La fine del mondo: Guida per apocalittici perplessi – Telmo Pievani

SINTESI DEL LIBRO:
In tanti ce lo avevano detto
Anche il cristianesimo delle origini ebbe i suoi movimenti
apocalittici, poi condannati come eretici. Dal II secolo in poi gli
adepti del sacerdote Montano e delle sacerdotesse Massimilla e
Priscilla attesero a lungo l’arrivo della Nuova Gerusalemme tra
i villaggi della Frigia. La fine delle persecuzioni nel IV secolo
non infuse abbastanza ottimismo e le profezie di sventura
proseguirono: per il massacratore degli eretici ariani, Ilario di
Poitiers, l’anno giusto sarebbe stato il 365. Per i donatisti di
Ticonio il 380. Le invasioni barbariche apparvero ai più come
un’attuazione letterale delle profezie bibliche, il flagello di Dio.
Per Gregorio di Tours i tempi sarebbero finiti tra il 799 e l’806.
Nel 950 il monaco Adsone di Montier-en-Der annuncia l’arrivo
dell’Ultimo Imperatore del Mondo nella sua Lettera
sull’Anticristo. Nell’anno 968 ci fu un’eclissi solare, nel 981
apparve la cometa di Halley, nel 970 e nel 992 il Venerdì Santo
coincise con l’Annunciazione, si avvicinava la fine del primo
millennio cristiano: troppe coincidenze, doveva esserci sotto
qualcosa.
Per la natura un calcolo degli anni in base dieci ha lo stesso
significato di un calcolo in base sedici o ventisette, ma tant’è, le
dita delle mani sono il nostro strumento di padronanza della
realtà e il mondo che deve finire è pur sempre quello umano. I
mille anni e non più mille, a causa del confronto allegorico tra i
giorni della creazione e le ere dell’umanità presente in un
Salmo citato nella seconda lettera di Pietro, hanno così
acquistato con il tempo un significato epocale, per quanto del
tutto arbitrario [Flori 2010]. Dunque si dedusse che non vi
sarebbe stata alcuna alba terrena dopo la notte di San Silvestro
del 999, giacché si sarebbe manifestata la seconda venuta di
Cristo, gli angeli avrebbero finalmente separato i buoni dai
cattivi e gettato questi ultimi nella fornace ardente.
Il calcolo della fine dei tempi in base alla cronologia dei 6.000
anni – simbolicamente, mille anni per ciascuno dei sei giorni
della creazione, e alla fine il millennio del regno di Cristo dopo
la fine del mondo, come lo calcolava ancora nel XVII secolo
Thomas Burnet in Telluris theoria sacra (1691) – era minato dalla
terribile incertezza circa la data di origine della creazione: il
3761 a.C. secondo la Bibbia ebraica; il 5500 a.C. secondo la
Bibbia greca nella Versione dei Settanta; il 3952 a.C. secondo le
sapienti cronografie di un monaco erudito inglese dell’VIII
secolo, il venerabile Beda; il 23 ottobre del 4004 a.C.,
precisamente alle ore 12.00, secondo l’ardita misurazione
dell’arcivescovo anglicano d’Irlanda James Ussher, pubblicata
nel 1650. Ma se non ci si mette d’accordo sull’inizio, e la durata
deve essere proprio di seimila anni, la data della fine del
mondo non potrà che oscillare pericolosamente nei calendari.
Secondo le Chronographiae del funzionario cristiano romano
Sesto Giulio Africano del 221 d.C., la fine del tempo terreno
doveva cadere nell’anno 500, cioè allo scoccare dei presunti
6.000 anni dalla Creazione. Alla smentita dei fatti, un calcolo
alternativo optò per l’anno 800. Da lì in poi si preferì lasciarsi
suggestionare più semplicemente dagli anni con tre zeri,
concentrando le attenzioni sui millenni, ora in modo del tutto
arbitrario non soltanto rispetto ai tempi della natura ma anche
rispetto alla logica di partenza della misurazione. Grazie al
lavoro certosino del venerabile Beda, il calendario degli anni
«dopo Cristo» era divenuto canonico e condiviso, ma
l’associazione tra l’anno mille a tutto tondo e il secondo
avvento del Messia prevalse nella cultura popolare per ragioni
assai contingenti.
