Due storie sporche – Alan Bennett

SINTESI DEL LIBRO:
«Tu devi essere mia moglie,» disse l’uomo in sala d’attesa «ma non credo
di avere il piacere. Facciamo le presentazioni?».
Era un tipo di mezza età, un po’ scalcagnato e senza pantaloni. Mrs
Donaldson pensò che sotto quella vestaglietta corta poteva anche essere nudo.
«Donaldson».
«Ah, ecco. Io mi chiamo Terry. Sono appena tornato».
Mentre Mrs Donaldson gli stringeva brevemente la mano, la vestaglietta si
aprì rivelando un paio di mutande arancioni con un telefonino infilato
nell’elastico.
«Problemi di transito intestinale» riprese Terry, giulivo.
«No» ribatté Mrs Donaldson. «Non direi proprio».
«Miei, cara: non tuoi. Tu sei solo mia moglie».
«Mi avevano detto che era la prostata».
«Ma figurati». Terry si tirò su per bene le mutande. «Neanche per sogno».
«Un discorso di frequenza, di risvegli notturni».
«No, assolutamente. La faccio prima di venire a letto e poi la mattina,
appena alzato. Comunque son cose che sai». Terry rise sotto i baffi. «Se sei
mia moglie...».
Mrs Donaldson prese una cartelletta.
«Vedrai che è l’altro settore» continuò lui. «Feci dure, difficili da espellere,
a volte sanguinolente. Quella roba lì. Siccome sono molto timido mi son fatto
accompagnare da te, così mi rassicuri».
«In effetti io facevo l’infermiera» convenne Mrs Donaldson «e conosco
bene la terminologia: colon, sigma, sfintere...».
«Momento» la interruppe Terry. «Tu hai fatto l’infermiera sul serio?».
«No. Sono una casalinga vedova».
«Scusa un secondo. Vado a controllare». Terry se ne andò legandosi la
vestaglia.
Al suo ritorno vide che lei aveva cambiato sedia e le si risistemò accanto,
ma in silenzio.
«Allora?» fece Mrs Donaldson.
Terry si indicò l’inguine. «Hai ragione, sono problemi urinari, però c’è di
mezzo anche l’intestino perché per misurare la prostata faranno un giretto dal
didietro. E poi bisognerà vedere quanto vorrà dirgli lui».
La porta si aprì. Si udirono delle risate. Una ragazza col nome sulla
targhetta uscì in lacrime.
«Tesoro, ma ho cercato di fartelo capire» disse una vecchietta che la
seguiva abbottonandosi la camicia. «La cistifellea era una pista falsa!».
Al segnale acustico Terry e Mrs Donaldson si alzarono.
«Prego, dopo di te» fece lui, conficcandole un dito sopra al fondoschiena.
Mrs Donaldson si scostò e ribatté: «Scusa, ma non eri timido?».
Quella mattina c’erano sei studenti: quattro maschi e due femmine. La
saletta era arredata più o meno come un ambulatorio: la scrivania, il lettino, e
più in là il professor Ballantyne, primario del reparto, stravaccato su una
sedia con studiata indifferenza. Probabilmente aveva mutande più eleganti di
quelle di Terry, pensò Mrs Donaldson.
Ballantyne si alzò. «Mrs Donaldson! Mr Porter! Buongiorno. Non vi
chiedo come state perché toccherà ai nostri medici in erba scoprirlo, anche se
dovremo fare a meno della nostra Truscott, ferita in battaglia. Bene: venite,
venite pure. Nessuno fa accomodare questi due gentili signori?». Si rimise a
sedere anche lui. «Rowswell? Prego».
Si fece avanti un ragazzo dall’aria preoccupata, con la faccia rossa, le
orecchie strane e il camice troppo grande. Li fece accomodare con gesti
impacciati e si sistemò dietro la scrivania, dove non era abituato a stare.
Tentò di estrarre la mano dalla manica, guardò Terry e provò a sorridere.
«Che cosa si sente?».
Ballantyne fece un gran sospiro e si mise le mani nei capelli.
«Complimenti, Rowswell. Pur non essendo laureato, lei è già in possesso
di una dote che a me non è ancora stata concessa dopo vent’anni d’onorata
professione. Sa distinguere chi dei due è l’ammalato».
Gli studenti fecero la consueta risatina di cortesia.
«Come fa a sapere qual è il paziente fra questi due individui a prima vista
sani?».
Rowswell arrossì ulteriormente. «Il signore è in vestaglia».
Ballantyne squadrò Terry come se l’avesse visto solo in quel momento.
«Già. Ma perché, Mr Porter?».
Terry si strofinò le ginocchia nude. «Pensavo di farvi risparmiare tempo».
«Mr Porter, noi non siamo qui per risparmiare tempo. Noi siamo qui...» e
Ballantyne sorrise, amabile, a Mrs Donaldson «per salvare delle vite umane.
