Remember Me – Veronica Scalmazzi

SINTESI DEL LIBRO:
Mi sveglio di soprassalto.
Di nuovo quel sogno, di nuovo quella sensazione amara di impotenza che
sento fin dentro le viscere e che mi tormenta ormai da mesi. Come se ci fosse
qualcosa in sospeso, come se sentissi la mancanza di un pezzo importante della
mia vita.
Poi la testa inizia a martellarmi a più non posso.
È pesante, insopportabile.
Credo di aver alzato un po' troppo il gomito ieri sera e lo dimostra il fatto che
Callie è ancora nel mio letto nonostante l'alba sia passata da un pezzo.
Lancio un'occhiata lasciva alla sua figura nuda accarezzata dai raggi di sole
che filtrano attraverso la finestra, mentre lo sguardo corre sulle sue curve
spigolose, su quella pelle diafana e perfetta lasciata scoperta dal lenzuolo.
Ricordo poco della notte trascorsa, so solo che l'ho scopata come un animale.
Che poi è quello che faccio da un mese a questa parte.
È sempre così quando si avvicina la Vigilia di Natale.
Qualcosa dentro di me scatta e faccio una stronzata dietro l'altra, e il sesso
diventa la mia arma di sfogo preferita.
Amo scopare, avere il controllo su una donna, e soprattutto amo possederla,
saperla alla mia mercé completamente. Non ho mai dovuto muovere un dito per
farle cadere ai miei piedi, mi basta guardarle, dire due frasi d'effetto, stuzzicarle,
e il gioco è fatto. Io do piacere a loro e loro lo danno a me, senza impegni e
soprattutto senza rotture di coglioni. Perché se c'è una cosa su cui non transigo,
oltre alle bugie, è la chiarezza.
Sono un fottuto stronzo, questo è vero, ma non ho mai preso per il culo
nessuna. Metto sempre le carte in tavola quando esco con una donna, non mi
nascondo dietro a false promesse come fanno certi uomini.
Io fotto senza impegno e chiunque entri nel mio letto lo sa.
«Buongiorno» mi dice una voce assonnata al mio fianco.
«Non dovresti essere qui, Callie» ribatto seccato e di pessimo umore.
Metto i piedi a terra e mi porto le dita alle tempie, massaggiandole lentamente
con la speranza che la testa smetta di pulsare così ferocemente.
«A dire il vero non mi hai detto di andarmene.»
Si avvicina, le sue mani mi sfiorano le spalle larghe, la bocca il collo.
«Non fare la furba» sentenzio scansandomi. Mi alzo dal letto, mentre la sento
sbuffare infastidita. «Sai bene come stanno le cose» continuo dandole le spalle
completamente nudo.
«Perché devi essere così stronzo?»
Sogghigno, poi mi volto nuovamente verso di lei. Mi riporto ai piedi del letto,
affosso i palmi sul materasso imprigionandola fra le mie braccia tese e mi piego
verso il suo viso sciupato dal sonno e dalla stanchezza.
Conosco Callie da un paio d'anni, è la figlia di un noto imprenditore
londinese che ha portato la sua fortuna a New York e nelle casse della nostra
società, mia e della famiglia Sullivan.
Entrare in affari con Donald Walcott è stato un vero colpo da maestri, non
solo per le mie finanze, ma anche per il mio piacere personale visto che mi
scopo sua figlia quando mi pare e piace.
«E da quando è un problema? Non mi sembra che ti importasse qualcosa
stanotte mentre me lo prendevi in bocca o mentre ti scopavo da dietro.»
Socchiude gli occhi inviperita, è sul punto di sbottare, ma lo squillo del mio
cellulare la fa desistere e tacere. Getto uno sguardo sul comodino e il nome del
socio di mio padre lampeggia come un brutto presagio.
«Non rispondi?»
Tentenno un istante, poi afferro l'iPhone e do il via a quella che già so sarà
una giornata di merda.
