Nictofobia – Il Buio dell’Anima – Elisa Mantovani

SINTESI DEL LIBRO:
Deve essere pomeriggio, il sole batte sul centro del tavolino:
faceva lo stesso riflesso quando sono arrivato in questa posto
assurdo, anzi, quando lei mi ci ha portato. Ho cercato di
muovermi e sono caduto con la sedia a cui sono legato,
peggiorando solo le cose.
Deve avermi sollevato mentre dormivo perché, quando ho
riaperto gli occhi, niente più pavimento sporco, niente più
formiche, solo questo dannato riflesso del sole sul tavolino e di
lei nessuna traccia.
La cosa assurda è che non so chi sia: non la conosco! Da
quanto tempo sono qui, possibile che nessuno mi cerchi?
Teresa, così gelosa da non lasciarmi solo nemmeno al bagno,
possibile che non abbia smobilitato l’intera polizia per cercarmi?
La donna che mi ha portato qui dice di chiamarsi Rachele:
anonima, sciatta, un viso che sembra disegnato dalla mano di
un bambino frettoloso. Perché mi sta facendo questo? Devo
cercare di liberarmi, ma come? Non ne posso più, mi ammalerò,
così, immerso nelle mie feci, nella mia urina.
Ho freddo, tanto anche, e fame.
All’inizio ho vomitato le poche cose che avevo mangiato per
colazione… era la colazione?
Sì, ricordo che stavo per andare al lavoro, lei che mi si
avvicinava, mi chiedeva qualcosa. Le puzzava il fiato, questo lo
ricordo benissimo poi ho sentito un dolore acuto al collo, come
se una vespa mi avesse punto. Non era una vespa: era l’ago di
una siringa. Mi sono sentito subito mancare, non ho avuto
nemmeno il tempo di reagire. Deve avermi caricato sulla sua di
macchina e portato qua.
Adesso ho una fame incredibile, non pensavo che mi
tornasse, non in una situazione così allucinante.
Tutto questo finirà: sì, mi verranno a cercare.
Rachele canticchia.
Nessuno sospetta di lei perché non è che un’ombra, una
sorta di fantasma costretto a vagare tra i vivi, sfiorato dalla loro
gioia, le loro emozioni. Giorgio non si ricorda di lei, di quante
volte si sono incrociati nel bar che lui frequenta prima di andare
al lavoro. Aveva preso a seguirlo, sapeva tutto di lui: il lavoro
come impiegato in una ditta di telefonia, la compagna con cui
conviveva e usciva solitamente al sabato e alla domenica.
Usciva solo con lei, niente venerdì con amici e discoteca.
Rachele ha smesso di prendere le medicine, non fanno altro
che intontirla e basta.
Adesso è libera, finalmente.
Pensa a quanto sia stata brava nel trovare il posto perfetto
per il suo amore, un luogo in cui nessuno andrà a cercarlo: la
casa dell’Orco.
Lei la conosce bene invece perché in quella casa ci è nata,
quarant’anni prima. L’Orco era suo padre, un diavolo scappato
da uno squarcio dell’Inferno.
Sono passati otto giorni: quanto tempo ci vorrà prima che si
innamori di me? sussurra fra se e se.
Si allunga sul divano e si assopisce, mentre immagina
quanto sarà bello il momento in cui lui le dirà “Ti amo Rachele!”
“Perché?” continua a ripetere Giorgio, mentre lei sistema sul
tavolo la sportina.
Rachele non parla: la cosa lo atterrisce.
La fissa, con i polsi che gli mandano fitte lancinanti, lo
stomaco ridotto a un sassolino.
“Chi sei? Cosa vuoi da me?” continua, la voce impastata
dallo sfinimento.
Gli si avvicina con un piatto di plastica tra le mani. L’odore
del sugo è nauseante, ma non ha scelta. Lo imbocca, facendogli
cadere grumi di pasta sulla maglietta, poi gli fa bere acqua
gelida che piomba nello stomaco come un pugno.
