Un amore al Cairo – Connie Brockway

SINTESI DEL LIBRO:
Il cielo di mezzanotte rifletteva la sua eterna vacuità sul deserto
egiziano. Era l’alto deserto. Quela zona particolare, non segnata
sule carte geografiche, offriva un conveniente nascondiglio a chi
voleva farsi dimenticare.
Ala base di una duna di sabbia, il tetro accampamento dei mercanti
di schiavi era popolato da questi esiliati.
I mercanti erano arabi, in Egitto da quattordici secoli, mentre gli altri,
con il volto coperto anche di notte, erano tuareg, di origine copta, i
veri discendenti degli antichi egizi. Questi ultimi erano i venditori. E,
seduta appena oltre il chiarore dei fuochi, c’era la più rara, preziosa,
unica e inestimabile tra le merci offerte: una giovane e bionda donna
inglese. Una schiava.
Ma erano ormai passati quattro giorni e nessun principe del deserto
era venuto a richiederla. In verità nessuno l’aveva avvicinata, e quel
dolce e tenero fiore di femminilità si era accorto che il terrore,
intorpidito dala bevanda potente che era stata costretta a bere si era
trasformato in... noia.
Appoggiandosi contro una pila di tappeti persiani, Desdemona
Carlisle rifletté sula parola “noia”. Non era del tutto adatta a
descrivere la sua situazione, ma non poteva dire di essere
terrorizzata come prima. Infilò un dito sotto il dannato chador, il velo
che le avevano imposto d'indossare per celare il viso, e si grattò.
La giovane donna coraggiosa era impaziente di confrontarsi con il
proprio destino.
Desdemona pensò che prima “la giovane donna” doveva prendersi
un altro sorso di quel beverone lattiginoso, non sgradevole, che
l’imbronciato, giovane Rabi la spingeva a bere quasi continuamente..
In verità, oltre che riflettere su noia, impazienza, e comporre un
diario immaginario bevendo quela roba non c’era molto da fare. Il
falso papiro che Rabi le aveva dato per tenerla occupata era
affascinante, sì, ma richiedeva troppa attenzione per essere studiato
in quel momento.
Cercò a tastoni la tazzina sula sabbia. La trovò e alzò gli occhi. Rabi
la fissava. Quando si accorse di essere osservato, si voltò e
sgattaiolò via come un esangue cucciolo di Anubi. "Ragazzo sveglio”
pensò cupamente lei.
Era stato Rabi a rapirla. Lei stava esaminando un grazioso vaso
canopo che sembrava autentico, e un attimo dopo si era trovata
imbavagliata con un lurido cencio, la testa infilata in un altrettanto
lurido sacco e caricata su una spala ossuta. Poi il ragazzo l’aveva
scaraventata sopra quelo che, dal’odore e dale gobbe, doveva
essere un cammelo e lei aveva passato un giorno intero a
balonzolare davanti al ragazzo, sudando sotto il sacco che la
copriva. Una volta arrivati, lui l’aveva tirata giù dal’animale, e la sua
giovane voce, eccitata d’orgoglio per l’impresa compiuta, era
echeggiata nel campo. Poi con un gesto teatrale le aveva tolto sacco
e bavaglio.
Confusa, spaventata e nauseata dal’andatura beccheggiante del
cammelo, lei aveva socchiuso gli occhi contro la luce accecante,
quindi aveva sbirciato le facce scure che la circondavano. Qualcuno
aveva gridato un comando in arabo e gli uomini si erano coperti la
faccia con il burkos. Da quel momento non aveva più visto nessuno
a viso scoperto.
Subito dopo lo stesso uomo che aveva gridato il comando aveva
preso Rabi da parte e gli aveva fatto la più grande lavata di testa
dela sua vita. Lei pensò che forse il ragazzo aveva accampato diritti
su di lei.
Desdemona avvicinò la tazzina ale labbra, ma era vuota.
— Ehi, Rabi! — chiamò. — Vorrei un altro po’ di quela roba che hai.
— Come per magia il suono dela sua voce interruppe la
conversazione nel campo. Tutti gli uomini si voltarono a guardarla:
dopo cinque minuti gli arabi erano spariti lasciandola sola con i
rapitori velati, che la fissavano con aria decisamente infelice.
