I 7 Draghi – Anna Maria Cupidi

SINTESI DEL LIBRO:
Si racconta che in un tempo lontano, vivessero sulla terra
sette draghi dalle qualità uniche! In loro erano racchiuse le maggiori
virtù, quali l’onore, il rispetto, l’altruismo, la bontà, l’impeto, l’amore,
la tenacia. Molti popoli avevano queste qualità ma in loro tutte
eccellevano e ingigantivano l’alone di mistero che aleggiava sulle
loro teste. In alcuni suscitavano timore, in altri sicurezza e in altri
ancora incertezza. Si, la vita a quei tempi era altalenante, non c’era
niente di realmente tangente che potesse rasserenare i cuori delle
genti, ma una cosa era certa, la realtà che vivevano ogni giorno!
Quella non si poteva negare, neppure con l’appannaggio più
ricercato, tutto saltava agli occhi, era certo che ovunque
guardassero potevano vedere l’opera che le sette creature avevano
compiuto.
- I saggi antichi narravano che il drago Rosso Lavìs nella sua
potenza donò il calore dei vulcani, i soffi dei geyser, sorgenti d’acqua
calda e mise l’amore nel cuore dei popoli, cioè quello strano
sentimento che infiamma i cuori e avvolge la vita con faville
incandescenti.
- Il drago nero Aseo col suo alito regalò l’impeto! Affinché l’uomo
mettesse fervore nelle sue imprese.
- Il drago Giallo Pireo soffiò sui campi e fiorenti spighe di grano
maturo spuntarono dal suolo. Marchiò l’animo dell’uomo con la
qualità dell’onore, questo lo portò a lotte e duelli in nome di una
salvaguardia scellerata, legata al nome delle varie casate.
- Il drago Verde Tello cosparse la terra di prati verdi, per riposare la
mente e gli occhi. Introdusse l’altruismo nel cuore delle persone,
perché capissero che donare agli altri arricchisce più che ricevere.
- Il drago Blu Erante soffiò nei cieli e li tinse d’azzurro, sputò sulla
terra e comparvero i mari, ponendo tra i due il confine, lì, dove
all’orizzonte si toccano, sfiorandosi, senza mescolarsi mai.
Introdusse nel mondo il rispetto per le altrui proprietà, i cosiddetti
confini terrieri e territoriali.
- Il drago Indaco, chiamato Scorio, starnutì e diffuse nei cieli le
nuvole, coprì la luna di quell’alone di mistero che ancora oggi
affascina i popoli sulla terra, pose nei cuori la tenacia, per fare ogni
giorno da motore alla vita che si sussegue a volte con monotonia.
- Il drago Bianco Dorio, spruzzò sulla terra la purezza nella carne e
nello spirito delle folle, elargì la bontà! Ma incontrò molta difficoltà,
venne contrastato dall’alito degli altri, per questo solo alcuni cuori
sono in grado di donare questa qualità, senza domandare in cambio
niente.
Poi ci fu la danza dei draghi, formarono un cerchio, giocarono a
giro giro tondo e quando allontanarono le loro ali caddero a terra,
scelsero una valle nascosta dentro un monte dove vivere, e lì, tra
sorgenti incontaminate, fiori variopinti e uccelli che cantavano
antiche melodie, il cuore dei draghi fu colmo di letizia e buonumore.
«E poi? Dai Farida continua, non puoi smettere proprio adesso!»
Gridarono i tre visetti rivolti al cielo che stavano ascoltando le fiabe
della giovane. Lei si alzò in piedi, per niente toccata dalle loro
suppliche e stampò un bacio sulle guance di ognuno di loro, «non
sbuffate, è quasi buio e dovete tornare a casa, su andate senza fare
capricci, vi aspetto qui domani alla solita ora».
I tre bambini si allontanarono correndo nella viuzza che
attraversava il piccolo borgo di Ofris, sito nel cuore del regno di re
Amir, sovrano di Solivento. Lei sistemò il semplice vestito di morbido
cotone, marchio evidente delle sue umili origini, poi prese a
camminare verso casa. Ignara degli occhi di un uomo che l’avevano
osservata e dei suoi orecchi che avevano udito le sue storie e ora
osservava le sue mosse incollato alla terra. Farida scomparve dalla
vista dello sconosciuto, ma lui affrettò il passo per raggiungerla,
nonostante ciò, non riuscì a trovarla, sembrava svanita nel nulla.
Domandò ai passanti chi fosse la giovane col vestito nero e la
sciarpa nera che era passata di lì, però nessuno seppe dirgli niente.