In futuro eviti di prendere iniziative. Se la paziente fosse stata la signora, non
credo proprio che si sarebbe presentata in...» rifletté un momento «négligé».
Con un altro sorriso benevolo lasciò decantare l’idea. «Proceda,
Rowswell».
Mrs Donaldson frequentava la clinica universitaria da un mesetto e
l’ospedale vero e proprio da molto più tempo. Suo marito era morto proprio lì
dopo una lunga e dolorosa malattia, e lei era andata a trovarlo tutti i giorni
senza mai recriminare. Superato un iniziale fastidio, ci aveva fatto il callo e si
era perfino affezionata a quel tran tran: così la scomparsa di Cyril non le
aveva portato via soltanto il consorte, ma anche un’occupazione. Dopo si era
trovata un po’ in difficoltà, specialmente il pomeriggio. Non avendo più
l’obbligo di uscire, aveva passato intere settimane dentro casa. Sua figlia
Gwen, che era sposata, si era presa la soddisfazione di chiamarlo «lutto»;
riteneva che sua madre non avesse mai trattato suo padre con la dovuta
considerazione.
Cyril era un uomo irreprensibile e Mrs Donaldson aveva sofferto davvero
per la sua dipartita. Ma non era disposta a imporsi quell’austera solitudine
che secondo sua figlia doveva accompagnare la vedovanza.
La liberazione sarebbe giunta in maniera inattesa: per via di qualche
problema con la pensione del marito le entrate di Mrs Donaldson si
rivelarono più ridotte del previsto, e quindi ebbe bisogno di arrotondare. Fu
così che pensò di ospitare degli studenti, visto che era sola in una casa con tre
camere da letto.
La figlia non poté obiettare alle ragioni economiche, ma trovò certi risvolti
sociali disdicevoli. «Dei pigionanti? Chissà cosa direbbe papà. E comunque
non ti ci vedo nella parte dell’affittacamere».
«Avere degli ospiti di tanto in tanto non fa di me un’affittacamere» ribatté
Mrs Donaldson. «E comunque non sono pigionanti ma studenti».
Gwen non replicò. Pensava che dopo qualche mese di vasca lurida, musica
a notte fonda e sciacquoni non tirati sua madre avrebbe cambiato idea.
«Al primo preservativo nel water vedrai come rinsavisce» disse a suo
marito.
Forse Mrs Donaldson aveva avuto fortuna: i due studenti mandati
dall’ufficio dell’università erano persone esemplari, quasi sotto ogni punto di
vista. Silenziosi, ordinati, lasciavano il bagno pulito, non dimenticavano mai
lo sciacquone ed erano tanto discreti che lei praticamente non sapeva
nemmeno se erano in casa. Laura faceva medicina e Andy, il suo ragazzo,
architettura (studi che secondo Mrs Donaldson ben si attagliavano a due
precisini). Era stato tramite loro che la clinica universitaria l’aveva assunta
part-time come paziente simulata; Laura aveva visto l’annuncio in bacheca.
Dicevano che non erano necessarie capacità particolari; bisognava solo
memorizzare alcuni dati e saperli presentare con chiarezza. Non si parlava
affatto di doti interpretative, altrimenti Mrs Donaldson non si sarebbe
neppure proposta, e non bisognava nemmeno essere molto sicuri di sé: altro
possibile deterrente, perché lei si era sempre considerata timida.
Gwen aveva fatto leva proprio sul discorso della timidezza: sua madre era
stata così ingenua da raccontarle che si era candidata.
«Tanto per cominciare, tu detesti spogliarti».
«È vero, ma dovrei farlo per una buona causa».
«E poi scusa: l’ospedale non l’hai già frequentato abbastanza? Chissà cosa
direbbe papà».
Spesso Mrs Donaldson aveva la sensazione che Gwen si fosse autoeletta
rappresentante in terra di suo padre.
Era un lavoro rispettabile e perfino lodevole, ma la figlia non era dell’idea.
A lei pareva che sua madre scalpitasse per diventare una specie di modella
dei poveri, con tutto l’alone di spudoratezza del mestiere, per non parlare
della nudità.
In realtà a Mrs Donaldson nessuno aveva mai chiesto di spogliarsi. Quella
era una cosa che certi pazienti simulati facevano più volentieri di altri: Terry,
per esempio, non ci pensava mai due volte prima di saltare dentro un camice
da paziente, anche quando non ce n’era bisogno. Secondo lei quella sua
prontezza era di per sé un sintomo, ma di cosa? Forse lo faceva per alleviare
la tristezza, o anche la mezza età. Comunque era una tendenza che lei era
felice di non avere.
«Non si tratta nemmeno di recitare» disse alla sua amica Delia in mensa.
«Bisogna cercare di non mostrare emozioni: tutto qui. È una specie di fuga da
se stessi».
Delia era un’altra paziente simulata. «Comunque è bello essere guardate»
osservò. «Anche solo come casi clinici. Quando mai ti guardano, i giovani?
Ormai alla nostra età siamo invisibili.
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