Il cavaliere senza nome- Fabiola D’amico

SINTESI DEL LIBRO:
Fosco avanzò a testa alta nella sala da bagno riccamente adorna di mosaici
raffiguranti scene campestri. Il suo sguardo non divagò sui venti giovani che
stavano compiendo le abluzioni purificatrici prima di essere armati cavalieri,
così come sarebbe accaduto a lui di lì a qualche ora. C’era un abisso molto
profondo tra se stesso e ognuno di loro. I giovani, che avevano imparato l'arte
della guerra al servizio di vassalli e signori importanti, erano di stirpe nobile e
avevano alle spalle un’importante albero genealogico.
Lui, invece, non poteva vantare alcun titolo nobiliare ma, soprattutto, non
aveva nome se non quello datogli da alcuni monaci quando diciassette anni
prima era stato ritrovato sulla soglia di un monastero benedettino nella città di
Benevento.
Sostenevano che li aveva fissati con uno sguardo torvo e che nei giorni
successivi era sempre stato di umore piagnucoloso, e, tra le mura gelide del
monastero, si era udita solo una frase: - Una zazzera di capelli neri, una faccia
sempre scura, quanto è fosco questo bambino!
Così più per abitudine che per scelta gli avevano affibbiato il nome che
portava: Fosco il trovatello.
Cresciuto secondo i dettami rigidi e modesti della vita monastica, aveva
subito mostrato di non apprezzare le ristrettezze religiose soprattutto la
castità. Le donne lo avevano sempre attratto e, fin da bambino, era sfuggito
alle punizioni dei frati, nascondendosi dietro le vesti di qualunque femmina a
portata di mano. Da ragazzino, però, l’interesse verso l’altro sesso era mutato.
Troppo in fretta aveva compreso quanto una scollatura influisse sulla sua
anatomia. Le sue mani erano state leste a toccare per conoscere. E le
punizioni sempre più dure. La schiena era ancora segnata dalle fustigazioni
corporali che i monaci gli avevano inflitto per il suo bene.
- La fornicazione sarà la tua rovina. Andrai dritto all’inferno! – solevano
ripetere mentre cercavano di fargli mettere giudizio. Non si erano resi conto
che più veniva punito, più era incuriosito dalle donne. Ogni sferzata, piuttosto
che annientarlo, aveva avuto il potere di renderlo più spavaldo.
Tutto ciò, però da molti anni, apparteneva al passato. Il destino lo aveva
favorito mettendolo al servizio del Duca di Sicilia e la sua vita era cambiata.
Ora poteva amare liberamente. Sorrise dentro di sé al pensiero di tutte le
serve che lo avevano aiutato a diventare un bravo amante. Doveva tutto al
Duca che lo aveva accolto nella sua cerchia più intima come se fosse un
parente. Con l’affetto che gli aveva dimostrato nel tempo, aveva voluto
ripagarlo di avergli salvato la vita. “La volontà di Dio si è manifestata
attraverso un ragazzino imberbe che mi ha salvato da morte certa”, questo
era ciò che diceva quando lo presentava ad amici e parenti. Nel momento in
cui Fosco aveva compreso il valore del suo gesto, compiuto senza secondi
fini, non si era cullato di quell’amicizia così importante. Anzi aveva lavorato
duramente per dimostrare di valere ed essere degno della fiducia del sovrano.
Stava per diventare cavaliere perché lo meritava eppure invidie e gelosie lo
circondavano. Conosceva bene ciò che la gente diceva di lui. Non volle
pensarci in quel momento.
Cavaliere! Bisbigliò parola a labbra chiuse, ben attento a non mostrare quanto
fosse felice di aver raggiunto un obiettivo così importante. Ignorò tutti e
scelse la più lontana delle vasche, una che non fosse occupata da alcuno.
S’immerse nell’acqua calda trattenendo un sospiro di appagamento. I nervi
delle spalle muscolose erano contratti a causa della tensione accumulata negli
ultimi giorni. Appoggiò la nuca alla sponda e chiuse gli occhi. Da quel giorno
la sua vita sarebbe cambiata, ne era certo, così come sapeva che il sole ogni
mattina si alzava nel cielo e diffondeva luce e calore.
Delle mani delicate si posarono leggere sulle scapole. Secondo la
consuetudini arabe, che Ruggero non aveva abbandonato, ancelle solerti
avevano il compito di assistere gli uomini nelle abluzioni. Non si voltò per
vedere chi era, quel giorno non cercava il piacere..
