Gli occhi che hanno cambiato i miei- Kat Sherman

SINTESI DEL LIBRO:
Fu un lampo. Una microscopica crepa che sentii avrebbe
trascinato nel baratro tutto il resto. Fu anche strano perché, per un
lungo momento, la calma conservò il suo posto, mentre la mente si
lanciava in rocamboleschi collegamenti che avevano fin troppo
senso per non farmi sentire un idiota.
Scotty uscì dal bagno della piccola casa tutta tarli, lenzuola ruvide
e narghilè, dove vivevamo da sette mesi. Aveva un asciugamano
stretto in vita, i capelli lunghi ancora gocciolanti sulle spalle, le ciglia
incollate dal vapore.
Quando si accorse che avevo in mano il suo telefono cambiò
espressione con la rapidità di un cartone animato. Ma dove mi
aspettai di vedere sgomento e colpa c’era solo un fiume di collera.
«Che cazzo fai?» quasi urlò. «Mi spii adesso?!»
Mi strappò il cellulare dalle dita e fece danzare il pollice sullo
schermo. Con due palle di fuoco al posto degli zigomi, stava
cancellando le prove. Un reato penale da incarcerazione e sanzioni
salate come il Mar Morto.
Troppo tardi, Scotty. Ormai era fatta. La verità era venuta a galla
con la violenza di airbag appena esploso.
Avanti Annie, che cosa fa una ragazza che ha appena scoperto di
essere stata tradita?
Mia madre avrebbe sfilato il cappotto di cashmere
dall’attaccapanni e ticchettando su Louboutin rosa cipria sarebbe
uscita da quella casa senza nemmeno un graffio sulla dignità,
giurando negli anni a venire di non avervi mai messo piede. Scotty,
chi? Una risatina dietro alle dita come fossero un ventaglio, e via col
resto del cocktail party.
«Annie, ti sei imbambolata? Merda. Guarda che non ci hai capito
niente. Lo sai com’è Facebook, con tutte quelle stronzate che non ho
nemmeno mai capito, costruisce scenari inesistenti. Io sono un
musicista, un’artista, non sto dietro a certe cazzate cosmiche e non
dovresti farlo neanche tu.»
Annuii impercettibilmente. Cazzate cosmiche. Contai fino a dieci
con mirabolante lentezza.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette...
Una specie di onda incandescente mi montò nelle vene e ribollì.
Mi lanciai sul tavolino davanti al divano e afferrai l’adorato narghilè di
Scotty con tutte e due le mani. Lo scaraventai contro il muro,
mandandolo in frantumi come un corpo celeste in collisione.
Emettendo grugniti tra i denti, con le guance paonazze e un ronzio
sordo nelle orecchie, mi accanii sulle mensole riducendole a lunghi
pannelli di legno vuoto. Poi devastai i ripiani della cucina con foga
animale. Piatti, bicchieri, tostapane, frullatore. Mi dolevano le braccia
per l’impeto con cui le usavo per esibirmi in lanci alla Roger
Clemens. Gli oggetti volavano in un valzer assordante e scoordinato
da una parte all’altra della casa. Rovesciai il tavolino, spaccai una
lampada e spinsi il televisore giù dal suo mobiletto. Valutai e scartai
in pochi secondi l’idea di strappare via la vecchia carta da parati, già
scollata in più punti.
Scotty era impietrito, vagamente affascinato.
Rinsavii solo quando una tazza da colazione colpì la batteria
all’angolo: il charleston emise un lamento metallico e vibrante,
seguito dal rumore dei cocci di ceramica che si sparpagliavano sulle
assi del pavimento.
Mi fermai di colpo.
Congelata, stanca, tagliuzzata nell’anima, respirando come dentro
a una bottiglia. Osservai con ammirato distacco la furia da hooligan
che avevo scatenato nel salotto. Erano bastati pochi secondi per
mettere tutto a soqquadro. La mia vita compresa.
Senza voltarmi in direzione di Scotty, afferrai con urgenza il
giubbotto e le chiavi della macchina, e con il cuore trafitto da una
lama arroventata, uscii dal portone con la ferrea intenzione di non
fare ritorno mai più.
Addio Scotty Goldberg. Addio ai miei vestiti nel tuo stupido
armadio. Addio patetica speranza.
Con le mani strette come ganasce al volante, tenni testa al pianto
finché non mi lasciai Coolidge Corner alle spalle, poi tutto il mio
mondo affogò in una pozza di lacrime e la felicità mi apparve remota
e irraggiungibile come Saturno.
La neve scendeva copiosa sul fiume Charles e cercava di
aggrapparsi ai mattoncini rossi delle case, mentre io mi chiedevo
che cosa ne sarebbe stato del giorno seguente.
In quel periodo della mia vita, il futuro non era proprio in cima alle
mie priorità. E la mia inclinazione a concentrarmi solo sul presente
aveva dato origine a una faida stratosferica con i miei genitori:
entrambi accaniti sostenitori di percorsi esistenziali a forma di linea
retta, ed entrambi fortemente convinti che andare via di casa per
convivere con Scotty fosse stata in assoluto la peggiore tra le mie
idee peggiori. Praticamente il capolinea di un consistente numero di
sbagli.
Non parlavo con loro dal giorno del trasloco.
Wow. Fino a quel momento avevo evitato di processare la verità,
ma sette mesi erano davvero un sacco di tempo. Potevano anche
aver segnato un confine drastico, per quanto ne sapessi, una
spaccatura fino al centro della terra.
Proruppi in un sospiro. Ormai Scotty era fuori e il futuro sarebbe
arrivato comunque, un giorno alla volta. E dato che l’uomo
sopravvive grazie all’adattamento, e che il cambiamento ne è una
sua diretta conseguenza, avrei dovuto trasformare me stessa e
accettare l’evoluzione.
Eppure, quella sera, mi era più facile credere a Babbo Natale e
alla sua schiera di renne volanti.
Mi fermai al semaforo e mi asciugai gli occhi con le dita.
Scotty Goldberg non era stato un completo stronzo per tutto il
tempo, di sicuro non all’inizio. E con la crudeltà che solo una
memoria inossidabile come la mia poteva vantare, mi affioravano
alla mente un miliardo di piccoli ricordi in cui le cose tra noi
apparivano decenti, forse persino soddisfacenti.
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