I privilegiati – Jonathan Dee

SINTESI DEL LIBRO:
Ma si stancava facilmente, e andava a letto presto, e una sera, cinque
minuti dopo che Ruth si era ritirata, Cynthia si trovava in cucina e
fissava distrattamente un copri-interruttore a forma di galletto
quando Deborah entrò tutta allegra con una bottiglia di bourbon
Knob Creek trovato nel matrimonio! Il primo di una generazione; gli
sposi hanno ventidue anni, un po' giovani di questi tempi per
sposarsi. Molti dei loro amici sono arrivati ieri, e sebbene si trovino a
Pittsburgh, una città di mezzo milione di abitanti, ostentano un
disorientamento bonario e snob, perché vengono da New York e
Chicago ma anche perché immaginare di ritrovarsi nel bel mezzo del
nulla si combina con la sensazione che provano riguardo all'intero
evento, e alla sua novità inquietante e magica. Naturalmente hanno
tutti, da bambini o adolescenti, assistito al matrimonio di qualche zio
o cugino o in alcuni casi della madre o del padre, per cui sanno cosa
aspettarsi. Ma questa è la prima volta che partecipano a uno in
quanto amici e coetanei degli sposi; e la strana insofferenza che
provano è legata al timore che un qualche evento simile li trascini nel
mondo adulto delle responsabilità, un mondo la cui via di fuga
svanirà alle loro spalle e per il quale si sentono fieramente
impreparati. Sono adulti che fingono di essere bambini che fingono
di essere adulti. La cena di prova di ieri sera si è conclusa con il
direttore del ristorante che, sopraffatto, minacciava di chiamare la
polizia. Il giorno dopo si sta profilando come una combinazione di
kitsch e importanza. Nove ore prima dell'appuntamento in chiesa
molti di loro ancora dormono, ma i vecchi e spessi muri del
Pittsburgh Athletic Club sembrano già ronzare di signorile
entusiasmo.
Metà settembre. Dalla festa del Lavoro, la metà occidentale della
Pennsylvania è colpita da un'ondata di caldo tardiva e scoraggiante.
Cynthia si sveglia a casa della madre, in un letto in cui ha aperto gli
occhi soltanto cinque o sei volte in vita sua, e il primo pensiero va
alla temperatura. Si infila una maglietta nell'eventualità che qualcun
altro sia in piedi, passa davanti all'insopportabile sorellastra Deborah
(mai Debbie), che dorme con un pigiama di flanella aggrappata al
bordo del divano in salotto, e apre la porta scorrevole che dà sulla
terrazza, da cui si vedono in lontananza le bandierine flosce del golf
club di Fox Chapel. Fa fresco, o quanto meno abbastanza fresco,
anche se è ancora troppo presto per esserne certi. Non saranno
nemmeno le sette, pensa Cynthia. Non che sia preoccupata. Lo
spettro delle sue damigelle che si premono bottiglie di birra sulla
fronte per rinfrescarsi, o di Adam che si terge sudore dagli occhi
mentre le si promette, le provoca soltanto un sorriso. Non è tipo da
crollare quando le cose non vanno alla perfezione; l'importante è che
sia uno di quei giorni che nessuno dei conoscenti potrà mai
dimenticare, una giornata di cui i suoi amici parleranno. Cynthia si
gira e rientra in casa, superando le sue stesse vaghe impronte sulla
rugiada che ricopre le assi di cedro della terrazza.
