La melodia dei sensi – Daniel Pennac

SINTESI DEL LIBRO:
Bisognerebbe vivere a posteriori. Decidiamo tutto troppo presto. Non
avrei mai dovuto invitare quel tizio a cena. Una resa affrettata, dalle
conseguenze disastrose. È
vero che la pressione era fortissima. Tutta la tribù si era accanita a
convincermi, ognuno nel proprio registro, una potenza di fuoco
spaventosa:
«Come sarebbe?» sbraitava Jérémy, «Thérèse è innamorata e tu
non vuoi vedere il suo tipo?»
«Non ho mai detto questo.»
Subentrava Louna:
«Thérèse trova un signore che si interessa a lei, fenomeno
altrettanto improbabile di un tulipano su Marte, e a te non frega
niente?»
«Non ho detto che non me ne fregava niente.»
«Nemmeno un briciolo di curiosità, Benjamin?»
Questa era Clara, la sua voce di velluto...
«Ma lo sai, almeno, cosa fa nella vita, l'amico di Thérèse?» ha
chiesto il Piccolo dietro i suoi occhiali rosa.
No, non sapevo, almeno, cosa faceva.
«Racconti!»
«Racconti?»
«Cos’ ha detto Thérèse: racconti!»
Vietare l'accesso alla nostra ferramenta a un narratore voleva dire
distruggere il sistema di valori del Piccolo. Dal sottoscritto a Loussa
de Casamence, passando per l'amico Théo, il vecchio Risson,
Clément Clément, Thian, Yasmina o Six la Neve, il Piccolo non
aveva frequentato altro da quando era nato.
«È vero,» ho chiesto poi a Julie, «che quel thérèsofilo è un
narratore?»
«Narratore o meccanico che sia,» ha risposto Julie, «te lo dovrai
beccare comunque, quindi tanto vale cedere subito. Organizza una
cena.»
La mamma, dal canto suo, era da qualche parte in amore, come
sempre. Fu al telefono, una mattina verso le dieci (sgranocchiamenti
circospetti di fette biscottate, con ogni probabilità ci chiamava dal
letto, dietro il vassoio della colazione), che apprese la bella notizia.
Ha detto quello che dice sempre, ogni volta che una delle figlie cade
in deliquio.
«Thérèse innamorata? Ma è me-ra-vi-glio-so! Le auguro di essere
felice come me.»
E ha riattaccato.
In materia di donne, inutile ripiegare sugli uomini. Ho sentito il parere
degli amici solo pro forma. Hadouch, Mo e Simon erano
evidentemente della stessa opinione:
«Non ti è mai andata giù, Ben, che qualcuno si facesse le tue
sorelle. Vorresti tenertele per te, è il tuo lato "mediterraneo", come
dite voialtri.»
Il vecchio Amar, invece, aveva espresso il suo tranquillo fatalismo:
«Insh Allah, figliolo, quel che donna vuole, Dio lo vuole. Yasmina mi
ha voluto perché Dio ha voluto che io volessi Yasmina. Capisci?
Bisogna avere la mente aperta come il cuore di Dio.»
Ho ripensato a Stojil. Che consiglio mi avrebbe dato il mio vecchio
Stojil, curvo sulla nostra scacchiera, se non fosse morto prima del
tempo? Probabilmente lo stesso di quando Julie si era messa in
pancia un desiderio di prole:
«Lascia fare Thérèse.»
Risposta molto vicina alla laconicità ontologica di Rabbi Razon:
«La specie umana è una decisione di donna, Benjamin. Nemmeno
Hitler ha potuto opporvisi.»
Cosa che mi ha confermato Gervaise, la seconda madre di mio
figlio, la controfigura di Julie, un'anima santa che dedica la propria
vita alla redenzione delle mignotte, lassù, dalle parti di rue des
Abbesses. Ero andato a sentire il suo parere nell'asilo da lei aperto a
tutti i figli e le figlie delle puttane del quartiere. La marmaglia
illegittima le sgambettava intorno in un profumo di latte acido e di
pelle nuova. Gervaise emergeva da quel brulichio come la rocca
della maternità.
