Berlino 1944 – Caccia all’assassino tra le macerie – Harald Gilbers

SINTESI DEL LIBRO:
Sono venuti a prendermi, fu la prima cosa che gli balenò in testa. Quando si
rassegnò a quel pensiero ed ebbe chiare in mente le conseguenze,
Oppenheimer d’istinto si tirò la coperta addosso. Troppo tardi. Il visitatore
indesiderato si trovava già nella sua stanza. A causa dell’obbligo di
oscuramento, nel suo piccolo alloggio non entrava un solo raggio di luce.
L’intruso non era altro che un’ombra in attesa, proprio di fronte al letto.
Assonnato, Oppenheimer aveva fatto per abbracciare la moglie, ma nel
corpo di Lisa aveva sentito una grande tensione. Si era tirata un po’ su e non si
azzardava nemmeno a respirare. Fuori, però, era tutto tranquillo. Non una
sirena strepitante nella notte, né un bombardiere rombante in cielo, né
l’artiglieria crepitante in lontananza. Dunque non poteva essere stato l’allarme
aereo a spaventarla tanto. Oppenheimer, in un primo momento, si era girato
verso di lei, finché non aveva visto lo sconosciuto, in piedi, vicinissimo.
Quella figura indistinta si muoveva piano con il respiro regolare. Nel buio
guizzò una scintilla che salì verso l’alto, poi si trasformò in un puntino
fiammeggiante, mentre l’intruso aspirava. Dal nulla tenebroso della sua
stanza, Oppenheimer si sentì soffiare addosso odore di tabacco.
Poteva essere soltanto un agente della Gestapo. A causa dei suoi trascorsi
con la malavita berlinese, Oppenheimer sapeva che nessun rapinatore avrebbe
avuto l’idea malsana di andare a farsi un giretto in una Judenhaus, una casa
di residenza forzata per ebrei, per poi mettersi ad aspettare tranquillo, con la
sigaretta in bocca, che le sue vittime si svegliassero e si accorgessero di lui.
“Oppenheimer, i suoi polli, li conosce.” Negli anni passati in polizia, quella
frase l’aveva sentita tante volte dai colleghi. Finire nel mirino della Gestapo
per due schifosi spiccioli era un rischio troppo grande per un ladro. Le visite ai
giudei che abitavano in quelle case, infatti, per gli uomini della Gestapo erano
un privilegio personale ed esclusivo. Benché negli ultimi mesi non ci fossero
più state perquisizioni, Oppenheimer se le ricordava ancora benissimo. Ti
piombavano in casa a frotte, quelli della Gestapo. In una casa per ebrei, per
loro era normale prenderti a pugni in faccia, a sputi e a insulti. Quell’uomo,
però, era venuto da solo, senza fare rumore. Brutto segno, decisamente.
Quando quelli della Gestapo provocavano, almeno sapevi come regolarti. Ma
quando stavano zitti, poteva succedere di tutto.
Per un istante che sembrava non voler mai finire, restarono tutti dov’erano,
Oppenheimer immobile a letto, Lisa accanto a lui e lo sconosciuto appoggiato
allo stipite della porta. Poi ecco la voce dell’uomo. “Oppenheimer, lo so che è
sveglio. Sicherheitsdienst. Potrebbe, solertemente, vestirsi e seguirmi?”
Certo, era una domanda, ma il tono era inequivocabile. Non avrebbe
tollerato un rifiuto.
Oppenheimer non si azzardò nemmeno ad accendere l’abat-jour. Dentro era
tutto un tremore, ma si alzò e allungò la mano per prendere i vestiti dalla
spalliera della sedia. Non gli venne da chiedersi cosa potesse volere un uomo
del Sicherheitsdienst, il famigerato SD, il servizio segreto delle SS.