Non si era mai immaginata un matrimonio a Pittsburgh, perché
non aveva avuto motivo di immaginarlo fino a quando sua madre
non si era risposata e vi si era trasferita due anni prima. Per quel che
ci aveva pensato, aveva sempre presupposto che si sarebbe sposata a
Joliet Park. Ma nel bel mezzo dell'ultimo semestre alla Colgate aveva
saputo che suo padre aveva venduto la vecchia casa, nella quale non
viveva da tempo. Due mesi più tardi, quando aveva annunciato il
fidanzamento, sua madre Ruth si era lanciata in una delle sue
incontenibili lamentele sul fatto che Warren, il patrigno di Cynthia,
fosse «parte di questa famiglia», e si era rifiutata di accettare
qualsiasi insinuazione contraria. Costringere quelle personalità
debordanti a tornare a Juliet Park, scena della loro dissoluzione
famigliare, solo per sentìrle lagnarsi dei posti assegnati e dei vecchi
amici le cui alleanze post6 divorzio erano a volte dolorosamente
ambigue, era fuori discussione. Sarebbe stata una macabra forma di
nostalgia, per di più inutile. Se un matrimonio significava qualcosa,
riguardava a buon diritto il futuro.
Si sarebbero potuti sposare a New York, dove Cynthia e Adam già
convivevano, e di fatto quella era la soluzione che Adam aveva
cercato di imporre con delicatezza, sulla base tipicamente maschile
della massima semplicità. Ma la verità è che a Cynthia non sarebbe
sembrato abbastanza insolito: troppo simile a un tipico sabato sera di
bevute e balli con gli amici, solo con vestiti più eleganti e musica
peggiore. Non era del tutto sicura del perché le piacesse l'idea di un
matrimonio sdolcinato e in grande stile che avrebbe costretto tutti a
viaggiare, ma tendeva a non mettere in dubbio i propri desideri. E
così, Pittsburgh. Adam si era stretto nelle spalle, dicendo che voleva
soltanto renderla felice; suo padre le aveva inviato un amabile
biglietto dalla sua nuova residenza, insinuando che Pittsburgh fosse
stata un'idea sua fin dall'inizio, e Warren si era espresso estraendo il
libretto degli assegni, gesto, a dire il vero, di cui la futura sposa non
si sarebbe mai dimenticata.
Supera in punta di piedi il divano per non svegliare Deborah,
poiché svegliandola potrebbe spingerla a parlare, e nel giorno del tuo
matrimonio certi tormenti dovrebbero esserti risparmiati. Non si
conoscono bene, ma alcune piccole cose di Deborah scatenano il
sarcasmo di Cynthia come se avessero anni di convivenza alle spalle.
Il pigiama di flanella, per esempio: Deborah ha appena due anni più
di lei, ma ha sempre così freddo che lei e Ruth potrebbero essere
compagne di stanza in un ospizio. La casa è stata acquistata con
l'idea di godersi una seconda vita, con figli ormai cresciuti e
indipendenti, e ciò spiega la presenza di una sola camera in più. Il
divano sembra deliziosamente scomodo, ma Cynthia aveva
addirittura preso in considerazione l'idea di confinare Deborah
all'Athletic Club insieme agli altri invitati per avere con sé la sua
damigella d'onore e migliore amica Manetta. Ma gli obblighi di
famiglia sono perversi. È assurdo che questa secchiona asessuata e
palesemente ostile debba essere una delle damigelle e che una delle
sue molte amiche del cuore debba soffrire, ma così è.
In cucina Ruth, la madre di Cynthia il cui cognome ora è Harris,
beve il tè in piedi, intabarrata in una vestaglia verde lunga fino alle
caviglie chiusa sulla gola. Cynthia le passa davanti e apre il
frigorifero senza parlare. «Warren è fuori» dice Ruth in risposta a
una domanda che Cynthia non avrebbe mai pensato di farle. «È
andato a prenderti del caffè. In casa abbiamo solo decaffeinato, è
uscito apposta per te».
Cynthia si acciglia all'affronto del decaffeinato, feticcio di vecchi e
musoni. Getta una fetta di pane sul banco e si alza in punta di piedi
per perlustrare l'armadietto dove ricorda che vengono conservate le
vecchie marmellate; poi, avvertendo lo sguardo di sua madre, si volta
a guardarla da sopra la spalla e chiede: «Cosa c'è?».
