Ora – La più grande sfida della storia dell’umanità- Aurélien Barrau

SINTESI DEL LIBRO:
Siamo di fronte a una situazione senza precedenti. Il futuro è in
pericolo. Nella storia della Terra, nessuna specie vivente si è mai
comportata come gli umani. Oggi, per noi, è in dubbio la possibilità di
un futuro. La sfida è immensa e molteplice: riguarda tutti i viventi e
deve essere pensata attraverso la doppia lente della specie e
dell’individuo.
L’età della Terra è circa la metà di quella dell’Universo. Il nostro
pianeta è vecchio. Ha avuto una storia tormentata e avventurosa.
Dalla condensazione gravitazionale delle polveri primitive agli intensi
bombardamenti meteoritici, i suoi esordi sono stati burrascosi. Ma la
vita è apparsa piuttosto velocemente, circa quattro miliardi di anni fa.
Nei camini idrotermali2
, la materia ha esplorato questo stato
specifico – forse unico – così difficile da definire e tuttavia così facile
da identificare quando si presenta. Non sappiamo bene cosa sia la
vita. Possiamo elaborare alcune definizioni. Ma una vita
extraterrestre rientrerebbe in queste definizioni? E se non fosse così,
come sapremmo che si tratta davvero di vita?
Molta magia e mistero circondano ancora il vivente, o piuttosto: i
viventi. I percorsi della vita sono così diversi, inventivi, imprevedibili,
che non smettono di sorprendere e di stupire chi li esplora. Ogni
giorno scopriamo tesori di ingegnosità e bellezza che ci
commuovono e meravigliano. Non è necessario andare in Antartico
e osservare i pinguini: ogni metro quadrato di prato nasconde decine
di esemplari di insetti che sotto una semplice lente d’ingrandimento
rivelano comportamenti complessi e geniali.
Questo immenso edificio di cui ciascuno di noi è parte, il prodotto
di un’evoluzione molto lunga e molto lenta, è particolarmente fragile.
Ed è in serio pericolo. Forse è già sull’orlo del collasso.
L’umanità stessa è colpita in pieno dai disastri di cui è tuttavia la
causa. Una buona metà della superficie terrestre, su cui si
raccolgono oltre due terzi della popolazione umana, subisce una tale
perdita di biodiversità da mettere in dubbio che possa continuare a
supplire ai bisogni degli umani. E non è certo questa la sua unica
finalità.
Procediamo a una panoramica lacunosa, parziale e disordinata.
Cominciamo a guardare tutti i luoghi dove siamo.
La Terra è popolata da circa 10 milioni di specie viventi. Ognuna
di esse è il risultato di una storia unica, piena di colpi di scena e
imprevisti.
È in corso la sesta estinzione di massa della storia della Terra.
Non ci sono più dubbi al proposito. Di recente, due ricercatori del
CNRS (Centre national de la recherche scientifique) hanno analizzato
13.000 articoli pubblicati (da oltre 100.000 scienziati) sulle più
importanti riviste di biologia della conservazione, il risultato è
chiarissimo, e non lascia alcun dubbio sulla catastrofe in corso: la
vita sta morendo e la tendenza attuale è all’accelerazione di questo
processo già incredibilmente rapido. Nessun gruppo viene
risparmiato, dagli uccelli agli insetti passando per mammiferi e pesci.
In quarant’anni sono scomparsi oltre 400 milioni di uccelli
europei, e più di 3 miliardi negli Stati Uniti. Su scala planetaria, è
collassata circa la metà della popolazione di specie selvatiche. Per
quanto certe aree siano più colpite di altre, la tendenza a una
drastica diminuzione è generale.
I rapporti dell’IPCC (International Panel on Climate Change,
Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) sulla
biodiversità stimano che le estinzioni delle specie si siano
centuplicate dall’inizio del XX secolo. In parallelo a questa
preoccupante atrofia della diversità dei viventi, si nota una
diminuzione draconiana delle popolazioni. Anche se la specie non è
ancora estinta, gli animali muoiono. Dal 1990, in Germania il numero
di insetti volanti è crollato dell’80%. Non resta che qualche migliaio di
ghepardi, i leoni si sono dimezzati in trent’anni, gli oranghi sono in
grave pericolo. In soli 11 anni, è scomparso più di un terzo dei
pipistrelli.
L’ecatombe ha dimensioni terrificanti.