— Ebbene? Mi dispiace, ma queli di sicuro non hanno intenzione di
comprarmi. Non possono nemmeno permettersi la tua falsa
terracotta. Mi sembra che non ci sia nemmeno uno sceicco fra loro
— disse Desdemona con la logica che le derivava dal'alcol bevuto.
Nessuno infatti aveva l’aria del mercante di schiavi. Lei si guardò
attorno domandandosi dove fossero finiti gli arabi, e se poteva
andarsene anche lei.
In quel momento lo vide.
Desdemona si alzò in piedi barcolando. Rabi lasciò cadere l'otre di
pele di capra con cui le stava riempiendo la tazza e le afferrò il
gomito per sostenerla.
— Chi è? — domandò lei in un soffio, gli occhi fissi sula figura che
ormai aveva raggiunto il campo.
— È venuto per te — rispose Rabi.
— Vuoi dire... che mi prenderà... stasera?
— Sì, sì — affermò il ragazzo spingendola avanti. — Stanotte vai
con lui. Contenti tutti. — La trascinò verso il fuoco, ma lei inciampò e
cadde in ginocchio.
— Su, su, su — disse uno degli uomini velati, che dopo essersi
avvicinato e fermato davanti a lei l’afferrò per aiutarla a tirarsi in
piedi.
— Sitt è qui — borbottò poi l’uomo indicando Desdemona, e
ghermito l'otre di Rabi come se ne avesse urgenza, bevve un lungo
sorso di liquido.
Desdemona si guardò attorno e scorse lo sconosciuto
nel’accampamento. Il cuore cominciò a batterle forte e il respiro le si
fermò in gola. Senza dubbio, senza ragione, inequivocabilmente e
assolutamente, seppe che quel’uomo l’avrebbe posseduta.
Lo vide procedere lungo la linea d’ombra, lambito dal’oscurità. La
osservava. A un certo punto venne avanti, con il passo morbido e
sicuro dela pantera. Le si avvicinò in diagonale, la testa piegata,
senza smettere di fissarla. Desdemona riuscì a rimanere eretta sotto
il suo sguardo freddo e penetrante.
L’uomo gettò indietro la cappa nera che lo ricopriva e appoggiò le
mani guantate sui fianchi. Gli si vedevano solo gli occhi; il resto del
viso eia nascosto da un burkos indaco, che finiva nel colo del
khafiya.
“Un altro tuareg” pensò Desdemona trattenendo il respiro. I nomadi
più selvaggi del deserto.
Al di sopra del velo, gli occhi accigliati del tuareg brilavano ala luce
incerta del fuoco. Temibile e arrogante, avanzò con passo felino. Lei
deglutì e indietreggiò.
L’uomo rise: una risata crudele, barbara. Desdemona smise di
arretrare: generazioni di orgoglio britannico l'avevano resa sicura e
decisa. Incontrò quindi lo sguardo del tuareg con espressione
sprezzante e per nula intimorita. Con la rapidità del cobra, lui alungò
una mano, afferrò Desdemona e l’attirò a sé. Lei si dibattè con foga,
sapendo che i mercanti non sarebbero intervenuti. Dentro di lei la
paura sostituì la baldanza.
Tenendola ferma senza difficoltà, l’uomo gridò qualcosa agli altri nel
loro arabo gutturale. Desdemona si domandò perché non le
riuscisse di parlare quela dannata lingua che sapeva solo leggere.
Uno dei presenti, un uomo sporco dal turbante tutto storto, indicò
con la mano la tenda dove lei aveva dormito. Con una bassa, breve
risata, lo straniero la spinse verso l’interno scuro.
Di colpo, Desdemona divenne cosciente dela gravità dela sua
situazione cancelando parte del torpore che le aveva offuscato la
mente. Quelo non era il romantico prìncipe del deserto dela sua
immaginazione, bensì un selvaggio spietato che avrebbe usato il suo
corpo come un inglese usava un tovagliolo, per poi gettarlo via.
Gridò. Sentì la grande mano di lui sula bocca, poi il tuareg la fece
girare su se stessa, l’attirò contro il suo ampio, robusto petto e le
mormorò qualcosa al’orecchio, ma le grida che lei non poteva
emettere e che le rintronavano nel cervelo le impedirono dì capire. Si
dibattè con forza, lanciando calci.
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