«Spero che ne valga la pena, Thomas, perché ho già le palle girate questa
mattina» rispondo secco.
«Alex, io...» si interrompe nervoso.
«Allora?» insisto spazientito camminando avanti e indietro sotto gli occhi
maliziosi della mia ospite.
«Tuo padre ha avuto un infarto» mormora affranto.
Mi blocco di colpo, impietrito e con lo sguardo fisso su un punto indefinito
della stanza.
Silenzio. Un silenzio agghiacciante, profondo, imprevisto.
«Sta morendo, devi tornare subito a Portland.»
Ancora silenzio, non riesco a fiatare. La testa mi sta scoppiando e lo stomaco
è stretto in una morsa insopportabile.
«Vuole vederti, ha bisogno di suo figlio.»
A quelle parole, sento la rabbia accendersi, scoppiarmi dentro come una
bomba rimasta inesplosa da anni. Esattamente tredici, dal giorno in cui mia
madre si è spenta fra le mie braccia e lui non c'era.
«Per me può pure andarsene direttamente all'inferno» sibilo serrando la presa
sul cellulare. «Anche mia madre aveva bisogno di lui, di vederlo, ma Brant
Stanton era troppo occupato a scoparsi la segretaria di turno per raggiungere sua
moglie in punto di morte e farmi da padre. Ricordaglielo quando ti chiederà
dove sono, mentre crepa in un letto d'ospedale solo come un cane.»
«Non farlo, Alex. Non permettere al passato di ferirti ancora. Ti faresti solo
del male.»
Thomas non è un socio qualsiasi, è anche il mio padrino. Un amico di
famiglia da sempre. Conosce tutti gli oscuri segreti della famiglia Stanton, ma
nonostante questo è sempre rimasto al nostro fianco. Non lo fa per interesse,
ma per amicizia. Quella che lo legava anche a mia madre.
Faccio una risata maligna e ribatto come il degno figlio di mio padre: «Forse
non sono stato chiaro» ripeto sprezzante. «Se Brant Stanton muore o no, non è
un problema mio. Non me ne frega un cazzo. Nella vita tutti hanno ciò che si
meritano.»
E chiudo la conversazione riattaccando.
«Alex» mi richiama Callie titubante e ancora immersa nelle lenzuola
spiegazzate.
«Vattene» le ordino freddo.
«Ma...»
La fulmino con lo sguardo.
«Non farmi perdere la pazienza, Callie. Te ne devi andare prima che ti sbatta
fuori io stesso.»
Deglutisce spaventata e al contempo offesa.
Senza dire una parola, si alza dal letto e recupera i suoi indumenti sparsi sul
pavimento. Si veste velocemente e senza degnarmi di uno sguardo esce dalla
camera sbattendo la porta con violenza.
Mi dirigo in bagno e, prima di buttarmi sotto la doccia, fisso la mia immagine
riflessa sul grande specchio posto sopra il doppio lavabo con ripiani in quarzo
che occupa quasi l'intera parete.
I miei occhi grigi, così uguali a quelli del bastardo, si fondono con la forza dei
miei pensieri e scoppio in un impeto di ira.
Sferro un pugno improvviso contro il riflesso della mia faccia, quella stessa
faccia che ogni giorno mi ricorda di chi sono figlio. Che sono sangue del suo
sangue.
Un dolore atroce mi tramortisce le nocche ferite e si propaga lungo l'intero
braccio destro. Serro la mascella e guardo le crepe di vetro allargarsi, una scia
sottile di sangue si insinua fra esse scivolando sempre più giù. Fino a infrangersi
sul ripiano immacolato.
Odio che mio padre abbia ancora questo potere su di me.
Odio che per quanto vorrei ignorare la telefonata di Thomas, in realtà non ci
riesco. E mi detesto per questo.
«'Fanculo!» sbotto contro me stesso.