La scomparsa di una specie, in senso stretto, richiede che non
rimanga più alcun esemplare che la rappresenti, neanche in uno
zoo. Nonostante tale definizione sia rigorosa, le estinzioni sono
comunque numerose e il loro ritmo non smette di accelerare. Ma non
è il criterio più pertinente in questa fase: quello che conta è che ci
sono sempre meno viventi sulla Terra. Tale «scomparsa della vita» è
stata anche definita dagli specialisti come un «annientamento
biologico». Le popolazioni sono al collasso. Secondo alcuni studi,
dal 1970 il numero dei vertebrati è diminuito del 60%. La situazione
di molti invertebrati è ancora peggiore.
È un crimine di massa globale che viene perpetrato nella più
completa impunità.
Ogni anno, la superficie delle città aumenta di circa 400 milioni di
metri quadrati. La deforestazione a fini agricoli è ancora più
inquietante. Su scala mondiale, solo un quarto delle terre è ancora
sostanzialmente immune dagli effetti delle attività umane. Fra
trent’anni non ne rimarrà che il 10%, in gran parte nei deserti, sulle
montagne e nelle regioni polari.
Con ogni probabilità l’inquinamento uccide circa 3 volte più
dell’HIV. Causa circa 6 milioni di morti l’anno e cresce a ritmo
sostenuto, in particolare nei Paesi poveri e dove si verifica uno
sviluppo industriale accelerato.
Oggi, sono 17 i Paesi in condizioni di «stress idrico estremo», e
altri 27, alcuni anche in Europa, sono in condizioni di «stress idrico
elevato». Non meno del 25% della popolazione mondiale potrebbe
presto soffrire di carenza d’acqua.
In un solo giorno dell’estate 2019, più di 11 miliardi di tonnellate
di ghiaccio si sono sciolte in Groenlandia. E nella stessa estate
abbiamo assistito a un incremento dell’83% dei devastanti incendi in
Amazzonia.
Tra i 100 e i 200 metri di profondità, sulle grandi piattaforme
continentali, non resta che l’1 o il 2% del pesce di un tempo.
Una parte della grande barriera corallina – un luogo a buon diritto
emblematico per la biodiversità – è in avanzata fase di sparizione.
Le mangrovie si stanno rapidamente ritirando. Immense superfici del
fondo marino sono devastate dallo sfruttamento minerario.
Lo scioglimento dei ghiacciai di montagna da principio porterà
troppa acqua dolce, che molto presto diventerà troppo poca, a circa
2 miliardi di persone che ne dipendono direttamente.
La fenologia dei vegetali è in pieno rivolgimento e contribuisce al
calo della diversità della flora. Questa diminuzione contribuisce
all’aumento del riscaldamento climatico: mentre il numero di specie
cala, il livello di azoto nei terreni aumenta, insieme alla loro
temperatura media. Gli effetti a cascata si moltiplicano.
Le piante spariscono 350 volte più in fretta della media storica.
Oltre 15 miliardi di alberi vengono sradicati ogni anno e non ne
resta che il 46% di quelli esistenti prima dell’inizio dell’agricoltura.
Circa 1000 miliardi di animali marini vengono uccisi ogni anno.
Quando si tirano le reti, la rapida decompressione fa esplodere la
vescica natatoria, uscire gli occhi dalle orbite e, spesso, lo stomaco
esce dalla bocca. I sopravvissuti muoiono lentamente, asfissiati o
schiacciati, mentre le abilità cognitive e sensoriali dei pesci non ci
consentono più di dubitare che percepiscano il dolore. Numerose
specie sono minacciate. Le reti da pesca raschiano oggi 30 milioni di
chilometri quadrati di acque marine. Distruggono senza distinzione e
senza sosta.
Ancora nel 2016, le navi per la pesca industriale hanno
totalizzato 40 milioni di ore di attività, consumando 19 miliardi di kWh
e percorrendo 460 milioni chilometri (ovvero, 35.000 volte il diametro
della Terra), coprendo i tre quarti della superficie degli oceani.
I pesci d’acqua dolce spariscono ancora più in fretta, e il declino
delle popolazioni è stimato al 4% annuo.
Negli ultimi quarant’anni, le specie più grandi sono
verosimilmente diminuite dell’88%. E oggi ci sono 3700 dighe in
costruzione o in progetto. Sono una delle cause principali di questo
declino.
Anche la biomassa dello zooplancton sembra essere in caduta
libera, con gravi conseguenze sull’insieme della catena alimentare.
Recenti analisi su dei pulcini di cinciallegra morti in Belgio3
hanno
mostrato che il 95% dei campioni era contaminato da pesticidi. Ne
sono stati contati più di 36 tipi differenti, incluso il DDT, vietato da
decenni.
