La sfida – David Baldacci

SINTESI DEL LIBRO:
Sentendosi elettrizzato dalla morte imminente, Doug Jacobs si
aggiustò le cuffie e aumentò la luminosità del monitor del computer.
L’immagine adesso era nitidissima, quasi come se lui si trovasse lì.
Ma grazie a dio non c’era.
Lì era a migliaia di chilometri di distanza, ma guardando lo
schermo nessuno sarebbe riuscito a capirlo. Non potevano pagarlo
abbastanza per essere lì. Inoltre, c’era tanta gente più adatta per
quel lavoro. A breve sarebbe entrato in comunicazione con uno di
loro.
Jacobs lanciò una rapida occhiata alle quattro mura e all’unica
finestra del suo ufficio nell’assolato quartiere di Washington, DC. Era
un edificio di mattoni rossi, basso e dall’aspetto ordinario, situato in
una zona multifunzionale che comprendeva anche case storiche in
vari stati di abbandono o di restauro. Ma alcune parti del palazzo di
Jacobs non erano affatto ordinarie. Tali elementi includevano uno
spesso cancello d’acciaio sul davanti, con una recinzione alta che
circondava tutta la proprietà. Sentinelle armate pattugliavano i
corridoi interni mentre telecamere di sicurezza monitoravano
l’esterno. Ma fuori non poteva esservi alcun indizio su cosa
succedesse all’interno.
E all’interno succedevano parecchie cose.
Jacobs prese la sua tazza di caffè appena fatto in cui aveva già
versato tre bustine di zucchero. Osservare lo schermo richiedeva
una concentrazione intensa. Zucchero e caffeina lo aiutavano a
raggiungerla. Quel momento eguagliava il fermento emotivo che
avrebbe provato entro pochi minuti.
Parlò nel microfono delle cuffie. «Alfa Uno, confermare posizione»
disse in tono conciso. Gli venne in mente che sembrava proprio un
controllore di volo che cercava di mantenere sicuri i cieli.
Be’, in un certo senso è proprio quello che sono. Tranne che in
ogni viaggio il nostro obiettivo è la morte.
La risposta fu quasi immediata. «Alfa Uno: posizione, settecento
metri a ovest dell’obiettivo. Sesto piano del lato est del palazzo,
quarta finestra da sinistra. Zumando dovresti riuscire a distinguere la
bocca del mio fucile.»
Jacobs si sporse in avanti e mosse il mouse, zumando su una
trasmissione satellitare in tempo reale da quella città lontana in cui
vivevano così tanti nemici degli Stati Uniti. Sospesa oltre il bordo del
davanzale, vide appena la punta di un silenziatore avvitato sulla
canna di un fucile. Quel fucile era un tipo di arma fatta su misura che
poteva uccidere a lunga distanza... be’, sempre che a utilizzarlo ci
fossero una mano e un occhio esperti.
Come in quel momento.
«Roger, Alfa Uno. Armato e puntato?»
«Affermativo. Gli elementi rientrano alla perfezione nel campo di
visuale. Reticolo sul punto terminale. Silenziatore a modulazione di
frequenza sintonizzato. Sole basso alle mie spalle e in faccia a loro.
Nessun riflesso. Pronto all’azione.»
«Ricevuto, Alfa Uno.»
Jacobs controllò l’orologio. «Ora locale 17:00?»
«In punto. Aggiornamento informazioni?»
Jacobs richiamò le informazioni su una finestra dello schermo.
«Tutto come programmato. L’obiettivo arriverà tra cinque minuti.
Uscirà dalla limousine dal lato marciapiede. Si tratterrà lì un minuto
per le domande e poi si dirigerà a piedi nell’edificio. In: dieci
secondi.»
«Dieci secondi per entrare nell’edificio. Confermato?»
«Confermato» disse Jacobs. «Ma il minuto di domande potrebbe
durare di più. Adattati alla situazione.»
«Ricevuto.»
Jacobs si concentrò di nuovo sullo schermo per alcuni minuti
finché non la vide. «Okay, la fila di automobili si sta avvicinando.»
«La vedo. Ho una visuale perfetta. Nessuna ostruzione.»
«La folla?»
«Ho osservato il percorso dei pedoni durante l’ultima ora. La
sicurezza ha installato una recinzione. Hanno delimitato la sua
strada per me, come una pista illuminata.»
«Okay. Ora riesco a vederlo.»
A Jacobs piaceva stare in prima fila per queste cose, senza
trovarsi davvero nella zona di pericolo. Riceveva un compenso più
generoso della persona all’altro capo della linea. Per certi versi,
questo non aveva alcun senso.