Mansur tornò nel suo lussuoso castello con l’amaro in bocca,
infuriato verso i suoi sudditi che sicuramente di proposito avevano
taciuto, non rivelando, a lui, loro signore, il nome della ragazza.
Memori della fama che aveva sviluppato negli anni re Amir, suo
predecessore. Lui aveva governato per anni su quelle terre, facendo
il bello e cattivo tempo, riducendo in schiavitù le persone, come più
gli piaceva e prendendo le donne più belle del reame, senza fare
distinzioni, le più belle vergini del regno erano state sue, ed ora era
morto, senza lasciare eredi legittimi da mettere sul trono, per questo
tutto il peso del regno, era ricaduto su lui, Mansur! Figlio di Fadil,
fratello di re Amir. Era stato incoronato come re sul grande reame di
Solivento, un impero immenso! Del quale neppure lui conosceva i
confini, da nord a sud e da est a ovest, ovunque c’era un
malcontento generale che vociferava contro la corona, gente
oppressa dalla tirannia di suo zio Amir, passata attraverso
quarantacinque anni di soprusi, lacerati nell’animo e nello spirito,
depredati degli affetti più cari, gravati da tasse ingiuste e affamati
senza criterio, solo per ingrassare la corte che godeva dei più
svariati favori.
A lui era toccato raccogliere quella pesante eredità, fatta si
benessere e molte ricchezze ma anche di lotte e continui attacchi,
da popoli che volevano il regno di Solivento, ricco splendore! Dalle
valli incontaminate e dai fertili campi di grano, dagli abbondanti
pascoli e dalle sorgenti rigogliose che attraversavano il paese,
mentre le viscere della terra nascondevano filoni d’oro e pareti di
pietre preziose, regalando al regno lustro e splendore, ma anche
incertezza, viste le mire vogliose che suscitava contro quei popoli,
che volevano appropriarsi di quello che il regno di Solivento
possedeva.
A Mansur spettava difendere il trono e il popolo, questo aveva
giurato, davanti a coloro che avevano messo sulla sua testa la
corona, appartenuta ai suoi avi, era determinato a portare avanti il
suo compito senza vacillare, difendere i poveri e gli oppressi
sarebbe stata la sua ragione di vita.
Era consapevole però che non sarebbe stato facile farsi amare da
un popolo che per anni aveva odiato il vecchio re, lui orfano di padre
era rimasto solo con la mamma ed era asceso ai vertici del potere
solo per un fortuito caso, suo zio Amir non aveva avuto figli naturali,
nati dal suo matrimonio con la regina Leila, morta poco dopo di lui.
Benché sul re si parlasse molto, di eventuali bastardi che avrebbe
avuto da donne, con le quali si era divertito carpendo la loro purezza
senza scrupoli, nessuno di loro era stato riconosciuto in nessuna
carta ritrovata a corte, né preservata negli antichi archivi che
affollavano le segrete del castello.
Mansur aveva chiesto di eventuali testamenti lasciati da suo zio e
se nella sua vanità, avesse riconosciuto qualche figlio nato nella
clandestinità, ma nessuno aveva fatto parola di eventuali eredi della
corona, l’archivista e scriba di corte Rani, lo aveva informato che
nessuna carta era conservata nei suoi archivi che potesse sollevarlo,
dal suo pesante fardello e così aveva fatto il saggio Shadi,
consigliere negli ultimi anni di vita di re Amir e ora consigliere di re
Mansur.
Nessuno dei due aveva fatto parola, anche se qualcosa al riguardo
c’era da dire, per sollevare Mansur dal carico che lo stava
schiacciando, avrebbero potuto far leggere al giovane le ultime
volontà di suo zio, ma a niente sarebbe servito perché le parole di re
Amir avrebbero solo ridato dignità ad una donna ed a sua figlia, ma
mai un re al regno di Solivento, per quello ci voleva un maschio che
con la sua forza e il suo coraggio avrebbe affrontato nemici e
protetto il popolo dagli invasori e per quello re Mansur era più che
sufficiente. Primo in linea di discendenza del suo casato, “il Drago
nero” era quell’effige che portava sul pettorale bianco, l’elsa della
sua spasa era d’avorio bianco con un piccolo drago nero intagliato
sopra, a distanziare i colori contrapposti che si stagliavano a vista
agli osservatori. Secondo per la forza del suo braccio, nei suoi
trent’anni era l’essenza della beltà e dell’avvenenza, addestrato dai
migliori lottatori del regno, si era distinto nella spada e nel lancio dei
pugnali, il tiro con l’arco era la sua arma preferita, ma anche il
combattimento a mano libera non era da meno, ogni cosa che
faceva era alla sua portata.