Tanto a livello delle specie quanto sulla scala degli individui, la
vita sulla Terra è in pericolo. Gli umani rappresentano lo 0,01% delle
creature viventi, ma hanno causato l’83% delle perdite animali
dall’inizio della civiltà. Un genocidio senza precedenti. Che, oggi,
comincia a nuocere profondamente agli stessi umani.
La prima causa di questo danno alla vita (perché non si tratta
solo della biodiversità in senso contabile) è senza dubbio la
distruzione e la parcellizzazione degli ambienti per i non umani. È
stata superata la soglia del 75% delle terre emerse danneggiate
dagli esseri umani. Gli animali non hanno più luoghi dove vivere.
L’onnipresenza degli umani e delle loro infrastrutture è tale che
alcune specie diurne vivono durante la notte per riprendersi un po’ di
libertà. Lo smisurato espansionismo umano è la prima causa di
declino delle altre forme di vita. Per esempio, il 95% delle praterie
del Nordamerica e il 50% della savana tropicale sono ormai zone
interamente «umanizzate». La tendenza accelera e si diffonde
pressoché ovunque.
Anche le altre cause di collasso del vivente sono ben note: in
qualche caso sono state introdotte specie invasive e i loro effetti si
sono rivelati letali per altri animali; l’eccessivo sfruttamento delle
risorse ha conseguenze terribili; l’inquinamento produce effetti
devastanti a breve e a lungo termine. Senza menzionare gli effetti a
cascata (l’estinzione di una specie innesca la scomparsa di quelle
che da essa dipendono). Anche l’agricoltura intensiva e i pesticidi
hanno un peso decisivo nella vertiginosa caduta della biodiversità.
Lo sconvolgimento del clima non è il solo motivo di allarme,
tutt’altro. È comunque un aspetto centrale della catastrofe ecologica
in corso e avrà un peso sempre maggiore. Gli ultimi studi pubblicati
corroborano quanto è noto già da molto tempo: c’è un riscaldamento
climatico globale ed è causato dagli umani (in termini statistici, la
probabilità che tale affermazione sia errata è inferiore allo 0,0005%).
L’innalzamento delle temperature è allarmante perché si sta
verificando in tempi decisamente troppo brevi: gli organismi viventi
non riescono ad adattarsi come hanno talvolta fatto in passato.
Siamo di fronte a un evento senza precedenti.
Al momento è difficile quantificare con precisione l’entità del
riscaldamento futuro. Ma gli ultimi studi indicano un peggioramento
rispetto alle prime stime e non si può escludere un effetto di fuga
termica4
. Potrebbero innescarsi reazioni a catena incontrollate e far
collassare l’equilibrio precario del funzionamento del pianeta. In ogni
caso, le conseguenze si tradurrebbero nell’innalzamento del livello
degli oceani, un rilevante scioglimento della banchisa e delle calotte
polari, la sommersione di isole e città costiere, incendi frequenti e
devastanti, estinzioni di massa di ogni sorta di specie vivente, la
diffusione di gravi malattie, l’incremento di cicloni, tempeste e
inondazioni, di ondate di calore distruttive associate a una
significativa avanzata dei deserti e alla conseguente diminuzione
delle popolazioni animali.
Gli ultimi calcoli fatti dai climatologi lasciano intendere che, se
non cambia nulla, l’incremento della temperatura alla fine del secolo
sarà circa di 7°C.
Un recente studio suggerisce che la parte di popolazione umana
sottoposta a ondate di calore potenzialmente mortali lunghe più di
venti giorni raggiungerà il 74% alla fine del secolo. La siccità che
negli ultimi anni ha attanagliato il Sahel non ha precedenti negli
ultimi 1600 anni. Gli incendi nelle foreste sono cresciuti di 4,5 volte in
pochi decenni, e si stima che il prezzo delle catastrofi
meteorologiche recenti nei soli Stati Uniti ammonti a oltre 300
miliardi di dollari. Su scala mondiale, è inevitabile che cresca il
numero dei rifugiati.
Se prendiamo il solo caso dei rifugiati climatici, che in una
trentina d’anni si calcolano essere tra i 200 e i 500 milioni (ma forse
di più), non è difficile capire l’entità del problema: questa situazione
genererà sicuramente guerre e gravi conflitti su scala planetaria. La
storia non lascia spazio ad altre possibilità. Secondo le Nazioni
Unite, nel 2018 in Afghanistan la siccità ha causato più migranti delle
violenze.
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