Era il culo del cecchino a essere là fuori, e se il tiro non andava a
buon fine o se non si ritirava in fretta, era bello che morto. Alla base
non c’era nulla che potesse ricondurlo a loro. Avrebbero negato
tutto. Il cecchino non aveva documenti, credenziali o identificativi per
dimostrare il contrario. Sarebbe stato lasciato appeso a un filo. Anzi,
a un cappio, poiché quello sarebbe stato il suo destino nel Paese in
cui questo particolare colpo aveva luogo. O forse lo avrebbero
decapitato.
E nel frattempo Jacobs se ne stava qui al sicuro ad accumulare bei
soldoni.
Ma pensava: Tanti possono sparare un colpo e scappare. Sono io
a occuparmi delle dispute geopolitiche su questi coglioni. Sta tutto
nei preparativi. E io valgo ogni dollaro che guadagno.
Jacobs parlò di nuovo al microfono. «Bersaglio in avvicinamento.
La limousine sta per fermarsi.»
«Ricevuto.»
«Dammi un preavviso di sessanta secondi prima di sparare.
Andremo in silenzio radio.»
«Roger.»
Jacobs serrò la stretta sul suo mouse come se fosse un grilletto.
Durante alcuni attacchi di droni, aveva effettivamente cliccato con il
mouse e osservato un bersaglio scomparire in una palla di fuoco.
Chi aveva costruito quel computer probabilmente non aveva mai
immaginato che potesse essere usato per quello.
Il suo respiro accelerò anche se sapeva che quello del cecchino
stava facendo proprio l’opposto, raggiungendo il cold zero, ossia lo
stato necessario per sparare un colpo a lunga gittata come quello.
Non c’era il minimo margine di errore. Il tiro doveva colpire e
uccidere il bersaglio. Semplice.
La limousine si fermò. La squadra di sicurezza aprì la portiera.
Uomini massicci e sudati con pistole e auricolari si guardarono
attorno dappertutto in cerca di pericoli. Erano piuttosto bravi. Ma
piuttosto bravi non bastava quando i tuoi avversari erano
eccezionali.
E ogni risorsa impiegata da Jacobs era eccezionale.
L’uomo scese sul marciapiede e strinse gli occhi per il fulgore del
sole morente. Era un megalomane chiamato Ferat Ahmadi, il cui
desiderio era guidare una nazione inquieta e violenta lungo una
strada ancor più buia. Non poteva essergli consentito.
Perciò era il momento di stroncare quel problemino sul nascere.
C’erano altri nel suo Paese pronti a prenderne il posto. Erano meno
malvagi di lui e disposti a essere manipolati da nazioni più civilizzate.
Nel mondo troppo complesso di oggi, dove alleati e nemici
sembravano cambiare di settimana in settimana, era il meglio che si
potesse fare.
Ma quello non era un problema di Jacobs. Lui era lì semplicemente
per portare a termine un incarico, enfatizzando la parola ‘termine.’
Poi alle sue cuffie giunsero due parole: «Sessanta secondi.»
«Ricevuto, Alfa Uno» disse Jacobs. Non aggiunse nulla di stupido
come ‘buona fortuna’. La fortuna non c’entrava niente.
Attivò un conto alla rovescia sullo schermo del suo computer.
Osservò l’obiettivo e poi l’orologio.
Jacobs guardò Ahmadi parlare con i giornalisti. Prese un sorso di
caffè, lo posò, poi continuò a osservare mentre l’uomo terminava
con le domande prestabilite. Ahmadi si allontanò di un passo dai
reporter. La squadra di sicurezza li tenne a distanza.
Il percorso prescelto fu rivelato. A beneficio dei fotografi, Ahmadi lo
avrebbe calcato da solo. Era fatto per mostrare la sua autorità e il
suo coraggio.
Era anche una falla nella sicurezza che a livello del suolo
sembrava insignificante. Ma con un cecchino addestrato in una
posizione elevata, era come uno squarcio di cinquanta metri sul lato
di una nave con un faro da un miliardo di candele che lo illuminava.
Venti secondi divennero dieci.
Jacobs cominciò a contare mentalmente gli ultimi istanti, gli occhi
incollati allo schermo.
Uomo morto in arrivo, pensò.
C’era quasi. La missione era quasi compiuta, e poi sarebbe stata la
volta del bersaglio successivo.
O meglio, dopo una bella bistecca per cena, il suo cocktail preferito
e dopo aver sbandierato quest’ultima vittoria ai suoi colleghi.
Tre secondi divennero uno.
Jacobs non vedeva nient’altro che il monitor. Era completamente
concentrato, come se fosse lui a dover sparare il colpo fatale.
La finestra andò in frantumi.
Il proiettile entrò nella schiena di Jacobs dopo aver perforato la sua
sedia ergonomica. Attraversò il suo corpo e gli uscì con fragore dal
petto. Finì per incrinare lo schermo del computer mentre Ferat
Ahmadi entrava illeso nell’edificio.
Doug Jacobs, al contrario, si accasciò sul pavimento.
Niente bistecca per cena. Niente cocktail preferito. Niente più
spacconate.
Uomo morto arrivato.
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