Bisogno Mingo McCloud – A.J. Llewellyn

SINTESI DEL LIBRO:
Allora, dimmi: chi è Selma?”
Con un sobbalzo, alzai gli occhi dalla copia di Islands che stavo
leggendo. Il cuore mi batteva come un tamburo, facendomi
sussultare sulla sedia.
“Come sei entrato?” chiesi.
Già ero sulle spine, adesso mi sentivo in svantaggio. Primo, non
avevo idea di chi fosse Selma, e secondo, mi ero districato dalle
braccia del mio bellissimo compagno, Francois, dicendogli che
avevo un cliente.
Il terzo punto era che lui aveva scoperto la mia evidente bugia.
Non avevo nessun cliente. Ero seduto nel mio ufficio sulla McCully a
leggere una rivista.
“Dalla porta,” rispose, guardandomi come se fossi impazzito.
Francois Aumary, ex Marine, Berretto Verde, cecchino,
caposquadra della SWAT... ditene un altro, avevano la brutta
abitudine di spuntare come funghi. Quando compariva nel nostro
letto o comunque nelle mie vicinanze con quell’aria così
dannatamente sexy, di solito era una cosa buona. Stavolta, ero
nervoso.
“E allora, chi è?”
Lo fissai.
“Selma.”
“Non ne ho idea.” Cominciai a sudare. Forse dovevo del denaro
a quella donna? Non mi sembrava. Pagavo sempre i miei conti, in
anticipo. Magari sosteneva che fossi il padre del suo bambino?
Impossibile. Non avevo mai fatto sesso con una donna. Avrei dovuto
potermi rilassare, ma l’intenso sguardo scrutatore di Francois mi
faceva agitare sulla sedia. Le pagine patinate della rivista mi
scivolarono tra le dita. Deglutii rumorosamente.
Dio, quanto era sexy. Era anche maledettamente spaventoso,
però. Non lo avevo sentito entrare nel mio ufficio. Da quanto tempo
se ne sta seduto lì?
Francois indicò la parte anteriore della scrivania, quella che non
potevo vedere da dov’ero seduto.
“C’è il suo nome inciso qua sopra.”
Cavolo. Continuavo a dimenticarmene.
“Ho preso la scrivania di seconda mano. Non me ne sono
accorto, all’epoca.”
Erano cinque mesi che stavo con Francois, i cinque mesi più
fantastici della mia vita. Lo amavo, lo amavo alla follia. Non riuscivo
a staccargli le mani di dosso, ed era proprio questo il mio problema.
“Mingo, che ci fai qui?”
Non potevo più mentire dicendo che avevo dei clienti. Beh, li
avevo. Mi chiamo Mingo McCloud e sono l’unico contabile forense in
tutta Honolulu. Avevo dei clienti, ma nulla di urgente. Ero fuggito dal
nostro nido d’amore sulla Costa Nord perché dovevo tornare al
lavoro.
Lui si chinò in avanti e puntò i gomiti sul tavolo. “Cosa ti frulla in
quel bellissimo cervello?”
La voce di Francois operò la sua solita magia. Mi era mancato,
accidenti. Ed erano passate solo due ore. Non riuscivo a
nascondergli niente.
“Tu sei sempre così impegnato. Hai un sacco di cose da fare.”
“Anche tu.”
“Non come te.” Aggrottai la fronte. Ultimamente mi sentivo un
vero perdente. L’attività di Francois aveva avuto un vero boom.
Installava sistemi di sicurezza in tutta l’isola e organizzava le visite di
dignitari importanti. Si alleava con i Servizi Segreti con la stessa
facilità con cui attaccava bottone con i garzoni nei ristoranti. Mentre
io... non vedevo un caso decente da settimane.
“Mingo, è solo un periodo un po’ morto, tutto qui.”
“Ho... ho pensato di ravvivare un po’ gli affari.”
Francois piegò la testa da un lato. Era un pezzo d’uomo, alto,
nero, sexy. Mi faceva pensare a una succulenta fetta di hula pie con
salsa extra al cioccolato. Il Duke Canoe Club a Waikiki Beach fa le
migliori hula pie di tutta l’isola. Il loro motto è che le loro torte sono
così buone che i marinai venivano sull’isola a nuoto pur di
assaggiarle.
Beh, Francois era il tipo d’uomo per il quale chiunque, uomo o
donna, si sarebbe fatto un tratto di mare a nuoto. Era magnifico. Tra
noi vibrò la consueta chimica. Lui mi fissò. Qualcosa nel suo
sguardo, però, mi fece intristire. Come un cagnolino che sa di aver
deluso il suo umano, ma non sa per quale motivo.
Francois intrecciò le dita e vi appoggiò sopra il mento. Aveva
delle lunghe treccine, ciascuna terminante in una perlina del colore
dell’oceano. Amavo quelle treccine. I suoi occhi erano del colore
della melassa. A volte assumevano una tonalità borgogna, a volte
nera. In quel momento, erano color castano scuro. Il borgogna era
per quando si eccitava. Cavoli, giusto quella mattina li avevo fatti
diventare di quel colore.
“Ho solo una domanda, Mingo.”
“Solo una?” gracchiai.
“Sapevi dell’irruzione prima di venire qui o l’hai saputo solo una
volta arrivato?”
“Tu come fai a sapere dell’irruzione?” bofonchiai.
“Le frequenze della polizia. L’ho sentito alla radio.”
Sospirai. “No, non lo sapevo quando sono arrivato. Sono felice
di essere venuto, però. Hanno preso un mucchio di cose. Non avrei
voluto perdere tutto, come questa magnifica scrivania.”
Francois sorrise e si reclinò sulla sedia. “No, sarebbe stato un
peccato.”
Finalmente notai i suoi vestiti. Jeans bianchi aderenti, che
mettevano in risalto tutti i miei posti preferiti, e camicia di seta
bianca, aperta sugli addominali. Le maniche erano ripiegate sui
gomiti alla bell’e meglio. Questo non era da Francois. Lui teneva
molto al proprio abbigliamento. Capii subito che si era vestito di
fretta. L’aveva fatto per pranzare con me... e non per lavoro. Mi resi
conto che si era preoccupato e per questo mi aveva raggiunto in
ufficio. Mi fece sentire bene e in colpa al tempo stesso.
“Quando sono arrivato la porta era chiusa, ma la serratura era
stata forzata. Si è aperta non appena l’ho sfiorata.”
“Cos’hanno portato via?”
Eccolo in modalità lavoro.
Agitai le mani. “Tutto, come puoi vedere. I miei schedari, perfino
la bromelia che mi aveva regalato mia madre.”
“Era morta, dolcezza.”
“Lo so. Per questo mi stupisce che l’abbiano presa.”
Francois fece un gran sorriso.
“Hanno preso le mie favolose sedie girevoli, motivo per il quale
ora ci sono queste pieghevoli. Me le hanno prestate le signore del
negozio di lei.” Aggrottai la fronte. Non riuscivo a riflettere quando lo
avevo accanto. Ci sarebbe voluto un interruttore per i suoi feromoni.
Osservai le sue lunghe dita, pensando alle cose che mi facevano.
C’era dell’altro. “Oh, e il quadro della canoa che tenevo appeso al
muro.
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