Escape Volume 1 – Corinna Corti

SINTESI DEL LIBRO:
Dean, svegliati. Il professor Thompson sta venendo qui.»
Il ragazzo sbatté le palpebre e tentò di mettere a fuoco la
calda e polverosa aula di Geocinesi, la punta della penna d’oca di
Elisabeth a sfiorargli la tempia mentre, seduta alla sua destra, la
ragazza tentava in qualche modo di guadagnare la sua attenzione.
Di norma, il vecchio professor Thompson non era solito alzarsi
dalla cattedra per inoltrarsi fra i banchi degli alunni, ma la sua
espressione contrariata lasciava presagire che il sonno del ragazzo
fosse riuscito nell’incredibile impresa di schiodare il fiacco docente.
«Eliza…» biascicò Dean con voce impastata. «Ma cosa…»
«Stavi russando» sibilò lei di tutta risposta. Il tono era di
rimprovero e imbarazzo assieme. «Ancora un attimo e avresti
cominciato a sbavare.»
Sbavare?
Nemmeno il tempo di intendere la gravità della cosa, che l’ombra
del professore fu su di lui.
«Signor Dean Wright» esordì il vecchio vampiro, con voce velata.
La calvizie incipiente, la pelle olivastra e gli occhi chiari di un grigio
slavato lo rendevano al contempo noioso e inquietante.
Mentre l’incredulo, e un po’ mortificato, ragazzo tentava in
qualche modo di accampare una giustificazione al suo
comportamento, una serie di risolini smorzati si diffusero per l’aula,
primi fra tutti quelli del duo composto da Malcolm Foster ed Ethan
Garret Blake.
Dean lanciò ai due più avanti un’occhiata velenosa che
attraversò da parte a parte il professore di Geocinesi, materia
dedicata alla facoltà di manipolare la terra.
«A quanto vedo, gli effetti collaterali dei vapori solforosi della
ricerca di Criocinesi che sta mettendo a punto per il professor Hunt
le stanno ancora procurando un’inconsueta propensione al sonno»
sospirò Thompson con una nota spenta.
Dean non rispose, reprimendo quasi contemporaneamente uno
sbadiglio e una smorfia stizzita.
Il professore parve studiarlo qualche secondo con distacco, poi
sospirò optando per una scrollata di spalle. «Molto bene» dichiarò,
«immagino allora che non avrà nulla in contrario nel portarmi domani
mattina un resoconto dettagliato dei suoi progressi, così che anche
io possa accertarmi della pericolosità della sua ricerca.»
Qualunque fosse stata l’espressione sul suo volto, Dean la
percepì chiaramente pietrificarsi. «Certamente, professor
Thompson» rimbeccò poi gelidamente.
«Santo Cielo, Dean, non è da te!»
Terminata la lezione, il suo compagno di banco, Oliver, rideva
ancora. Mentre la classe sciamava nei corridoi della St Patrick
Academy, la più elitaria accademia di tutto il Regno Unito, l’altro lo
prese sotto braccio e lo guidò all’esterno di una grigia giornata
primaverile. Il clima rigido, tipico di quella zona del Kent a non molte
miglia da Tonbridge, contribuì a riscuotere il torpore dell’oramai
diciottenne Dean, ultimo erede della casata Wright, ma qualcosa in
lui faticava a risvegliarsi.
Insieme a Elisabeth, giovane promessa della danza nonché
ultima figlia del magnate del tabacco Ludwig Holsen, si sedettero su
una panchina posta sotto le fronde di un grande salice, le divise blu
cobalto a risaltare contro il bianco acceso delle sciarpe invernali. Il
giardino antistante la St Patrick si estendeva per diverse miglia
attorno all’imponente castello in stile neo gotico che fungeva da sede
principale per dormitori, refettori e aule, offrendo agli studenti non
solo la possibilità di passare del tempo all’aria aperta, ma persino di
organizzare vere e proprie camminate in mezzo ai boschi. A est
della grande struttura principale c’era anche un vasto lago, la
principale meta di festini e picnic in estate, nonché prove di
resistenza e tresche amorose d’inverno.
«Non so cosa dirvi» replicò Dean, laconico, «oggi non riesco
proprio a svegliarmi.»
«Oggi?» Elisabeth alzò entrambe le sopracciglia perfettamente
modellate al di sotto di una frangia sbarazzina e nerissima. «Sono
settimane che ti aggiri fra una lezione e l’altra come uno zombie.
Sicuro di dormire abbastanza?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle, facendo così ondeggiare al
vento i lisci capelli biondi tagliati corti.
L’amica aveva ragione: erano giorni che si sentiva spossato,
vittima di una sonnolenza che nemmeno il più potente dei caffè e
intrugli zuccherosi offerti dalla scuola parevano capaci di debellare.
A causa di quella sua stanchezza era stato costretto a rinunciare a
un paio di allenamenti di Polo e a qualche lezione pomeridiana;
persino Alisya Lindwell, la sua ultima conquista, si era vista
recapitare una serie di missive dove, a malincuore, Dean le aveva
spiegato come gli fosse impossibile passare da lei per le loro
“ripetizioni notturne”.
L’episodio di quella mattina con Thompson non era che l’ultimo di
una serie altrettanto divertente di aneddoti che gli studenti si
raccontavano nel tamtam dei corridoi.
Dean sospirò, incapace di replicare.
«Secondo me dovresti andare dalla signora Elenwood» continuò
Elisabeth, «non sono sicura che sia normale.»
«E da quando Wright sarebbe normale?» li sorprese una voce
alle loro spalle.
La ragazza snudò i denti come un gatto e si voltò di scatto, subito
seguita da Dean e Oliver.
«Blake» replicò l’ultimo, alzando gli occhi grigi al cielo.
«E i suoi fedeli leccapiedi» continuò Dean reprimendo un mezzo
sbadiglio. Per un attimo, i suoi occhi color ghiaccio incontrarono
quelli verdi con pagliuzze dorate del rampollo della casata Blake –
nonché beniamino di metà St Patrick – poi si allontanarono.
«Quanto veleno, Wright» sogghignò Chloe Adams, una delle
studentesse più promettenti del loro anno, con un sorrisetto
sardonico. Da qualche mese, l’ereditiera del Sussex era divenuta la
ragazza di Foster, motivo per cui a ogni cambio di lezione i due ne
approfittavano per incontrarsi e scambiarsi effusioni di dubbio gusto.
«Abbiamo per caso interrotto il tuo riposino pomeridiano?»
«Perché non te ne torni a squittire dietro ai tuoi dannati libri,
Adams?» le ringhiò contro Oliver gonfiando il petto. I capelli mossi e
castani del giovane si mossero mentre parlava.
«Volevo solo dare la buonanotte» fece lei scrollando le spalle, «e
augurare buona fortuna al caro Dean Wright.» Gli scoccò
un’occhiata. «Attenzione a non fare una brutta fine in campo, con
tutta quella sonnolenza.
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