«Se Thérèse vuole fare un figlio lo farà. È una questione di istinto.
Nemmeno le professioniste sanno resistervi. Guarda.»
Il suo braccio fece un cerchio sopra i puttanocchi che le frugavano in
grembo.
«Se io non posso impedire tutto questo, come vuoi riuscirci tu?»
Per antifrasi aveva battezzato il suo asilo "Ai frutti della passione", e
vi aveva assunto mia sorella Clara, che sbarcava lì tutte le mattine
con Verdun, E Un Angelo e Signor Malaussène. In fondo, anche loro
erano frutti della passione. Gervaise e Clara regnavano con
dolcezza su quel piccolo bordello.
Quanto a Théo, il mio vecchio amico Théo, l'amico degli uomini, mi
ha propinato il suo lamento durante una serata di malinconia:
«Ma in fondo cosa vorresti? Che Thérèse avesse il pallino delle
ragazze?
Nell'omosessualità c'è un fattore identico che alla lunga è
deprimente, dai retta alla mia instancabile ricerca. E poi,» aggiunse,
«Thérèse è venuta a confidarsi con me... il margine di manovra è
esiguo, Benjamin.»
«Cosa ti ha detto?»
«Quello che vorrebbe poter dire a te. Ma ha paura di te, tu sei il
capofamiglia. Io sono la vecchia zia cui si dice tutto e che non
riferisce niente.»
Alle Edizioni del Taglione, il mio lavoro naturalmente ne risentiva. E
non potevo sperare nulla dalla regina Zabo:
«Provi ancora una volta a rompermi le balle con la sua famiglia,
Malaussène, e la sbatto fuori. Definitivamente.»
La cosa non mi è piaciuta.
«D'accordo, Maestà, sono fuori dai piedi.»
Dietro la porta sbattuta, ha gridato, abbastanza forte perché la
sentissi:
«Non conti sulla liquidazione!»
Nel corridoio, Loussa de Casamence, il mio vecchio amico Loussa,
specialista senegalese di letteratura cinese, mi ha chiesto soltanto:
«Chengfà hai, piccolo?» (Di nuovo punito, piccolo?)
Ho risposto soltanto che questa volta me ne andavo per davvero.
« Wo gai zou le, yilaoyongyi!»
«Il verbo in fondo, piccolo, te l'ho detto mille volte: yi laoyongyi wo
gai zou le!»
Una volta di più, circondato d'affetto com'ero, mi ritrovavo solo con
un problema non mio. Ma insomma, Thérèse Malaussène
innamorata! La mia Thérèse dalla rigidezza così fragile! La mia
spiritista in vetro di Murano... Così vulnerabile...
Innamorata! In una famiglia in cui a memoria di tribù l'amore aveva
sempre prodotto solo l'irreparabile! La mamma, Clara, Louna ne
sapevano qualcosa. Quante rotture, quanti fallimenti, quante morti
violente, e quanti orfani, alla fine? L'amore aveva lastricato questa
famiglia di cadaveri sui quali sgambettava un numero esponenziale
di marmocchi, e tutte queste donne erano pronte a ricominciare da
zero, con il cuore puro, a incantarsi per l'improvviso rossore sulle
guance incavate di Thérèse, identificato immediatamente come il
segno dell'amore, quando io avevo sperato in una innocente
tubercolosi.
È vero, prendetela come vi pare, ma io avevo riposto tutte le mie
speranze nel bacillo di Koch. Quel colorito roseo nella mia
smortissima Thérèse, quel sentimentalismo inusitato nel suo eloquio
così asciutto, quell'aura tutta calda in una ragazza così fredda,
quelle fantasticherie febbrili, quello sguardo lucido, una sola
spiegazione: la tisi. Si può prendere la tubercolosi per romanticismo,
e a Thérèse non ne mancava. Sei mesi di antibiotici e sarebbe
tornata come prima.
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