente
elevato, considerando che gli ebrei costituivano circa lo 0,1 per cento
della popolazione italiana). Inizialmente Mussolini non nutriva alcun
tipo di pregiudizio contro la comunità israelita, tanto che Margherita
Sarfatti – sua amante e autrice di una delle prime biografie
agiografiche del Duce
15 – proveniva proprio da una nota e ricca
famiglia ebraica.
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