Non è nemmeno ben chiaro fra gli storici quanto panico vi
sia stato, davvero, all’approssimarsi dell’anno mille, ma il
sollievo deve aver rinforzato la fede con la gratitudine. Anche il
millesimo anniversario della crocifissione, nel 1033, passò
innocuamente. Fu poi la volta di una potente visione
apocalittica al femminile, nel manoscritto Scivias della badessa
benedettina tedesca Ildegarda di Bingen nel 1179. Qualche
anno prima Gerardo di Poehlde previde qualcosa di importante
nel 1306, millesimo anniversario dell’arrivo dell’imperatore
Costantino. Il grande mistico e abate cistercense calabrese
Gioacchino da Fiore nel XII secolo concepì una suggestiva
divisione trinitaria della storia universale, con il succedersi
delle età del Padre o della legge (il Vecchio Testamento), del
Figlio o della grazia (l’era cristiana) e dello Spirito Santo (l’era
utopica e monacale dopo la sconfitta dell’Anticristo), ma
saggiamente preferì non dare indicazioni precise di scadenze
perché i piani di Dio onnipotente devono restare inconoscibili
ai mortali.
Il Saladino, perfetto anticristo per molti, non fu però cacciato
dalla città santa e le penitenze dei flagellanti non portarono
una nuova era in Europa. La morte di un altro potenziale
anticristo nel 1250, l’imperatore Federico II, non impedì di
continuare a usare la profezia come un’arma politica e
ideologica. Nel 1286 un allineamento planetario nella Bilancia
fece pensare al cardinale cistercense Giovanni di Toledo che
tutto fosse sul punto di finire. In effetti il crepuscolo sembrò
approssimarsi davvero, ma con la peste nera del 1346 e degli
anni seguenti. Tra carestie e rivolte contadine, anche la
pandemia alla fine passò e in Europa fu persino Rinascimento.
La disfatta di ogni annuncio di sventura definitiva e l’accumulo
di predizioni numerologiche fallite (ci provò persino Cristoforo
Colombo puntando sul 1658) cominciarono a innervosire anche
le gerarchie. Il Quinto Concilio Lateranense stabilì, nel 1515,
che «sotto pena di morte, non dovranno più essere fatte
profezie sulla fine del mondo»: in altri termini, se le farete, sarà
il vostro mondo a finire.
Poi però i pianeti si allinearono nella costellazione dei Pesci
nel 1517, l’anno della Riforma Protestante. Ammesso che ciò
voglia dire qualcosa, qualcuno tornò a predire la fine del
mondo per opera, ovviamente, dell’acqua. Per Lutero, a sua
volta, un mondo non riformato sarebbe finito al massimo entro
il 1600. Tommaso Campanella calcolò che nel 1603 Sole e Terra
si sarebbero scontrati. Nel 1525, prima di finire orribilmente
torturato e poi decapitato dai luterani, l’anabattista Thomas
Müntzer aveva mandato al massacro i suoi contadini della
Turingia nella convinzione che «la fine ultima di tutte le ere»
fosse vicina. Dieci anni dopo toccò al messianico Giovanni di
Leida a Münster. Nel tormentato Seicento inglese la guerra
civile vide protagonisti anche i radicali millenaristi, che si
specchiarono nelle fiamme dell’incendio di Londra nel molto
apocalittico anno 1666. Tra il 1672 e il 1675, un insospettabile
Isaac Newton scriveva in privato un Trattato sull’Apocalisse,
sperimentando nella teologia biblica la sua «scienza esatta
delle profezie» [Mamiani, in Newton 1994].
