Hai bussato al mio cuore – Brittainy C. Cherry

SINTESI DEL LIBRO:
Due giorni prima avevo comprato
dei fiori per una persona che non era
mia moglie. Da quel momento, non
avevo lasciato il mio studio. C’erano
carte dappertutto: biglietti, post-it,
pezzi di carta spiegazzati con
appunti inutili e parole cancellate.
Sulla scrivania c’erano cinque
bottiglie di whisky e una scatola
intonsa di sigari.
Mi bruciavano gli occhi per la
stanchezza, ma non riuscivo a
chiuderli mentre fissavo lo schermo
del computer davanti a me,
digitando parole che poi avrei
cancellato.
Non avevo mai comprato fiori a
mia moglie.
Non le avevo mai preso
cioccolatini per San Valentino,
trovavo ridicoli i peluche e non
avevo idea di quale fosse il suo
colore preferito.
Neanche lei aveva idea di quale
fosse il mio, però io sapevo chi era il
suo politico preferito. Conoscevo la
sua opinione sul riscaldamento
globale, lei conosceva la mia sulla
religione ed entrambi sapevamo
come la pensavamo sui bambini:
non ne volevamo.
Per entrambi, erano queste le cose
più importanti; queste cose erano il
nostro collante. Entrambi
pensavamo alla carriera e avevamo
poco tempo l’uno per l’altra,
figurarsi per la famiglia.
Io non ero romantico e a Jane non
importava perché non lo era neanche
lei.
In pubblico non ci si vedeva
spesso che a baciarci o tenerci per
mano. Non eravamo tipi da coccole
o dichiarazioni d’amore sui social
media, ma questo non significava
che il nostro amore non fosse vero.
A modo nostro, ci volevamo bene.
Eravamo una coppia razionale che
capiva il significato dell’essere
innamorati, dell’impegno, sebbene
non ci fossimo mai interessati agli
aspetti romantici di un rapporto.
Il nostro era un amore basato sul
rispetto reciproco,
sull’organizzazione. Ogni decisione
importante era sempre ponderata
attentamente, spesso con l’ausilio di
diagrammi e grafici. Il giorno in cui
le avevo chiesto di diventare mia
moglie avevamo fatto quindici
grafici a torta e diagrammi di flusso
per esser sicuri che quella che
stavamo prendendo era la decisione
giusta.
Romantici?
Forse no.
Logici?
Assolutamente sì.
Proprio per questo era
preoccupante che adesso piombasse
qui, nel mezzo delle mie scadenze.
Non mi interrompeva mai mentre
ero in studio e il fatto che si
presentasse proprio adesso che
dovevo chiudere un lavoro era
oltremodo bizzarro.
Me ne mancavano ancora
novantacinquemila.
Ancora novantacinquemila parole
prima di sottoporre il manoscritto
all’editor, di lì a due settimane.
Novantacinquemila parole
corrispondevano a una media di
seimilasettecentottantasei parole al
giorno. Significava che avrei
trascorso le due settimane
successive davanti a un computer,
staccandomene a fatica per prendere
un po’ d’aria.
Le mie dita si muovevano rapide,
digitando e digitando il più veloce
possibile.
Le occhiaie scure che avevo sotto
gli occhi testimoniavano la mia
stanchezza e non essendomi alzato
dalla sedia per ore la schiena mi
faceva male. Eppure, quando stavo
seduto davanti al computer con le
dita impazzite e due occhi da
zombie, mi sentivo me stesso più
che in qualsiasi altro momento della
vita.
«Graham», disse Jane
distogliendomi dal mio mondo
horror per portarmi nel suo.
«Dovremmo andare».
Era sulla porta del mio studio.
Aveva i capelli arricciati, il che era
strano visto che di solito li portava
lisci. Ogni giorno si svegliava ore
prima di me per domare la chioma
bionda che aveva in testa. Potevo
contare sulle dita di una mano le
volte in cui l’avevo vista con i suoi
ricci al naturale.
Oltre ai capelli scompigliati,
aveva il trucco sbavato che non si
era tolto dalla sera prima.
Da quando stavamo insieme,
avevo visto mia moglie piangere
solo due volte: una volta sette mesi
prima, quando aveva saputo di
essere incinta, e un’altra quattro
giorni fa, quando era arrivata una
cattiva notizia.
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