Nelle sue mani – Mary Durante

SINTESI DEL LIBRO:
La lama affondò nel ventre del suo bersaglio fino
all'impugnatura. Il sangue gli macchiò i guanti, anticipando di una
frazione di secondo l'urlo e le convulsioni con cui l'uomo cercò
invano di liberarsi da quel dolore letale. Gli fu sufficiente un calcio
per farlo crollare a terra tra gli ansiti.
«Mi aspettavo di più.»
Zeke si abbassò a ripulire il coltello sull'erba, ai margini del
bosco dove il suo avversario aveva sperato di trovare rifugio. Dei
guanti non si curò proprio; avrebbe provveduto a liberarsene in un
secondo momento.
«Se volevi avere una speranza, avresti dovuto abbandonare il
tuo Omega.» Sorrise fino a scoprire i denti. «Certo, quello non ti
avrebbe salvato, ma saresti riuscito a sopravvivere per qualche altro
minuto. Magari avresti reso la caccia più divertente.»
E in quel bosco ci sarebbero stati luoghi adatti a nascondersi,
con cui prolungare i giochi, che gli avrebbero consentito di sfogare la
violenza che gli scorreva sottopelle e che in quella missione aveva
trovato solo un sollievo momentaneo.
Un colpo di tosse gli macchiò le scarpe di sangue. Le fissò con
una smorfia, mentre tornava a infilare l'arma nella fondina.
«Fot... titi.»
L'offesa venne seguita da un altro attacco di tosse, ma Zeke
ormai si era già spostato così da mettersi fuori portata.
«Un po' tardi, per quello.»
Lanciò un'occhiata alle proprie spalle, sul primo cadavere che
aveva segnato il suo cammino. L'Omega aveva tentato di sparargli,
non male per uno che la biologia avrebbe voluto in ginocchio a
succhiare cazzi. Gli era risultato più furbo dell'Alpha agonizzante ai
suoi piedi.
Mentre guardava il sangue imbrattare la maglietta e i calzoni,
per poi formare una chiazza scura contro il terriccio e il fogliame del
sottobosco, si mise a perquisirlo, attento a sporcarsi il meno
possibile. Già sapeva che avrebbe dovuto ripulirsi le scarpe, prima di
poter oltrepassare le mura interne.
Jaden gli aveva chiesto un lavoro discreto, e lui non aveva
intenzione di scontentarlo.
Incurante dei gemiti dell'uomo ferito, gli tolse dalle tasche
qualche moneta, un paio di banconote e, trovato all'interno della
giacca, un pacchetto già aperto di sigarette. Lo aprì, per scoprire con
una smorfia che buona parte del peso era dovuto all'accendino. Ma
quelle cinque sigarette erano meglio di niente, soprattutto dopo una
missione così breve e priva di interesse.
«Sei un traditore... della tua gente. Un Alpha... senza onore.»
Quel rantolo lo bloccò proprio quando era stato sul punto di
serrare le mani guantate attorno al suo collo e affrettare la sua
morte. Tornò eretto, squadrandolo con un sorriso. Niente fine rapida
per gli stronzi dalla bocca troppo larga.
«E cosa ti ha regalato il tuo onore, a parte un buco in pancia?»
Si accese la sigaretta, sedendosi su una roccia vicina. «Posso
essere senza onore, ma almeno non finirò a nutrire i vermi.»
Non ebbe risposta, ma mentre faceva il primo, delizioso tiro,
ogni cosa perse d'importanza.
Da quando non fumava una sigaretta? Giorni interi. Forse
perfino settimane. Se non fosse stato in missione, si sarebbe
concesso di abbassare le palpebre per godersi meglio il momento.
Con l'adrenalina della caccia che ancora gli riscaldava le vene,
invece, si mantenne vigile a sufficienza da essere pronto a reagire a
eventuali minacce. Non che ne aspettasse sul serio. Le informazioni
erano state chiare: una coppia con il legame. Omega di mezza età,
Alpha sui trent'anni. Entrambi da eliminare senza troppo clamore.
Un'occhiata al corpo ai suoi piedi gli rese noto che la missione
ormai era stata compiuta. Lo rigirò con un calcio, senza nemmeno il
desiderio di alzarsi dalla roccia.
Il sole alto nel cielo chiamava per una battaglia, o una lunga
passeggiata senza confini né mura, o qualche ora di riposo lì,
all'aperto, per chi non doveva rispondere a nessuno. Passò una
mano sul metallo che gli circondava il collo, del tutto uguale a quello
indossato dal cadavere davanti a lui.
Un Alpha senza onore.
Scoppiò a ridere, facendo levare in volo uno stormo di uccelli.
Che si fottessero tutti.
Si stiracchiò fino a far schioccare i muscoli della schiena, mentre
serrava le dita attorno all'accendino. Quello stronzo di Jaden non gli
permetteva di fumare, così se ne approfittò e prese un'altra sigaretta
dal pacchetto, accendendola con il mozzicone di quella che aveva
consumato fino al filtro.
Una lunga inspirazione, per riempirsi i polmoni e la bocca di
nicotina, e poi il fumo che gli abbandonava le labbra in un lungo
sospiro. La pace.
Presto sarebbe dovuto tornare all'interno delle mura, dove il
peso del collare si sarebbe fatto più consistente, una presenza a cui
non si era mai del tutto abituato, perfino dopo tutti quei mesi di
prigionia.
Ma in quella radura isolata dov'era l'unica persona ancora in
vita, poteva permettersi di assaporare qualche altro minuto di libertà.
Capitolo 2
I Beta di guardia lo fermarono prima ancora che potesse sperare
di mettere piede oltre le mura. Con il coltello aderente al polpaccio, lì
dove lo aveva occultato, mostrò le proprie mani vuote e libere dai
guanti, tenendo le labbra serrate.
«Cos'abbiamo qui?» Occhi ostili lo scrutarono dal basso, fino a
soffermarsi sulle scarpe che si era ripulito alla bell'e meglio. «Un
Alpha fuggiasco tornato all'ovile?»
La collera gli martellò sulle tempie, mentre la violenza non
ancora sfogata premeva per emergere e punire i due uomini che
osavano alzare la voce con lui. Odiava i cagasotto della loro
categoria più ancora degli Omega a capo di quella società malata,
codardi che avevano trovato più conveniente piegarsi dinanzi a chi
non aveva alcun diritto di trovarsi in cima alla gerarchia.
«Lasciatemi passare.»
«Mi stai forse dando un ordine, animale?» Il Beta che stava
cercando invano di intimidirlo si girò verso il compagno. «Forse
dovremmo metterti dentro per un paio di giorni. Un centro rieducativo
non ti farebbe male.»
Zeke trattenne un'offesa mordendosi a sangue l'interno della
guancia.
«Sono stato fuori dalle mura per ordine di Price. Se mi
rallentate, ne risponderete a lui.»
Ebbe la soddisfazione di vedere i loro lineamenti contrarsi, una
smorfia che era assieme timore e rabbia prendere il posto del
divertimento con cui lo avevano squadrato fino a poco prima.
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