Rosalinda sfiorò con sollecitudine i muscoli possenti del futuro cavaliere che
la regina stessa le aveva raccomandato. Non sarebbe stato difficile farlo, il
giovane aveva un aspetto virile e molto attraente. Si chinò sul suo capo,
aspirando il profumo dei capelli che scendevano appena sulla nuca. Erano
neri come un corvo, così in contrasto con gli occhi verdi. O forse azzurri! Lo
aveva osservato bene ed era certa che gli occhi di Fosco da Benevento
fossero verdi o azzurri a seconda del suo stato d’animo o di come la luce del
sole si riflettesse in essi. Quella particolarità lo rendeva affascinante ma non
quanto il suo fisico. Non era riuscita a distogliere lo sguardo dal pupillo del
Re quando era entrato nella stanza da bagno. Alto e fiero, aveva attraversato
la stanza senza curarsi di nessuno. A lui interessavano solo le donne. Se le
voci che giravano erano vere, sapeva come compiacerle.
Un grido riecheggiò nella sala.
Sobbalzò per lo spavento, per alcuni attimi abbandonò la presa sul corpo
muscoloso. Anche il giovane cavaliere si tirò a sedere. La sua mano corse
all’elsa della spada che aveva lasciato sul bordo della vasca. Le labbra del
cavaliere si piegarono in una smorfia di disappunto quando comprese che si
era trattato di uno stupido scherzo.
- Calmatevi mio signore. Qui, siete tra amici – gli sussurrò tornando a toccare
il fascio di muscoli.
Alle sue parole, Fosco si abbandonò di nuovo alla sponda della vasca. Le
ciglia si abbassarono, celandole il suo sguardo.
Rosalinda si dedicò alla fronte ampia, avendo cura di spostare le ciocche
ribelli che gli cadevano sugli occhi chiusi, alle sopracciglia folte e scure. Poi
spostò la sua attenzione alla bocca carnosa. Mentre le sue mani capaci
lavoravano, osservò la figura armoniosa del cavaliere. Le gambe lunghe e
tornite risaltavano sotto il pelo dell’acqua e il torace villoso si sollevava al
ritmo del respiro lento. Era fin troppo facile occuparsi di lui. Impresse
maggior forza nel suo tocco, sotto le dita avvertiva una tensione latente.
Sciolse un muscolo sul collo e carezzò una vena sulla tempia che pulsava più
forte delle altre. Sfiorò il naso dritto e le mascelle squadrate e rasate. Un
tremito di desiderio la sconvolse. Come lo voleva!
Mentre le mani capaci della serva tentavano di districare la tensione, Fosco
udì le voci scherzose dei commilitoni. Gli fu impossibile non provare una
fitta d’invidia. Quel cameratismo gli era estraneo, in quegli ultimi giorni non
aveva legato con nessuno a esclusione di un giovane. Non che si fosse
sforzato di ottenere le simpatie dei suoi coetanei. Amava la solitudine, quel
silenzio che gli permetteva di parlare con il profondo io e interrogarlo su
questioni che ahimè non avevano mai una risposta. Tutta colpa dei libri che
aveva letto. La passione per la lettura era iniziata nel monastero dov'era
cresciuto; lì, aveva imparato il latino e il greco. Poi, al seguito di Ruggero,
affidato alle cure di Ibd-Giubayir, astrologo e filosofo, aveva studiato l'arabo
e la lingua francese. Desideroso di elevarsi nelle grazie del sovrano, aveva
letto soprattutto manuali di guerra, traendo validi insegnamenti sulle antiche
strategie militari usate dai più potenti condottieri del passato. Fino a quel
momento aveva avuto ben poche occasioni di mettere in pratica quelle lezioni
ma dall’indomani, quando sarebbe stato ufficialmente un cavaliere, le
opportunità non sarebbero mancate. Ruggero sarebbe stato fiero di lui.
Anche se perso nei suoi pensieri, sentì chiaramente voci indistinte sussurrare:
Senza nome. La mascella si contrasse per la tensione. Un nervo pulsò nella
tempia, malgrado le abili dita dell’ancella non smettessero di lavorare per
offrirgli piacere. Era a lui che si riferivano. Odiava quel soprannome. Mille
volte meglio il modo in cui gli arabi lo chiamavano: Abdel Nasser, Servo del
Vittorioso. Questo era un nome rispettabile, che ricordava il suo gesto eroico.
- Che cosa vi turba mio signore? Lasciate che vi aiuti a rilassarvi – la voce
della serva era un sussurro, in altre occasioni gli sarebbe sembrato un soffio
erotico, quel giorno, invece, gli pungolò la coscienza.
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