“Ti prego, lasciami andare. Non ti ho fatto niente, non so
nemmeno chi tu sia!” le dice singhiozzando. Lei lo guarda
impassibile, poi torna al tavolo.
“Per questo: perché non mi hai mai fatto niente, nemmeno
un saluto. Adesso sai chi sono, sai che senza di me non puoi
vivere… lo sai vero!” le ultime parole le grida.
Giorgio rimane a bocca aperta, sporca di sugo e saliva
rappresa. La vede sorridere, vorrebbe dirle qualcosa ma cosa?
Cosa dire a una psicopatica per farle capire quanto stia
sbagliando?
Non può dire nulla, anche perché sente la testa pesante, i
pensieri sfilacciarsi non appena cerca di dar loro una forma.
Rachele lo osserva, mentre la testa inizia a ciondolargli sul
petto.
Pensa che quando sarà il momento gli farà un bel bagno, lo
faranno insieme, avvolti da una nube di schiuma profumata.
Esce, chiudendo alla meno peggio la porta marcia della casa
abbandonata, il cuore gonfio di speranza e l’animo più leggero
che mai.
Devo avere la febbre alta.
Non riesco a scaldarmi se non quando mi inzuppo i vestiti
con i miei stessi liquami, ma poi è ancora peggio.
Ho gridato così tanto che ho perso la voce, mi fanno male la
gola e gli occhi, non riesco a tenerli aperti dal dolore che mi
fanno. La testa mi pulsa, una nausea furiosa non mi lascia
tregua: mi sembra di impazzire!
Ho i polsi martoriati da queste maledette corde… sono
corde? So solo che per quanto cerchi di liberarmi sento la pelle
lacerarsi sempre di più.
Cosa vuole da me? Dio: fai che mi svegli, che sia un incubo,
ti prego!
Rachele guarda fuori dalla finestra il vento che sferza gli
alberi.
Forse avrei dovuto lasciare una coperta a Giorgio, pensa,
inizia a fare freddo. Suo padre però le ha insegnato che con la
sofferenza e la privazione anche il più potente degli uomini
diventa fragile come un fuscello; lei lo sa, sa cosa significhi
soffrire e sa che per non soffrire bisogna sottostare al più forte:
lei è la più forte adesso, Giorgio lo imparerà e lo accetterà.
Sono passati quattro giorni dall’ultima volta che è andata da
lui.
La puzza è atroce: la sente ancora prima di entrare. Gli ha
portato una coperta di pile: lo ama e non vuole che si ammali.
“Aiutami ti prego!” riesce a sussurrarle: è ridotto male, il viso
smagrito, gli occhi circondati da occhiaie nerastre.
“Lo sto facendo” gli risponde e gli sistema la coperta sul
petto.
Trema, sicuramente ha la febbre. Sotto la sedia un ammasso
putrescente ha quasi raggiunto i suoi piedi, saldamente legati
alla sedia.
La sedia ha un buco: glielo ha fatto lei, come ha fatto un
buco nei pantaloni e nelle mutande per permettergli di espletare
le funzioni corporee, lo stesso trattamento che le riservava suo
padre quando la puniva.
Va al tavolo: gli ha portato del pollo arrosto che ha comprato
due giorni prima.
“Basta!” singhiozza Giorgio.
“Dipende tutto da te!” gli risponde.
Non riesce nemmeno a capire quello che gli sta dicendo,
l’unica cosa che riesce a razionalizzare è la libertà, la sua vita
che adesso sembra un ricordo sfocato.
“Questione di tempo e anche tu ti piegherai al più forte”
continua, poi riprende a tagliare il pollo, mentre lui inizia a
piangere.
Rachele si avvicina. Lui alza la testa dolorante, la guarda e
cerca di sorriderle. Lei se ne accorge, rimane un attimo
perplessa, poi accosta la forchetta carica di cibo alla sua bocca.
Lui continua a sorridere.