Sono le mutande: non solo il fatto che stia girando per casa in
mutande, ma le mutande stesse, non che siano brutte, ma che sua
figlia sia diventata una donna a cui piace spendere molto in
biancheria intima. Ecco cos'è, una svergognata. Tutto ciò che Ruth
vorrebbe vedere in una giornata simile è un po' di gravitas,
un'appropriata sensazione di nervosismo o addirittura di paura che
lei potrebbe trovare il modo di lenire. Un'ultima richiesta di
sostegno. Invece no: da settimane ha capito che per sua figlia tutto
ciò non è un rito di passaggio nel mondo adulto bensì una festa, una
gran festa per sé e i suoi amici, e che lei e Warren sono qui soltanto
per pagare il conto. Negli ultimi sei, otto anni, ogni occhiata alla
figlia si è accompagnata a una certa fugace espressione sul volto di
Ruth, un'aria da aspetta-e-vedrai, anche se non poter dare risposta
all'interrogativo «aspetta cosa?» la costringe a tacere. La madre
osserva perplessa il ventre piatto di Cynthia, la forza e la snellezza dei
fianchi, ma più di tutto la sfrontatezza con cui esibisce un corpo la
cui vicinanza all'ideale moderno è destinata a suscitare
un'imprevedibile gamma di reazioni: a questo mondo le donne
compiaciute di sé vengono spesso umiliate, e sono ormai anni che
Ruth, più che altro aggrottando la fronte, cerca di esprimere il
proprio disappunto.
Ma ora si rimprovera; oggi, per quanto si cerchi di negarlo, non è
una giornata qualsiasi. Avverte la vaga eco del terrore che lei stessa
provò nelle ore precedenti il suo primo matrimonio, un timore in
parte sessuale e che costituisce un legame fra loro, anche se la
sessualità di sua figlia è un argomento a cui da tempo non ha più il
coraggio di accennare. «Allora» dice cercando di assumere un tono
conciliante. «Oggi è il grande giorno». E Cynthia si gira a bocca
aperta e scoppia a ridere, una risata che Ruth non ha mai sentito
prima e per cui l'unico antidoto è rifugiarsi fra i ricordi di quando la
sua unica figlia era bambina.
Dietro di loro, l'orologio digitale del forno a microonde scatta
silenzioso sulle sette e trenta. In salotto Deborah, svegliata dal suo
russare, emette un piccolo gemito che nessuno sente e affonda il viso
fra i cuscini e lo schienale del divano. All'Athletic Club, la
receptionist del fine settimana consulta la stampata di computer che
ha in mano e compone l'interno della stanza di Adam. Ha visto il
programma degli Eventi del Giorno e ha riconosciuto il nome dello
sposo; al buongiorno previsto dal copione riportato in cima al foglio
aggiunge un augurio tutto suo, poiché l'ha visto la sera prima e le è
parso carino.
«Grazie» risponde Adam, e riaggancia. Anche lui va subito alla
finestra per controllare il tempo; ma la stanza si affaccia sul vicolo, e
probabilmente riuscirà a farsi un'idea più chiara della giornata alla
tv. L'accende con il volume al minimo, ma poi torna a coricarsi sul
letto, incrocia le dita dietro la nuca e se ne dimentica.
Odia dormire solo, e forse per questo ha trascorso i minuti
precedenti la telefonata in preda a un sogno stravagante in cui
guidava una macchina senza volante, un'auto che rispondeva ai
minimi spostamenti del suo peso come uno skateboard o una slitta.
Manca un'ora alla colazione nel ristorante dell'albergo con i suoi
genitori e Conrad, suo fratello minore e testimone. Subito dopo
averci pensato tenta di scordarsene di nuovo, così da poter risultare
senza colpa in caso di ritardo. È ancora un po' stordito dalla sbronza
della cena di prova, anche se altri, riflette, avranno motivo di esserlo
più di lui. Troppo presto per chiamare Cynthia, che probabilmente
starà ancora dormendo. Quello che lo tranquillizzerebbe davvero è
fare sesso con lei, come fa quasi ogni mattina; il sesso riesce sempre
a fugare le vaghe ansie del risveglio, ma oggi non accadrà. In preda a
un'ispirazione improvvisa, inarca la schiena e batte con il pugno sulla
parete sopra la testata del letto, quella che lo divide dalla camera di
Conrad.
