Il quinto passo è l’addio – Sergio Atzeni

SINTESI DEL LIBRO:
IL QUINTO PASSO È L’ADDIO
RUGGERO GUNALE ESILIANDOSI DALLA CITTÀ
E DISCUTENDO CON SE STESSO DI PRINCIPI MORALI HA UNA
VISIONE MISTICA
Bocca aperta alle mosche, Ruggero Gunale guarda con occhi umidi
e impietriti la città che si allontana: la croce d’oro sulla cupola della
cattedrale e attorno a coro-na digradando i palazzi color catarro dei
nobili ispanici decaduti, circondati da bastioni pietrosi invalicabili a
piede d’uomo, dove pendono chiome di capperi al vento, di un verde
che ride.
Guarda i quartieri moderni fuori le mura scendere dai colli al mare
oleoso e verde cupo, i bei palazzi e portici dei tempi di Baccaredda
(scrittore e sindaco, amato e ca-rogna) e il lascito architettonico di
quest’epoca ai futuri: il cubo luttuoso e vitreo che nasconde i vicoli
del porto e offende il municipio bianco e danzante cui si è affiancato
con protervia da funzionario viceregio d’altri tempi (non è escluso
che i futuri decidano di amarlo e cantarlo… o lo smonteranno vetrata
per vetrata e lo sposteranno in campagna oltre Paulli e invece delle
nere geometrie che spen-gono la luce e l’allegria vedranno
panchine, fontane, pal-me e jacarandas?).
Ruggero Gunale guarda la città che si allontana. Saluta torri pisane
e campanili. Sillaba a se stesso: “La mitezza non incute rispetto né
suscita vero compatimento. Anzi: godono a schiacciarti”.
Con gli occhi della memoria vola per i vicoli del paese dove ha
vissuto gli ultimi tre anni, gli pare di udire il ron-zio di un calabrone in
un pomeriggio silenzioso e di vedere i muri bianchi di calce ogni
tanto incavati in portali neri o marroni, muri senza finestre, per
proteggere gli abitanti 29
IL QUINTO PASSO È L’ADDIO
Ruggero Gunale esiliandosi dalla città …
dall’occhio sbavante dell’invidioso e da quello maligno nascoste e
non si lamenta del male che subisce.
della strega che passano per strada.
Tu non sei mite. Ora soltanto hai percepito l’esistenza della mitezza.
Perché vinto. Sei stato bestia, avida e fero-Nelle ultime novanta notti
ha sognato di alzarsi, uscire ce, finché avevi forza e te l’hanno
permesso. Ora ti ma-sul tetto e tuffarsi nel vuoto. Nel sogno era
mattina e Rug-scheri da esiliato, nascondendo il nome che per anni
hai gero volava sopra i vicoli e i giardini murati, attorno alle
sventolato quasi fosse un merito.
campane, guardando auto e passanti, carretti e limoni, ma Non ho
mai colpito per cattiveria. Per noncuranza, nessuno sollevava gli
occhi, nessuno vedeva l’uomo pla-magari, o per cecità.
nare portato dai venti. Arrivava in riva, guardava il mare, Il nome
sparisce, salva per un po’ la lapide in campo-si chiedeva: “Lo
attraverso?” e rispondeva: “No. È troppo santo. E la vicenda presto è
dimenticata, cancellata da largo”. Tornava indietro, rientrava dal tetto
e si svegliava.
nuove imprese di tonti e di campioni”.
Pensa: “Sei figlio di puttana e intrighi, spingi e sgam-Ruggero sente
voci di madri che da alte finestre del betti, ti fai largo con la forza e
l’astuzia e ti rispettano ser-porto chiamano i figli sapendo che non
torneranno prima vili, vogliono farti fesso e se li fai fessi ti ammirano,
ti di cena, voci che modulano nomi al vento per avere un imitano.
Devi essere veloce nel colpire, regalare cicatrici.
“eh!?” di risposta, prova che i figli non si sono spaccati la Se ti fermi
a pensare, perdi il tempo e ti saltano addosso.
testa tuffandosi nella fontana vuota, non sono annegati in Resta alla
superficie delle cose e sali nella stima altrui”.
mare e non sono ai cessi pubblici fra le mani lerce di un trucchista.
La calce dei paesi e l’acqua del mare e degli stagni ri-flettono la luce
come aureola sulla cupola della cattedra-Carcerati cantano dietro le
bocche di lupo alte sul le, attorno alla croce d’oro. Il sole del
pomeriggio suscita colle: «Voglio la libertà, il mio avvocato al corno
della for-dall’acqua vapori che imbiancano aria e mura. Luce e va-ca
e Marianna questa notte stessa».
pori avvolgono la città, pare staccarsi dai colli, nube gui-data al cielo
dalla croce. Visione da monaco medievale.
Coro di madri e galeotti offerto al Signore quando ca-Sciocchi e
astuti nella Gerusalemme che sale al Signore.
la il sole.