Meccanicamente percorse tutta la cucina, che condivideva con gli altri abitanti
della Judenhaus. Ogni volta Oppenheimer rimaneva sorpreso dalla
sollecitudine con cui obbediva agli ordini quando era spaventato, quando
sapeva che il suo destino era nelle mani di qualcun altro. Per un attimo pensò
a Lisa, avrebbe dovuto lasciarla là, indifesa. Ma essendo un’ariana certificata,
seppure lo avessero ucciso, lei se la sarebbe cavata. Dopotutto sarebbe tornata
libera, non più emarginata dalla comunità per aver sposato un ebreo.
Nonostante il terrore, quel pensiero lo confortava un po’.
Per le scale la luce era accesa, e Oppenheimer poté vedere per la prima volta
lo sconosciuto. Il suo aspetto non lasciava spazio alle illusioni. L’uomo portava
gli occhiali ed era piuttosto basso. La forma innaturale della tasca del cappotto
in cui teneva la mano, però, indicava che era armato. Oppenheimer si
meravigliò che nessun altro, nella Judenhaus, fosse in piedi. Nemmeno quegli
impiccioni degli Schlesinger, che si aggiravano di soppiatto per i corridoi. A
quanto pareva, avevano preso di mira proprio lui.
L’uomo del Sicherheitsdienst vide la valigia che Oppenheimer portava con
sé e lo guardò perplesso. Era stato un riflesso condizionato. Uscendo, aveva
preso il bagaglio che teneva pronto per il rifugio antiaereo. Dentro c’erano le
cose più importanti da portare nel rifugio in caso di bombardamento. A
Berlino, di quelle valigie, ce n’erano tante.
“Non le servirà,” disse l’agente del Sicherheitsdienst con un cenno della
mano.
Oppenheimer fece dietrofront e posò la valigia nella cucina buia.
Davanti alla porta li attendevano due uomini delle SS, armati. Non appena
l’agente dell’SD ebbe spinto Oppenheimer sul marciapiede, si mossero anche
loro. Le nuvole oscuravano il cielo notturno. La luna, al di là di esse, era
ridotta a un bagliore diffuso che si rifrangeva sugli elmetti d’acciaio delle
due SS. Oppenheimer fissò angosciato le loro schiene grigie, che si muovevano
insieme, a tempo, e udì lo sferragliare metallico delle carabine. Cosa poteva
fare? Tentare di scappare? Nello stesso istante in cui concepì il pensiero, lo
scacciò. Finché l’agente del Sicherheitsdienst gli stava alle costole, non
avrebbe potuto fare nulla.
Arrivarono a un’automobile, parcheggiata come tante nella traversa
successiva. Lo sportello posteriore si aprì e Oppenheimer fu avvolto
dall’oscurità.
A Berlino, gli ultimi giorni erano stati insolitamente tranquilli. Anche quella
notte non c’erano stati allarmi aerei. Però lo sapevano tutti che quel silenzio
era ingannatore. Prima o poi gli aerei sarebbero tornati. E una miriade di
bombe avrebbe distrutto degli edifici, trasformando la capitale del Reich in un
luogo fatto di cenere e macerie. Gli spazi vuoti che si aprivano negli isolati
erano i segni degli ultimi attacchi. I berlinesi si erano abituati da tempo a
quelle continue trasformazioni. La vita della città era sempre stata molto
frenetica, ma nonostante tutto la febbrile corsa a costruire, che aveva
imperversato dopo la presa del potere da parte di Hitler, aveva raggiunto
livelli straordinari. Ovunque, cicatrici. I governanti nazionalsocialisti avevano
fatto spianare gli angoli più belli del centro, spostato fontane e monumenti,
trasferendo addirittura, in un’impresa titanica, la Colonna della Vittoria dal
Reichstag al Tiergarten, al centro del Großer Stern, la Grande Stella.
Guardando dal finestrino durante il viaggio in auto, all’improvviso
Oppenheimer ebbe un sussulto. Per un breve attimo aveva creduto di
incrociare con lo sguardo un volto terrorizzato. A guardar meglio, però, si rese
conto che a ingannarlo era stato il chiarore della luna. Quelle guance infossate
e quegli occhi scavati erano i suoi. Quando si accorse che in realtà si era
spaventato davanti all’immagine riflessa del suo stesso viso, si sentì un
cretino.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo