Italia populista. Dal qualunquismo a Beppe Grillo – Marco Tarchi

SINTESI DEL LIBRO:
L’Italia, laboratorio del
populismo
La prima edizione di questo libro
– che riappare oggi in una versione
molto ampliata e integralmente
rivista – si apriva, nel 2003, con una
constatazione. «Populismo»,
scrivevamo allora, è oggi un termine
di moda in Italia: nei circuiti
massmediali, nel dibattito politico,
negli studi accademici se ne fa uso
con sempre maggiore frequenza. A
distanza di undici anni, non c’è
ragione di modificare una sola
parola di quella frase. Si può
soltanto aggiungere che nel
frattempo quella moda è dilagata,
rompendo ogni argine. Nei mesi che
hanno preceduto le elezioni per il
rinnovo del Parlamento europeo del
25 maggio 2014, sarebbe difficile
scovare, nel dibattito pubblico
(politico, giornalistico, intellettuale)
un termine e una fonte di
aggettivazioni più utilizzati: l’ascesa
dei partiti populisti, categoria nella
quale spesso si sono incluse, non
senza forzature, tutte le formazioni
sospettate di euroscetticismo, è
diventata un vero Leitmotiv. Pochi
mesi prima, una ricerca condotta
tramite la rete bibliotecaria connessa
all’Università della California aveva
appurato l’impressionante
moltiplicarsi di libri e articoli
dedicati al populismo: dai 370 degli
anni Sessanta si è passati, nei
successivi tre decenni, a 557, 1.336
e poi addirittura 2.801 fra il 2000 e il
2009. E la tendenza non sembra
affatto in via di riassorbimento, se il
numero delle voci presenti fra il
2010 e i primi mesi del 2013 era già
salito a 1.046, facendo presagire un
nuovo record
[1]
. L’impressione è
dunque quella di trovarsi di fronte a
uno dei concetti chiave della politica
contemporanea. E c’è ormai chi,
anche in ambito accademico,
sostiene che ci troviamo in un’epoca
populista
[2]
, chi si domanda se
quella che viene spesso descritta
come l’«antipolitica populista» non
stia in realtà trasformandosi in una
nuova dimensione della politica nei
regimi democratici
[3] e chi, dopo
essersi chiesto se oggi sia
concepibile una politica non
populista, già ipotizzando che il
populismo sia un elemento costante
dell’immaginario politico
democratico che emerge a
qualunque latitudine ogniqualvolta
gli equilibri socioculturali,
economici e politici vengono scossi
in profondità, si è convinto che,
nella politica moderna, questo
fenomeno si è ormai insinuato
dappertutto
[4]
.
Non è peraltro la prima volta che
ciò accade. Negli anni Sessanta e
Settanta del secolo scorso la parola
ricorreva spesso nel gergo della
politica, di solito per spiegare i
convulsi processi di trasformazione
che agitavano il Terzo mondo
(argomento che andava anch’esso,
allora, per la maggiore) producendo
una congerie di tribuni delle masse
diseredate e di «dittature di
sviluppo», ma talvolta veniva usata
anche per suggerire accostamenti fra
idee, movimenti e modi di agire
tipici di quelle zone del globo e
alcune tendenze che si delineavano,
e secondo taluni già erano all’opera,
in Europa, e in particolare nella
penisola italiana. Il tono con cui il
sostantivo o gli aggettivi connessi
venivano pronunciati o scritti non
differiva granché da quello
attualmente in voga, evocando
soprattutto biasimo, scetticismo,
intenzioni polemiche e squalificanti,
non di rado aperto sarcasmo: essere
tacciati di atteggiamenti populisti
equivaleva allora, così come ai
nostri giorni, a vedersi incollare
addosso l’etichetta di irresponsabili
demagoghi.
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