Morti e sepolti – Guido Barbujani

SINTESI DEL LIBRO:
“Poi a un certo punto arrivano le madri”, raccontava Peter. “Si
piazzano lì vicino, ti guardano e non dicono niente. Si sporgono sul
bordo dello scavo come se fossero certe di riconoscere subito, in
mezzo alle ossa che tiriamo fuori, il femore o il cranio del figlio. Certe
volte chiediamo loro di aiutarci, anche un po’ per vincere
l’imbarazzo. Gli diamo, non so, una spazzola… dovresti vedere con
che cura puliscono il loro pezzetto d’osso, piano piano.”
Si è alzato per cercare un posacenere, non l’ha trovato, e allora è
andato in cucina a spegnere la sigaretta sotto il rubinetto. Il
lavandino era pieno di piatti, e mentre li spostava ha gridato
qualcosa che non ho capito. “Vuol dire ‘State lontane dalla fossa che
se no ci cascate dentro’, in curdo”, ha spiegato. Subito dopo l’ho
sentito trafficare coi cassetti della scrivania. Mi ha passato delle foto.
La prima era in bianco e nero: una donna sulla cinquantina, con la
frangetta, alta, legnosa, vestita bene, sul bordo di una fossa comune
mezzo scavata. La donna guardava da un’altra parte o forse da
nessuna parte, e intanto si abbracciava le spalle, attorcigliata su sé
stessa come una santa del Parmigianino.
“Questa”, ha detto “è un’argentina, mi pare di Cordoba.
Aveva due figlie desaparecidas. L’hanno chiamata lì perché
sapevano che fa il medico, ma è psichiatra, figurati: non ci capiva
niente. Dovrai abituarti a lavorare così, in mezzo alla gente.”
Altra foto, stavolta a colori. Quattro donne accucciate su un
terrapieno, intente a fissare qualcosa alle spalle del fotografo.
“Kurdistan”, ha detto Peter. Era una bella foto, da copertina di
settimanale. Sullo sfondo, di profilo, sfocato, si distingueva uno con
un fucile a tracolla. Nella terza foto c’erano degli africani.
Guardavano in un buco da cui emergevano le spalle immense di
Peter, in camicia a scacchi e cappellino da baseball. Con le mani
dietro alla schiena, tutti in jeans, sembravano più che altro dei
curiosi, ma una di loro, una donna con una sottana viola, aveva uno
sguardo nettamente più intenso, fissava la fossa come se cercasse
di estrarne qualcosa con la sola forza di volontà. Ho capito che era
la donna etiope di cui Peter mi aveva raccontato a lungo. Non si era
staccata dagli scavi per una settimana. Con l’aiuto dell’interprete
Peter aveva cercato di spiegarle che in ogni caso non si sarebbe
capito subito chi c’era là dentro. Sarebbe andata per le lunghe:
meglio se avesse parlato con quello che raccoglieva i dati sugli
scomparsi, e poi a casa. Niente. Alla fine della spedizione, quando
tutte le casse erano sui camion e Peter aveva già regalato al capo
villaggio la torcia elettrica con cui andava in giro di notte, la donna
era ancora sull’orlo della fossa.
“Quando ci penso, mi sembra che sia ancora là”, ha detto Peter,
battendo l’indice sopra la foto.
Gli ho chiesto se la donna avesse trovato quello che cercava, ma lui
non lo sapeva.
“A un certo punto te ne vai, quello che resta da fare lo fa l’equipe
locale. Te ne vai. Quelli con cui hai parlato, che ti hanno raccontato
la loro storia, che ti hanno commosso con la loro storia, diventano
una statistica: tante fosse individuate, tanti scheletri riesumati, tanti
identificati e restituiti alle famiglie. I nomi te li scordi anche prima.
Devi impararne altri, sentire altre storie che dimenticherai nel giro di
qualche anno. Vita!” E mi ha tolto la foto di mano, l’ha passata in
fondo al mucchio. Anche la quarta riguardava qualcosa di cui mi
aveva parlato poco prima, con tanta precisione che adesso l’avevo
subito riconosciuta. Ancora la regione curda. Si riseppelliscono i
morti. Il lato di un pendio è stato scavato e poi tutto tappezzato di
mattoni su tre lati, in modo da delimitare un piccolo cimitero
infossato. La tripla parete è incongrua, e uno se ne accorge subito.
Servirà a evitare gli smottamenti, ma sorprende tanta cura per i
morti, quando le case dei vivi, sullo sfondo, sembrano tirate su alla
bell’e meglio. Intorno c’è molta gente, forse tutto il villaggio. Alcune
casse sono state calate nelle fosse, una rimane in pericoloso
equilibrio sul ciglio, coperta da una specie di bandiera con una scritta
in caratteri arabi. Mi faccio indicare da Peter il proprietario della
fornace: eccolo lì, con le braccia a mezz’aria, come se si fosse reso
conto a metà di un movimento che agitarsi è inutile. Per dieci anni
aveva messo da parte ogni giorno un po’ dei mattoni che aveva
cotto, un po’ ogni giorno, calcolando di arrivare al matrimonio dei figli
con tutto il materiale necessario per costruirgli la casa. Tre figli e tre
contingenti di mattoni, e lui sapeva esattamente quanti dovevano
essere e per quando dovevano essere pronti. Adesso i figli erano
morti, gli avevano restituito i corpi, e lui li seppelliva in mezzo ai loro
mattoni.
Un colpo di vento ha fatto vibrare i vetri e con loro le palme fuori
della finestra. Sopra, piccolissimo, brillava un elicottero, gli spazi
aerei della Florida sono sempre solcati da oggetti volanti. Al mio
arrivo, alle nove, il cielo era completamente sgombro, primaverile,
festivo; ci eravamo sistemati in piscina. Non avevo ancora detto di
sì, perché capivo solo in parte cosa volesse fare Peter, e perché
volesse farlo con me non lo capivo proprio.
Mi aveva liquidato con sette parole: “Voglio che tu faccia del tuo
meglio”, pronunciate le quali aveva spento la sigaretta e si era diretto
verso l’acqua.
Gli ero corso dietro protestando: “Ma come del mio meglio, dai.
Spiegami qualcosa.”
Con gesto lento da sultano Peter aveva lasciato cadere
l’accappatoio. Poi, mentre introduceva prima un piede, poi l’altro,
scendeva fino a mezzo polpaccio e infine si chinava a raccogliere un
po’ d’acqua da spargersi sul ventre, aveva concluso: “Mi sono rivolto
a te perché sai il tuo mestiere. Vuoi che te lo insegni io, il tuo
mestiere, con questo caldo?”
“Prima di mollare tutto e attraversare l’Atlantico, vorrei capire cosa ti
aspetti da me.”
“Che tu faccia quello che sai.” Era iniziata la fase critica
dell’immersione dei testicoli e Peter faceva delle smorfie.
“È così fredda quest’acqua?”
“Vieni a sentirla.”
Si è armato di tutto il suo coraggio e ha sceso altri due gradini, di
colpo. Ma mi era passata la voglia, e poi in due ci si stava troppo
stretti. Sono rimasto al sole mentre Peter faceva su e giù, dieci
bracciate per di qua, uno schiaffetto al bordo della piscina, una
pausa, una lentissima virata, dieci bracciate per di là, schiaffetto e
così via.
Disteso sull’asciugamano mi sono mezzo appisolato. Il riverbero era
abbagliante; a occhi chiusi, a seconda di quanto stringessi le
palpebre, il colore virava dal viola all’arancio, con lucine che si
accendevano all’improvviso e poi pulsavano. Non pensavo a niente.
Calma assoluta, mattonelle deliziosamente calde sotto la schiena. Si
provava una certa soddisfazione per il solo fatto di esistere, nel sole.
Qualcosa del genere l’avevo avvertita una volta in Sicilia. Ma lì
l’immutabilità delle condizioni meteorologiche, per ore e ore la stessa
luce e la stessa temperatura, e le stesse cicale, alludono a una
qualche forma di eternità, quotidiana e sperimentabile. Qui no,
invece. Qui non solo la società, pensavo in uno stato di semiincoscienza, ma l’intero ecosistema sono in preda a un continuo,
inarrestabile cambiamento. Ben presto alle mie spalle sono
comparse le prime nuvole, e in dieci minuti hanno invaso il cielo.
Senza smettere di nuotare, Peter ha commentato: “Sempre qua, a
mezzogiorno in questa stagione, ci puoi regolare l’orologio. Se vuoi
fare il bagno, sbrigati.”
“Peter”, gli ho chiesto, “a te questa vita piace, no?”
“Ma certo”, ha risposto.
“E ti piacerebbe passareogni giorno così?”
“Ogni giorno è un po’ troppo. Diciamo la maggioranza dei giorni.
Ogni tanto mi piace andare a trovare i ragazzi.” Due volte divorziato,
Peter aveva figli in tre continenti e svariati nipoti.
“I ragazzi, d’accordo”, ho insistito. “Ma questa qua, in Florida, a casa
tua, è la vita che ti piace. Giusto?”
Peter si è appoggiato con le braccia al bordo della piscina. “Be’,
credo di sì, questa vita mi va bene, grosso modo. Perché me lo
chiedi?”
“Mi stai trascinando in un viaggio in cui lavoreremo come matti per
quattro soldi…”
“…vedendo un pezzo di mondo che non hai mai visto…”
“…che però non avevo urgenza di vedere, grazie. Insomma, non ho
ancora capito perché ci tieni così tanto.
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