Come scrive John D’Agata, gli Stati Uniti in particolare sono
stati prodighi di profezie circa la caduta di tutte le cose,
soprattutto tra i protestanti. Forse in un paese giovane, dove si
abitano i luoghi come un’eterna frontiera, è più facile
immaginarsi un baratro alla fine di tutto. I puritani inglesi
avevano ora una terra selvaggia, ai limiti del mondo, dove
erigere la loro Nuova Gerusalemme e attendere la fine dei
tempi. Dopo il rogo dell’anabattista tedesco millenarista Jacob
Hutter nel 1536, dal quale nacquero le comunità hutterite
statunitensi e canadesi:
Il giovane profeta americano Jacob Zimmerman predisse la fine nel
1674, anno in cui condusse un gruppo di uomini nella foresta
battezzandoli «La società delle donne nell’ombra». Il pollo magico di
Mary Bateman a Providence, Rhode Island, predisse che la fine sarebbe
arrivata nel 1813. John Wesley, fondatore del metodismo, concluse che il
capitolo 12, versetto 14 dell’Apocalisse – «un tempo, due tempi e la metà
di un tempo» – significava che il mondo sarebbe finito nel 1836 [D’Agata
2010, 120].
Nel Settecento il vasto movimento del «Grande Risveglio»
invitò i coloni americani a prepararsi al nuovo regno che
sarebbe giunto di lì a poco. Dal 1820 fu poi necessario ricorrere
a un Secondo Grande Risveglio, tra sette millenariste e
professionisti di predizioni sbagliate come il reverendo
anglicano Michael Paget Baxter (che annunciò l’apocalisse per
il 1867, 1868, 1869, 1872, 1896, 1903 e infine 1908). Anche gli
shakers, i credenti nel secondo avvento, si prepararono per
decenni tra danze liturgiche convulse e purificazioni. In alcune
profezie millenariste non manca il sadismo: i veri credenti
verranno portati in cielo subito e potranno poi assistere per
sette anni alle terrificanti tribolazioni che perseguiteranno i
dannati sulla Terra. Nel 1830 anche Joseph Smith, fondatore
della Chiesa Mormone, guida i suoi fedeli verso il punto di
raccolta delle anime da salvare, suggeritogli da un angelo, in
attesa dell’evento finale previsto intorno al 1891. Nel 1844 una
mitica epopea verso ovest porterà i suoi fedeli fin nello Utah,
dove non sopraggiunse alcuna fine del mondo ma al contrario
una robusta prosperità che dura ancora oggi.
Negli stessi anni un ufficiale dell’esercito poi convertitosi alla
predicazione, William Miller, convinse migliaia di persone che
la fine del mondo, con il ritorno di Cristo e la spaventosa
distruzione dei miscredenti, sarebbe giunta tra il 21 marzo del
1843 e il 21 marzo del 1844 (poi rinviata, senza successo, al 22
ottobre). I versetti di Daniele nell’Antico Testamento e quelli
dell’Apocalisse nel Nuovo lo avevano tradito, ma una volta
metabolizzata la grande delusione altri subito pensarono che
quelle date non fossero esattamente la fine del mondo, bensì
l’inizio della meticolosa analisi da parte di Dio dei salvati nel
gran libro della vita. Dato che il compito è lungo e pedante, il
regno di Cristo deve ancora tardare e da allora molteplici
chiese attendono il «secondo avvento».
La data dell’apocalisse fu calcolata invano anche da illustri
matematici (come Jacques Bernoulli), da astronomi, da cabalisti
ebrei (come Shabbetai Tzevi, autoproclamatosi messia nel
1648), da astrologi e da qualche piramidologo. Nei primi anni
del XX secolo nasce il movimento cristiano pentecostale, con
forti venature millenaristiche. Inizia la raggelante sequenza dei
suicidi collettivi per accogliere il secondo avvento. Nel marzo
del 1910 alcuni temettero un avvelenamento globale causato
dalla mefistofelica coda della cometa di Halley. Charles Taze
Russell, fondatore della comunità che poi darà origine ai
Testimoni di Geova, era convinto che il presente fosse il regno
della perdizione e che le Sacre Scritture contenessero un
calendario occulto da prendere alla lettera per sconfiggere la
perversione: l’umanità si sta avviando verso lo scontro finale di
Armageddon (antica città-stato ai piedi del Monte Carmelo,
vicino ai primi siti di insediamento di Homo sapiens fuori
dall’Africa), dopo il quale inizierà il regno di Cristo. Il secondo
avvento fu pronosticato da Russell per il 1914, due anni prima
della sua morte, ma in quei mesi l’epifania, tutta umana, fu
piuttosto quella di una spaventosa guerra mondiale.
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