Impreco mentalmente per il dolore alla mano, poi mi rifugio sotto il getto
d'acqua bollente. Appoggio il palmo di quella sana contro le piastrelle in marmo
scuro. Sono fredde, lisce, un muro in grado di non farmi cadere. Un sostegno
per i troppi pensieri che alberano la mia mente, pensieri che si stanno
trasformando in sensi di colpa senza che io lo voglia.
Sento il calore dell'acqua penetrarmi fin dentro le ossa, ripulirmi dal sangue
ma non dalle sensazioni che mi stanno divorando lentamente.
Dopo mezz'ora mi decido a uscire, ad abbandonare quel piacevole tepore di
assenza che avevo toccato con il passare dei minuti, e ritorno alla realtà: mio
padre sta morendo. Colui che mi ha messo al mondo, ma che non è mai stato in
grado di farmi da padre, amarmi e proteggermi, sta per andarsene.
La mia mente torna a essere una giungla inferocita, un frastuono di urla che si
divertono a tormentarmi senza tregua.
Furibondo, afferro l'accappatoio, lo indosso e mi do un'asciugata veloce ai
folti capelli che mi ricadono sulla fronte più lunghi del solito.
Torno in camera da letto e scelgo uno fra i diversi completi eleganti a tre
pezzi che ho nell'armadio. Dopo essermi reso presentabile per un'altra giornata
di acquisizioni e riunioni snervanti, raggiungo l'ampia zona open space che ho
fatto riarredare da una famosa designer newyorchese solo per il piacere di
portarmela a letto.
Probabilmente il mio conto corrente non ne è rimasto entusiasta ma il mio
cazzo assolutamente sì.
Prendo una pastiglia per il mal di testa dal vano delle medicine, afferro le
chiavi della mia Maserati Alfieri grigia metallizzata nuova di zecca e lascio l'attico.
Prendo l'ascensore che porta direttamente al parcheggio sotterraneo di questo
lussuoso edificio d'epoca di 12 piani costruito nel cuore di Tribeca, una delle
zone più esclusive di Manhattan. Una volta in auto, inspiro l'odore pungente dei
sedili in pelle e sorrido di fronte al mio nuovo giocattolino da centinaia di
migliaia di dollari, l'ennesima stronzata che mi sono regalato per tenere occupate
le mie giornate e non pensare all'avvicinarsi del Natale.
Mi immetto in strada, dando il via alla mia solita routine: traffico
insopportabile, clacson fastidiosi e gente che non sa guidare.
Sbuffo esasperato all'ennesimo rallentamento causato da un idiota spaesato
ma finalmente, dopo mille peripezie, arrivo in ufficio. Ovviamente in ritardo.
Nervoso e scontroso con il mondo intero, non faccio nemmeno un cenno di
saluto a Meg, l'addetta alla reception, e mi incammino direttamente verso gli
ascensori. In un lampo le porte d'acciaio si aprono ma prima che riescano a
chiudersi una rossa in splendida forma riesce a intrufolarsi, abbagliandomi con il
suo sorriso dolce come il miele.
«Per un soffio» biascica con il fiatone. «Ciao, Alex.»
Mi perdo nei suoi occhi ramati, in quella luce di vita che l'avvolge da quando
è diventata la signora Crofford e mamma della piccola Cristine.
«Hope Sullivan fra noi poveri comuni mortali, che onore» la prendo in giro
tornando di buon umore.
Hope ha sempre avuto questo effetto su di me. È l'unica donna per cui avrei
potuto fare la follia di innamorarmi, ma il destino aveva in serbo altri progetti
per lei.
«A cosa dobbiamo la tua presenza?»
«Sono stata cacciata di casa» confessa scuotendo il capo e piegando le labbra
in una smorfia pensierosa.
«Cosa?»
«Le parole esatte di Ian sono state: Angelo, fuori da questa casa. Ci penso io a
nostra figlia, l'unica cosa che devi fare oggi è coccolarti, svagarti e poi tornare da
noi.»
Ogni parola esce dalla sua bocca con tono giocoso e tenero. Parole che si
riflettono nel suo sguardo innamorato.
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