La grande paura del 1936: Come la Spagna precipitò nella guerra civile – Gabriele Ranzato

SINTESI DEL LIBRO:

 Una gracile democrazia
Il centro di Madrid nelle notti d’estate non è frequentato solo da rari
passanti. C’è spesso un va e vieni nelle vie tra la plaza de España, Recoletos e
il paseo del Prado, non diverso da quello che le anima durante il giorno. E
quel brulichio non si attenua fin quasi alle prime luci del mattino.
Era così anche il 13 luglio 1936, alla fine di una giornata domenicale
densa di eventi, quando non solo il caldo estivo, ma altri entusiasmi e
ardori – di riscatto, di conquista, di vendetta – avevano spinto molti gruppi
di giovani per le strade, dove formavano capannelli davanti ai caffè o ai
chioschi di giornali, passeggiavano su e giù ripetendosi a vicenda le loro
verità, discutendo accaloratamente con tutte le gradazioni di voce.
Ma nel barrio Salamanca, il quartiere residenziale più esclusivo, a ridosso
del centro, c’era più quiete. Non solo perché in quel momento dell’anno i
suoi abitanti solitamente erano in villeggiatura; sulla costa cantabrica – a
San Sebastián o a Santander – o nelle loro case di campagna, verso la Sierra,
all’Escorial, o in province più lontane. Ma soprattutto perché gran parte di
loro non doveva essere in animo di svaghi e vagabondaggi notturni. Forse
vegliavano, ma in casa, sussurrandosi le loro preoccupazioni per non essere
uditi dalla servitù.
Il clima si era fatto pesante per le classi agiate. Sentivano che molti dei
loro beni e privilegi erano in pericolo. Temevano non solo per il
mantenimento del loro tenore di vita ma per la loro stessa libertà. Si
vedevano precipitare in un gorgo rivoluzionario in cui si sarebbero
inabissate per sempre. Perciò alternavano fantasie di fuga con quelle di
resistenza e rivincita, alimentate dalla speranza di un intervento dei militari
che, al di là di ogni più precisa connotazione politica, ristabilisse
comunque l’“ordine naturale delle cose”.
Il barrio Salamanca taceva in ansiosa e vigilante attesa.
La calle de Velázquez che lo attraversa da sud a nord, dal parco del Retiro
alle prime case – allora – della periferia, più che una via è un viale. Benché
non raggiunga la larghezza delle grandi avenidas, è ampia, ornata per lungo
tratto da platani, e fiancheggiata da solidi edifici, che, soprattutto nella zona
più centrale, per lo più sfoggiano un’architettura pretenziosa, con le
frequenti mescolanze di stili che caratterizzano la Madrid dei primi
decenni del secolo XX. Lesene con capitelli dorici, tetti francesizzanti con
tegole di ardesia, balconcini stretti alla spagnola con ringhiere metalliche
squadrate, colonne di bow-window in ferro e vetro, colmi turriti, a cupola o
a campanile, che non riescono tuttavia a dare snellezza a fabbricati che
restano alquanto tozzi e terragni.
Quel giorno, alle due e mezzo del mattino, il viale semideserto era
percorso da un’autovettura che dalle vecchie foto oggi ci appare alquanto
singolare. Un furgone decappottato di straordinaria lunghezza, con quattro
sportelli per lato e sei larghi sedili. Si trattava della plataforma numero 17 –
così come appariva a grandi caratteri sullo sportello del posto di guida –, un
veicolo in dotazione alle forze dell’ordine pubblico, le Guardias de Asalto
create dalla Repubblica, capace di trasportare una ventina di agenti.
Occupata da uomini in uniforme e in borghese per circa la metà della sua
capienza, la vettura, partita da pochi minuti dalla caserma di Pontejos,
prossima alla Puerta del Sol e al Ministero degli Interni, in breve si arrestava
all’incrocio con la calle Maldonado, sul lato verso Serrano, l’altra grande
arteria che, in parallelo con Velázquez, attraversa il barrio Salamanca. Lì, al
numero civico 89, c’era l’ingresso di un edificio, più sobrio di ornamenti
ma dai caratteri comunque signorili, in cui abitava il deputato José Calvo
Sotelo. E al suo domicilio, situato al secondo piano del palazzo, si diressero
quegli uomini guidati da Fernando Condés, capitano, non degli Asaltos, ma
della Guardia Civil.
Benché leader di un partito monarchico, Renovación Española
1
, che
contava solo dodici rappresentanti alle Cortes, Calvo Sotelo era nel
Parlamento la voce della più irriducibile opposizione al governo del Fronte
Popolare, e per questo stava adunando attorno a sé consensi nella destra più
vasti di quanti ne avesse raccolti alla prova elettorale di febbraio. In quei
giorni turbolenti non era difficile quindi immaginare che solo per questo
potesse essere oggetto di qualche aggressione. E tuttavia quella sera egli
non aveva all’interno del suo domicilio alcuna scorta di protezione, né
pubblica né personale. Al portone erano di piantone solo due guardie del
vicino commissariato, che naturalmente lasciarono libero passo all’ufficiale
della Guardia Civil con il suo seguito.

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