I provinciali – Jonathan Dee

SINTESI DEL LIBRO:
Il lento viaggio fino al capolinea sul treno semivuoto, i lunghi, anonimi
fossati e il fogliame dai colori accesi, le cittadine che diminuivano per
dimensioni e vitalità: White Plains, Valhalla, Katonah, tutte ormai simili a
paesi fantasma, sebbene forse lo sembrassero anche qualche giorno prima,
prima che il senso di perdita si incollasse su ogni cosa. A bordo della
carrozza di Mark erano solo in tre. A Brewster cambiò treno e ne prese uno
molto più piccolo (si chiamavano Budd cars, rammentò dai tempi
dell’infanzia, quando nutriva un’ossessione per quelle cose), dove si ritrovò
completamente solo. Appoggiò la fronte sulla plastica graffiata del finestrino
e guardò passare gli alberi, alzando gli occhi solo quando il capotreno gli
chiese, in tono sommesso e quasi mortificato, di vedere il biglietto.
«Pensavo che ci sarebbe stata più gente in partenza dalla città», disse
Mark.
Il capotreno, un uomo più o meno della sua età in camicia bianca a
maniche corte e cravattino con la clip, diede uno sbuffo dal naso.
«Dovremmo raderli tutti al suolo, ecco cosa dovremmo fare», disse.
Sembravano riferirsi a genti diverse, ma il malinteso non valeva la pena di
essere esplorato. Mark gli consegnò il biglietto di andata e ritorno che aveva
acquistato lunedì e lo vide trattenersi sulla data.
«Buon ritorno a casa», disse il capotreno. «Anche a lei», rispose Mark
muovendo le labbra senza emettere suono.
Vecchi paesi, cittadine coloniali, luoghi che erano troppo a nord per
poterli definire sobborghi. Altalene arrugginite e piscinette fuori terra in
giardini perpendicolari alla ferrovia. Mark si sentiva uno di quei nababbi
ottocenteschi senza scrupoli a bordo della sua carrozza privata, ma con una
quantità di differenze, principalmente l’assenza di cibarie e il vago odore di
muffa e gli squarci profondi nei sedili in finta pelle e le pallide, tenaci chiazze
sullo smorto linoleum industriale del pavimento. Così su due piedi, Mark non
avrebbe saputo dire dove trovare oggigiorno quel tipo di linoleum. Doveva
avere la stessa età del vagone.
Ma perché non c’era nessun altro sul treno? Forse perché ormai dovevi
considerare i trasporti pubblici un possibile bersaglio. Ma non era facile
vedere quel treno in particolare, che si allontanava in linea retta da New York
per due ore e mezza e poi si fermava in mezzo al nulla come per una perdita
improvvisa di interesse, come una risorsa degna del risentimento o
dell’attenzione strategica di chicchessia. D’altra parte, pericolo e malanimo
circolavano ormai a piede libero nel mondo, anarchici e irragionevoli. Mark
poteva scorgere la nuca del capotreno, seduto in prima fila col berretto in
testa, lo sguardo fisso davanti a sé, e se lo immaginava sull’attenti.
Raggiunse il camioncino che aveva lasciato nel parcheggio di Wassaic
(Karen non si sentiva a suo agio nel guidarlo, e lui non aveva voluto privarla
della Escort per due giorni) e proseguì verso nord sulla 22, attraverso le valli
rocciose di pascoli sui cui pendii le mucche se ne stavano immobili, come
istupidite. A Hillsdale svoltò verso est sulla 23 e attraversò il confine tra i due
Stati. Appena prima di lasciare l’albergo aveva detto a Karen quale treno
avrebbe preso. Gli era rimasta poca benzina ma non voleva fermarsi, e tra
l’altro aveva smarrito la carta di credito; forse l’aveva dimenticata alla
reception dell’albergo, dopo averla lasciata all’arrivo per le spese extra. In
realtà non ricordava di averlo fatto, ma era anche vero che di quel lunedì non
rammentava quasi nulla. Giunto a Howland, a poco più di un chilometro da
casa, fermandosi ai due stop si sentì improvvisamente a disagio; non voleva
che nessuno lo vedesse, né lui né il camioncino col suo nome sulla fiancata.
Si sarebbero agitati per niente. Mark era rimasto commosso ma più che altro
imbarazzato dal racconto di Karen sulla veglia, in cui amici, vicini e perfino
gente per cui non aveva mai nutrito particolare simpatia si erano riuniti sulla
gradinata del Municipio reggendo candele accese e pregando per lui. «Be’,
tecnicamente sei un sopravvissuto», gli aveva detto. «Ti si può vedere in
questo modo. E in ogni caso si usa un volto per indicare la collettività.
Altrimenti è una tale enormità che uno non sa come pregare, non sa cosa
chiedere».
«Ma è un caso che io sia qui», aveva protestato lui.
«È stato casuale per tutti, no? Anche per quelli che sono morti. Non erano
soldati. Era solo gente che andava al lavoro. Ma adesso sono tutti eroi».
Lo erano? Probabilmente sì. Potevi diventare un eroe senza fare niente, se
la tua fine significava qualcosa per gli altri. In ogni caso, di sicuro a questo
punto Mark poteva ammettere, quanto meno a se stesso, di avere avuto paura.
Percorse l’ultima curva prima della sua svolta e un’auto sconosciuta,
proveniente dalla direzione opposta, gli diede un colpo di clacson. Mark
trasalì e agitò la mano davanti allo specchietto, poi girò a sinistra sulla strada
sterrata che portava al suo vialetto.