Conrad non lo sente; sveglio già da un'ora, al momento è sotto la
doccia, dove sta provando il discorso da fare a tavola durante il
brindisi. È l'unico compito che l'ha fatto esitare quando ha accettato
il ruolo di testimone. Ogni volta che deve parlare in pubblico
arrossisce e trema. Sarebbe relativamente più facile farlo davanti a
una sala piena di sconosciuti e non di amici e parenti, gente che ha
licenza di tormentarti in eterno e di fronte alla quale non c'è modo di
fingere, anche solo per pochi minuti, di essere diverso da ciò che sei.
«È una coppia fortunata» dice, poiché è una frase su cui si è già in
precedenza incantato ed è ormai troppo tardi per fare modifiche.
«Sono una coppia fortunata. Fanculo». E ricomincia.
Nelle altre stanze al primo e secondo piano dell'Athletic Club si
stanno svegliando gli amici della sposa e dello sposo, coppie di amici,
amici con rapporti seri e promettenti, e quasi tutti si trovano, a
quell'ora, a soddisfare un impulso sessuale sorprendentemente forte
anche per la loro giovane età. Alcuni ridono, altri fissano il partner
negli occhi con un'intensità il cui ricordo un'ora dopo li porterà a
distogliere lo sguardo. Non sono abituati alla licenziosità di una
camera d'albergo; e la consapevolezza che per quel fine settimana
non si sono semplicemente infiltrati in quel noiosissimo club ma che
se ne sono addirittura impadroniti conferisce a ogni incontro intimo
un sotterraneo senso di appartenenza, una sfumatura da orgia che fa
venir voglia di offendere gli estranei, di darci dentro fino a far
crollare i muri del palazzo. E a dire il vero una coppia fa sbattere la
testata del letto contro la parete alle spalle dei genitori di Adam con
tale violenza che la madre prega di non conoscerla. Arriva addirittura
a dire al marito di chiamare la reception e lamentarsi, ma lui è in
bagno e come regola sente solo quello che vuole sentire.
Alle otto e mezza l'auto di Marietta imbocca il vialetto d'accesso
di casa Harris. In cucina lei e Cynthia, ancora svestita, si baciano
come due sorelle. «Gesù, là fuori fa un caldo del cazzo» esclama
Manetta. «Oh, salve, Mrs Sikes. Voglio dire, Mrs Harris!». È più di
quanto Ruth riesca a sopportare: fa un sorriso premonitorio e si
ritira dalla cucina.
«Allora, pensiamo all'acconciatura?» riprende Manetta, ma
all'improvviso Deborah compare sulla soglia con i capelli arruffati, il
viso segnato dalle cuciture del divano e un'occhiata di odio tribale
per entrambe.
«Il tuo telefono sta suonando» dice alla sorellastra, poi si volta e
se ne va.
Il cellulare è sul pavimento della camera da letto, sotto la giacca
che Cynthia ha indossato per la cena di prova. Marietta segue l'amica
attraverso il salotto.
«Grazie per avermelo portato, Debski» dice Cynthia sebbene
Deborah si sia già rifugiata in bagno. «Allora, non hai il tuo vestito?
Dov'è?».
«Nel freezer» dice Marietta.
«Oh, non fare la bambina. Non hai sentito? È il mio Grande
Giorno».
«Intendo proprio questo. La sposa sei tu. Puoi ancora cambiare le
regole d'abbigliamento in "casual da spiaggia"».
«In canottiera ci vai al tuo di matrimonio, stronzetta» dice
Cynthia. «Non è così che si fa qui a Pittsburgh».
«Dico solo che non sento per niente fresco, tutto qui» ribatte
Marietta.
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