Per questo Rani e Shadi, non avevano esitato un istante a tacere a
re Mansur, che in effetti c’era una figlia di re Amir che lui aveva
riconosciuto, per colmare un grave fatto increscioso che lo aveva
scosso, ferendolo nella coscienza. Alla morte del re l’avevano
cercata, solo per ridargli quella dignità che confaceva ad una
principessa del suo rango, anche se essendo donna non sarebbe
ascesa al trono di suo padre, ma sicuramente la sua vita sarebbe
cambiata. Però le loro ricerche non erano giunte a niente, la madre
della ragazza una certa Muna, era introvabile, pare che nessuno la
conoscesse, oppure nessuno ne parlava, la povera gente era
trincerata dietro una sorta di omertà, per difendersi dai soprusi dei
più forti e soprattutto da re Amir.
Loro non conoscevano il nome della fanciulla, il re non l’aveva
scritto, sapevano la data di nascita, solo un breve accenno giusto
per ricomporre gli eventi e il luogo dov’era nata, ma niente di più, per
re Amir, quello era stato un passo molto doloroso e se le circostanze
non si fossero accanite su di lui, mai lo avrebbe fatto. Come segno di
riconoscimento aveva dato alla giovane il pendente appartenuto alla
regina madre, non aveva dato quel gioiello neppure alla sua sposa,
ma l’aveva invece messo al collo della sua unica figlia, la giovane
allora aveva sedici anni, il re l’aveva ritrovata per caso, in
circostanze tragiche e vergognose.
Rani e Shadi non amavano ricordare quei momenti, quando il re li
aveva chiamati per scortare la fanciulla lontano dalla sua vista, con
discrezione senza rivelare a nessuno chi fosse, tantomeno alla
regina Leila.
I due nonostante tutto erano stati fedeli a re Amir, così non avevano
fatto parola di quanto accaduto quel lontano giorno, ma sapevano
che la giovane ora aveva circa vent’anni, forse si era sposata e
viveva nella miseria come molti del popolo di Solivento, loro però
non potevano cambiare le circostanze, non potevano fare più di
quanto avessero già fatto.
Speravano soltanto che il nuovo re fosse migliore di quello passato
e che potesse avere figli suoi, da mettere sul trono e assicurare così
una degna discendenza al suo casato, ormai era già in età per
scegliere una sposa, la sua incoronazione era avvenuta da poco
tempo, alcuni nel regno ancora non conoscevano il nome del nuovo
primo re, ma presto lo avrebbero conosciuto, ci stavano pensando
gli esperti di corte, era in preparazione una grande festa per la
ricorrenza della primavera, con le primizie dei campi e il cuore del
popolo colmo di ogni bene. Allora sarebbe giunta nella capitale molta
gente e molti regnanti, sarebbero arrivati dai regni remoti del grande
impero di Solivento, per rendere omaggio al primo re, Mansur! Per
l’occasione avrebbero condotto le loro regine e messo in mostra le
loro figlie come mercanzia, davanti a un uomo temuto e rispettato da
tutti, della casata del potente “Drago nero”.
Benché i draghi si fossero estinti da tempo su quelle terre, c’era
ancora chi narrava dei loro interventi nelle questioni degli uomini,
come quella fanciulla che era seduta all’angolo di borgo Ofris, che
aveva ammaliato tre visetti di bambini felici che assorbivano gli
eventi passati e con la sua calda voce aveva catturato anche lui. La
giovane non era bella, aveva visto di sfuggita il suo viso deforme,
una orrenda macchia nera lo deturpava, prendeva quasi tutta una
guancia, Mansur ne era certo, si era voltata solo un attimo, ma a lui
attento osservatore non era sfuggita, ricordava bene il fazzoletto
nero che portava sulla testa, le copriva perfino la fronte e poi
l’orrendo vestito nero troppo largo, anche se la donna aveva qualche
chilo di troppo, almeno così gli era sembrato, ora non lo ricordava
più, Mansur era rimasto folgorato dalla sua voce, leggera come una
farfalla e coinvolgente come mille uragani, appassionata nei racconti
che faceva, tanto da incollare lì i suoi uditori, come un Koala si
avvinghia al ramo di un albero, anche lui avrebbe voluto afferrarla e
costringerla a continuare il suo racconto, quello che diceva
sembrava fosse reale, forse perché a lui erano sempre piaciuti i
racconti di draghi e cavalieri, tanto che ora chiuso nella sua stanza,
non faceva altro che pensare alla voce di quella donna mostruosa,
ma tanto affascinante, Mansur sorrise pensando che almeno la
natura era stata benevola con lei, donandole un ugola d’oro dentro
un corpo orribile.
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