Così vede la città Ruggero Gunale e pensa: “È pulita e secca. Il sole
la asciuga e il vento spazza via i fetori”.
“La spada è fatta per colpire, qualunque motivo santi-fichi la mano
che la impugna. Fingi l’anima del monaco Ruggero parla a se
stesso: “Fuggi. Dopo trentaquattro ma sei armato.
anni ti strappi alla terra dove hai amato, sofferto e fatto il Stare in
basso a capo chino è penoso, anche se detto buffone. Ogni angolo
di strada testimonia una tua gioia, segno di saggezza”.
un dolore, una paura.
In cambio sarò libero. La maschera che mi cuciranno
“La nave puzza di piscio e ammoniaca” pensa Ruggero addosso, lo
straniero, l’isolano, il mendicante, mi nascon-Gunale immobile,
uscendo dal dialogo interiore e guarderà, occulterà il nome, sarò
uomo fra uomini… Chi è dando la città bianca di luce in volo dietro la
croce d’oro, mite compatisce i persecutori, ne vede la fragilità, le
ferite con madri e carcerati in canto sacro, profumata di salso.
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AMORE, ODIO, MORTE. IL MAGO DELLA PIOGGIA.
pende da un gancio d’acciaio alla parete, sul muso ha MIRACOLI O
ALTERAZIONI DI COSCIENZA?
stalattiti di ghiaccio. Ruggero è nudo, batte i denti, non sa dove sia
l’uscita. Chiama aiuto. Nuvole di respiro che condensa.
Si sveglia.
Ruggero guarda i gabbiani spazzini, volano sul pelo dell’acqua a
beccare i rifiuti che escono dalla nave, cartoni Tre aprile, davanti al
bar dello Svizzero, solita mezzora di succhi di frutta, latte di pelati,
valve di cozze e arselle, rubata, lui le carezza l’orecchio sinistro col
pretesto di os-bottiglie di vetro e di plastica, preservativi, non c’è una
pol-servare l’orecchino (tre gocce nere di legno pendenti da pa da
inghiottire, i gabbiani si levano verso il ponte pas-un triangolo
d’argento) e pensa: “Si lascia carezzare, sta seggiata con stridii
furiosi, Ruggero non li vede, è perduto, ferma, chiude gli occhi…”.
accecato dalla memoria come sogno a occhi aperti. A boc-Ruggero
ritira la mano, confuso, lei è sposata.
ca socchiusa intaglia il tessuto unto e grosso del ricordo.
Monica si volta.
Si guardano.
Un giorno, un’ora, pochi minuti bastano a vivere espe-Il labbro
inferiore di Monica, sporgente, tumido, la rienze che segnano una
vita, cambiano un uomo. Vent’an-bocca in apparenza socchiusa, la
fissità degli occhi (dico-ni di giorni tutti uguali non lasciano traccia
nella memoria.
no come un’attesa, un richiamo), l’avidità evocata dal naso Il ricordo
cancella la noia, la monotonia? Conserva lampi, di falco creano
un’espressione da proprietaria di tesori fra immagini, echi di sogni,
parole che si sono incise e nessu-le gambe, usati e da usare con
voglia.
no può scacciare – liberarsene sarebbe unguento sulle piaghe…
Otto aprile. In corridoio lui la segue, occhi bassi sul culo compatto,
sporgente, rivolto al cielo, culo negro.
Il molo un mattino di settembre. Il sole suscita dall’ac-Monica sbircia,
nota la direzione dello sguardo, sorride.
qua corone e aghi di luce, ricami che scintillano sulla pati-Ha denti
piccoli e bianchi. Lui non si accorge, immerso na di nafta e riflessi
dorano le pietre del pontile. Ruggero nella contemplazione dei jeans
di velluto rosso di due ta-scopre d’essere innamorato. È in pausa di
colazione da glie più piccoli, infilati fino in fondo alle natiche a sepamezz’ora. Cammina lento, lo sguardo vola dalle barche rare le
rotondità, se Monica siede a gambe larghe aderi-che dondolano alle
briciole arancio negli occhi di Monica.
scono alle pieghe del ventre e ne mostrano a perfezione il disegno.
Gli occhi di Monica, color carbone.
Lei non ha mutande, lui ancora non l’ha capito.
Il primo sogno: uno stanzone dalle pareti bianche, vuoto di mobili, un
negro suona le congas, Monica danza, Entrano in stanza. È vuota,
gli altri sono fuori a cola-ride e mormora un blues, si avvicina a
Ruggero sollevan-zione. Monica con un salto siede sul ripiano della
prima do la gonna e scompare assieme al negro, stamburamento
scrivania, poggia le mani sul vetro verde, allarga le gambe.
e stanza. Frigo di macelleria, luce da ghiacciaio, Ruggero Ruggero
non evita di guardare, il riflesso del ventre è stringe gli occhi, vuole
fuggire l’abbaglio. Mezzo maiale una rosa nera.
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