La casa era un perfetto esempio di stile saltbox del New England a cui era
stata fatta un’aggiunta poco elegante molto prima che loro la vedessero. Il
programma originale di Mark era quello di restaurarla con le sue mani,
magari abbattendo l’aggiunta, ma nel primo periodo del loro matrimonio
Karen l’aveva convinto a dedicare il proprio tempo e le proprie abilità a
lavori remunerativi. Durante l’inverno ne chiudevano una parte per
risparmiare sul riscaldamento, e anche così avevano stanze in abbondanza. La
casa era molto più grande di quanto avessero bisogno, ma era stata un affare
irrinunciabile; Mark era stato avvertito del pignoramento da suo fratello
Gerry, che faceva l’agente immobiliare a Stockbridge e aveva una relazione
con un’impiegata della Citizens Bank. Mark l’aveva presa all’asta, un
mercoledì mattina di inverno inoltrato, e doveva continuamente ripetersi che
era praticamente regalata. Gerry gli aveva consigliato di sistemarla e
rivenderla, e per un po’ il programma era stato quello, ma poi era nata Haley,
e il lavoro era decollato, e Mark aveva cominciato ad avvertire il richiamo
sentimentale di una casa in cui i suoi figli avrebbero avuto voglia di passare
le vacanze con le loro famiglie, o i fine settimana estivi, e che alla fine
avrebbero ereditato. Per quanto in generale fosse interessato a fare soldi,
voleva che casa sua fosse un nido e non un investimento, non un bene da
convertire quando il mercato andava bene. Certo, adesso quei soldi gli
avrebbero fatto comodo. Ma nel profondo del cuore sentiva che vendere era
fuori discussione, e Karen aveva smesso di parlarne.
Mark si fermò dove il vialetto cedeva il posto al prato e spense il motore.
Il cuore gli martellava nel petto. Malgrado non vi fosse traccia della Escort,
diede due colpi di clacson. Nessuno venne alla porta. Controllò l’ora: sua
moglie doveva essere andata a prendere Haley a scuola, che era ricominciata
proprio oggi. Era giusto così, si disse: Karen non poteva certo far aspettare
Haley solo per farsi trovare a casa da lui. Ciò malgrado il silenzio e la loro
assenza gli provocarono un irrazionale groppo in gola, portandolo a pensare
che il trauma di quegli ultimi giorni si stesse facendo sentire più di quanto
avesse immaginato. Fermo davanti al camioncino, si mise in ascolto. Si udiva
solo il fruscio della segale mossa dal vento lungo la linea in cui terminava la
falciatura. Quando l’avevano comprata, la casa era completamente isolata: un
ettaro di terreno senza l’ombra di un’altra costruzione in qualsiasi direzione e
su entrambi i versanti della strada, proprio come piaceva a lui.
Sfortunatamente le cose erano cambiate. Circa quattro anni dopo, quando
Haley aveva due anni, uno spiazzo era apparso quasi dalla sera al mattino nel
boschetto a est, al di là del campo di segale, a poco meno di cinquecento
metri di distanza; poco dopo era diventato una radura quadrata, quindi una
fossa nella quale erano state versate le fondamenta di una costruzione. A quel
punto Mark era ormai al corrente della situazione. La casa era in costruzione
per ordine di un certo Philip Hadi di New York, un uomo di Wall Street come
molti altri da quelle parti. L’anno prima aveva passato due settimane con la
famiglia affittando una casa a Howland, e sulla base di quello e nient’altro
aveva deciso di costruirsi una villa lassù. Era un tipo di spontaneità
finanziaria che a Mark appariva sia incosciente che invidiabile. Ovviamente
si era aspettato il peggio, il classico arcimiliardario che si faceva il villone per
capriccio, ma alla resa dei conti lo stile della casa rispettava l’ambiente, e le
dimensioni, per quanto abbondanti, non erano mostruose. Karen era
indispettita dal fatto che il loro panorama fosse stato guastato. Ma era così
che cittadine come la loro sopravvivevano, che a loro piacesse oppure no:
quelli che vi erano cresciuti facevano di tutto per andarsene, ed era necessario
attirare e accogliere gli estranei e il loro denaro. E poi, la villa degli Hadi era
abitata solo due o tre mesi all’anno. Da settembre a giugno era buia, e nelle
notti senza luna diventava quasi invisibile come tutto il resto.
La scuola elementare di Haley distava solo dieci minuti, e Mark avrebbe
potuto aspettare che lei e Karen tornassero a casa. Ma il bisogno di vederle,
di abbracciarle, era diventato impellente. Senza neanche lasciare la valigia
sulla veranda si rimise al volante del camioncino e raggiunse la scuola; e non
aveva neanche attraversato metà del parcheggio quando qualcuno gridò a
Karen che era arrivato, e a quel punto, di fronte a molti dei loro amici e vicini
di casa, gli fu riservata l’accoglienza d’onore, con sua figlia e subito dietro
sua moglie lanciate di corsa verso di lui manco fosse un prigioniero di guerra
appena sceso da un aereo. Qualcuno applaudì. Lui e Karen si baciarono
appassionatamente ma nel rispetto del pubblico, che a quel punto
comprendeva anche una decina di alunni di seconda elementare. Per Haley
tutto tornò alla normalità nel giro di un istante, tanto che scelse di tornare a
casa con sua madre a bordo della Escort, lasciando che Mark le seguisse.
Viaggiare sul camioncino non le era mai piaciuto; diceva che era troppo
rumoroso.
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