La fissa e i suoi occhi sembrano velarsi di lacrime: è
emozionata, pensa. Sente il cuore battergli sempre più forte:
deve assolutamente sfruttare quel momento.
“Ho capito” dice con dolcezza, uno sforzo che lo spossa
quasi quanto un conato di vomito. Rachele rimane con la
forchetta sospesa: anche il suo di cuore ha preso a scalpitare,
sente le guance incendiarsi dall’emozione.
“Io ti amo Teresa!” e due grosse lacrime gli scendono sulle
guance scavate.
Si ritrova con la faccia sul pavimento. Sente tutte le ossa
scricchiolare, un dolore sordo, lancinante gli attraversa tutto il
corpo facendolo urlare: lo ha gettato a terra, la sedia che gli
preme addosso come un soffocante carapace.
Davanti al suo volto contorto dal dolore sente l’alito mefitico
che riesce a sovrastare il miasma che lo infetta.
“Io sono Rachele” gli urla in faccia.
La sente camminare via, imprecare qualcosa, e cala il
silenzio.
Un orribile scarafaggio gli zampetta vicino al naso poi tutto
diventa buio.
Che ore sono? Non so, non riesco a vedere il tavolino, non
vedo il sole. Vedo solo questo tratto di pavimento. Aspetto che
lo scarafaggio mi passi vicino alla bocca: sì, un bel bocconcino
gustoso!
Sento grattare alla porta, topi? No, dovrebbero essere grandi
come un cane: un cane, ecco cos’è, lo sento guaire.
Magari c’è il suo padrone! Devo urlare.
Sento abbaiare. Ce ne devono essere due: un cacciatore!
Ma sì, adesso arriva e mi libera!
Grido, mi fa male la gola ma la voce è tornata per fortuna. I
cani, sono davanti alla porta!
Ecco si è aperta: finalmente sono salvo!
Sono tre giorni che non va da lui.
Gli sta portando un toast e la solita bottiglietta con dentro il
sedativo.
La prima cosa che nota quando arriva è la porta spalancata:
in un secondo le piomba il mondo addosso. Poi un rumore:
viene da dentro la casa.
Sembra quasi un grattare: forse è lui che cerca di muoversi
sulla sedia.
Fa qualche passo, cercando di curiosare attraverso la porta
spalancata.
L’aveva chiusa quando era andata via l’ultima volta, ne era
certa. Forse era stato il vento, in fondo è una porta malmessa.
Un altro suono, questa volta più forte, la fa sussultare e un
grosso cane nero le sfreccia davanti. Rachele ha la gola secca,
ha paura: per un momento ha pensato di vedere Giorgio al
posto di quel cane correre via da lei, per sempre.
Si fa coraggio, prende un grosso bastone che trova in mezzo
alle sterpaglie ed entra.
Giorgio non si è liberato: è sulla sedia, rovesciato sul
pavimento, irriconoscibile.
Cani selvatici, ce ne sono molti in giro e devono essere
entrati: non ha più la faccia, il resto del corpo un ammasso di
carne, ossa, una poltiglia orribile.
Rachele si precipita fuori: quando arriva alla macchina non
ha più fiato né lacrime.
Ormai è passato un anno e, ancora, cercano Giorgio.
Anche Rachele non ha smesso di cercarlo e lo ha ritrovato.
Certo, il nome è diverso, ma per lei non conta: quello che
conta è che gli assomiglia tantissimo; si chiama Alex e lo vede
sempre nel bar, il nuovo bar che frequenta da un anno.
Stavolta andrà meglio, ne è certa, stavolta sarà quella
giusta: ha messo una porta solida alla casa, stavolta nessun
cane potrà entrare, potrà farlo solo lei.
Anche stamattina lo ha visto, sa che andrà al lavoro e poi a
correre lungo una stradina appena fuori città.
Beve il caffè sorridendo mentre lo guarda uscire,
continuando a ripetersi: “A stasera amore.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo