Le cinque persone che incontri in cielo – Mitch Albom

SINTESI DEL LIBRO:
Questa è la storia di un uomo chiamato Eddie e comincia
dalla fine, con Eddie che muore sotto il sole. Potrebbe
sembrare strano iniziare una storia dal finale, ma ogni fine è
anche un principio. Solo che, quando sopraggiunge, lo si
ignora.
Eddie trascorse la sua ultima ora di vita, come gran parte
delle altre, al Ruby Pier, un parco divertimenti prospiciente
un vasto oceano grigio. Il parco aveva le solite attrazioni, un
lungomare di legno consunto dalle intemperie, una ruota
panoramica, le montagne russe, l'autoscontro, una bancarella di
dolciumi e un locale con le macchinette automatiche, in cui si
poteva sparare un getto d'acqua nella bocca di un clown. Di
recente aveva acquisito una nuova grande attrazione, la
Freddy's Free Fall, ed Eddie sarebbe morto proprio lì, in un
incidente destinato a occupare le prime pagine dei giornali
dell'intero Stato.
Al momento della morte Eddie era un uomo anziano,
tarchiato, dai capelli bianchi e dal collo taurino. Aveva il
torace ben sviluppato e le braccia robuste, e un tatuaggio
sbiadito dell'Esercito sulla spalla destra. Le gambe corte
erano ormai rinsecchite e solcate da una rete di vene. Il
ginocchio sinistro, ferito in guerra, era roso dall'artrite, e
per camminare Eddie aveva bisogno di un bastone.
Aveva un viso largo e segnato dal sole, due ispidi
basettoni e la mandibola lievemente protrusa, che lo faceva
sembrare più fiero di quanto fosse. Teneva sempre una sigaretta
dietro l'orecchio sinistro e un anello di chiavi appeso alla
cintura; indossava scarpe dalla suola di gomma e un vecchio
berretto di lino. La sua divisa color marrone chiaro era quella
di un operaio, quale in effetti era.
Il lavoro di Eddie consisteva nel «manutenere» le giostre,
il che in realtà equivaleva a garantirne la sicurezza. Ogni
pomeriggio, rigorosamente, percorreva a piedi il parco,
verificando ogni attrazione, dal Tilt-A-Whirl al Pipeline
Plunge. Andava a caccia di assi rotte, di bulloni allentati e
di pezzi d'acciaio usurati. Talora si fermava all'improvviso e
sollevava lo sguardo. Le persone che gli passavano accanto
temevano che qualcosa non andasse, ma lui si era solo messo in
ascolto: dopo tutti quegli anni riusciva a percepire i
problemi, come lui stesso affermava, nei crepitìi, nei
borbottìi e nei pìcchiettìi delle macchine.
Negli ultimi cinquanta minuti che gli restavano da vivere
sulla Terra, Eddie s'incamminò per l'ultimo giro d'ispezione al
Ruby Pier e superò una coppia di anziani.
«Signori» borbottò, toccandosi il cappello.
La coppia rispose educatamente con un cenno. I clienti lo
conoscevano, perlomeno quelli abituali. Lo vedevano ogni
estate, e lui era ormai diventato una di quelle facce che si
associano a un posto. La sua camicia da lavoro recava sul petto
un'etichetta di stoffa con la scritta eddie e, sotto,
manutenzione. Talvolta lo salutavano esclamando «Ciao, Eddie
Manutenzione», malgrado lui non avesse mai trovato la cosa
divertente.
Quel giorno, il caso volle, era il suo compleanno,
l'ottantatreesimo. La settimana precedente il dottore gli aveva
comunicato che era affetto da herpes zoster. Herpes zoster?
Eddie non sapeva nemmeno che cosa fosse.
Una volta era tanto forte da riuscire a sollevare due
cavalli delle giostre, uno per braccio. Ma da allora era
passato molto tempo.
«Eddie!»... «porta me, Eddie!»... «Porta me!» Negli ultimi
quaranta minuti della sua vita Eddie si fece largo fra un
gruppo di bambini accalcati davanti all'ottovolante. Saliva su
ogni attrazione almeno una volta la settimana, per essere certo
che freni e sterzi funzionassero bene. Quel giorno toccava alle
montagne russe - lì si chiamavano Ghoster Coaster - e i bambini
che lo conoscevano gli chiedevano a gran voce di poter salire
con lui sul vagoncino.
I bambini adoravano Eddie, ma non altrettanto gli
adolescenti, che per lui erano un gran fastidio. Nel corso
degli anni credeva di aver avuto a che fare con tutti i ragazzi
fannulloni e insolenti del paese. I bambini, invece, erano
diversi. I bambini lo guardavano lui, che con la sua mandibola
prominente sembrava sorridere sempre, come un delfino - e si
fidavano. Erano attratti da Eddie come le mani fredde dal
fuoco. Gli si avvinghiavano alle gambe, giocavano con le sue
chiavi e lui rispondeva con qualche grugnito, senza quasi mai
proferire parola. Proprio grazie a questo, pensava, si era
conquistato le simpatie dei più piccoli.
Eddie diede un colpetto affettuoso a due bambini con il
berretto da baseball indossato al contrario. Questi si
precipitarono verso il vagoncino e vi balzarono dentro; Eddie
porse il bastone all'addetto alla giostra e, lentamente, si
sedette fra i due.
«Ecco che si parte... si parte!...» strillò uno dei
piccoli, mentre l'altro si metteva il braccio di Eddie attorno
alle spalle. Questi abbassò la barra di sicurezza e, clackclack-clack, si avviarono verso la prima salita.
Sul conto di Eddie circolava una vecchia storia. Durante
l'infanzia, trascorsa su quello stesso molo, era stato
coinvolto in una zuffa in un vicolo. Cinque ragazzini di Pitkin
Avenue avevano circondato suo fratello, Joe, e stavano per
dargli una bella lezione. Eddie era a un isolato di distanza,
su una veranda, intento a mangiare un sandwich, quando aveva
udito le urla del fratello. Accorso nel vicolo, aveva afferrato
il coperchio di un bidone della spazzatura.
Due ragazzi erano finiti in ospedale.
Dopo quell'episodio Joe non gli aveva parlato per mesi,
pieno di vergogna. Joe era il più grande, il primogenito, ma
era stato Eddie a battersi.
«Facciamo un altro giro, Eddie? Per favore!» Trentaquattro
minuti ancora da vivere. Eddie sollevò la barra di sicurezza,
diede a ciascuno dei bambini una caramella, recuperò il bastone
e si recò zoppicando al locale manutenzioni per trovare un po'
di sollievo dalla calura estiva. Se avesse saputo che la morte
era imminente, forse sarebbe andato altrove; invece, fece come
tutti: si attenne alla sua noiosa routine come se avesse
davanti a sé la vita intera.
Uno degli operai, un giovane allampanato dal volto ossuto,
di nome Dominguez, si trovava accanto al lavandino dei solventi
e stava ripulendo una ruota dal grasso.
«Ehi, Eddie» disse.
«Dom» rispose il vecchio.
Il locale odorava di segatura, era buio e angusto, con il
soffitto basso e una parete di legno piena di ganci ai quali
erano appesi trapani, seghe e martelli. Dappertutto erano
sparpagliati pezzi di giostre: compressori, motori, cinghie,
lampadine, e persino la sommità della testa di un pirata.
Contro una parete erano impilate varie lattine di caffè piene
di chiodi e di viti, contro un'altra innumerevoli recipienti di
grasso.
Per ingrassare una rotaia, sosteneva Eddie, non occorreva
più cervello che per lavare un piatto; l'unica differenza era
che, invece di pulire, imbrattavi. Proprio quello era il genere
di lavoro che Eddie svolgeva: cospargere di grasso, riparare
freni, stringere bulloni, controllare quadri elettrici. Più
volte aveva desiderato ardentemente di lasciare quel luogo, di
trovare un'altra occupazione, di costruirsi una vita diversa.
Ma era scoppiata la guerra, e i suoi sogni non si erano mai
realizzati. Con il passare del tempo si era visto incanutire,
portare pantaloni sempre più larghi e sviluppare un senso di
stanca rassegnazione, per il fatto che ormai era quello che
era, e sempre lo sarebbe stato. Come suo padre prima di lui e
come dichiarava l'etichetta sulla sua camicia, Eddie era un
manutentore, il manutentore capo o, come lo chiamavano talora i
bambini, «l'uomo delle giostre del Ruby Pier».
Trenta minuti da vivere.
«Ehi, a proposito, buon compleanno» disse Dominguez.
Eddie grugnì.
«Niente feste o cose del genere?» Eddie lo guardò come se
fosse impazzito. Per un istante pensò quanto fosse strano
invecchiare in un luogo che odorava di zucchero filato.
«Be', ricordati, Eddie, la settimana prossima sono in
ferie, a partire da lunedì. Vado in Messico.» Lui annuì, e
Dominguez accennò qualche passo di danza.
«Io e Teresa. Andiamo a far visita a tutta la famiglia.
Fes-s-s-ta.» Quando notò che Eddie lo fissava, il giovane smise
di ballare.
«Ci sei mai stato?» gli domandò Dominguez.
«Stato dove?» «In Messico?» Eddie espirò dal naso.
«Ragazzo, non sono mai stato da nessuna parte, se non dove mi
hanno spedito con il fucile in mano.» Poi osservò Dominguez
mentre tornava al lavandino e rifletté per un attimo. Estrasse
quindi un piccolo rotolo di banconote dalla tasca, prese gli
unici pezzi da venti che aveva - due di numero - e glieli
porse.
«Compera qualcosa di bello a tua moglie» disse.
Dominguez guardò il denaro, sfoderò un ampio sorriso e
rispose: «Dai, amico, ne sei proprio sicuro?» Eddie gli cacciò
in mano i soldi, poi uscì e si recò nell'area adibita a
magazzino. Anni prima, nelle assi del pavimento, era stato
ricavato un «buco per pescare». L'uomo ne sollevò il coperchio
di plastica e tirò
una lenza di nylon, che s'immergeva per venticinque metri
nell'acqua. C'era ancora attaccato un pezzo di mortadella.
«Abbiamo preso qualcosa?» gridò Dominguez. «Dimmi che
abbiamo preso qualcosa!» Eddie si domandò come facesse quel
giovane a essere tanto ottimista. Alla lenza non trovavano
appeso mai nulla.
«Un giorno» urlò Dominguez, «prenderemo un ippoglosso!»
«Già» mormorò il vecchio, pur consapevole che un pesce tanto
grosso non sarebbe potuto passare attraverso quel piccolo foro.
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