A essere giovani si impara da vecchi – Paolo Scampini

SINTESI DEL LIBRO:
Il tardo pomeriggio di un’altra giornata proficua nei grandi annali
dell’insensatezza. Il tramonto sta per andare in scena con tutta la
sua eleganza, mentre le ombre si coricano a dismisura. Questo è il
momento più bello della giornata, quando è troppo tardi per
recuperare il tempo perduto, quando la luce è più morbida e ci si
concede un drink, si perdonano i propri vizi, si scrivono lettere
invisibili e ci si accompagna fuori da questa giornata, vissuta nel
sollievo di non avere alcuno scopo.
Mi chiamo Paul, ho vent’anni, sono giovane, disoccupato e, secondo
alcuni, scapestrato. Non so perché, ma oggi mi sento più
disoccupato del solito, e questo mi permette il grande privilegio di
sentirmi scoglionato.
Come al solito, anche oggi trascorro il tardo pomeriggio seduto sulla
panchina del parco, passando il tempo a trasformare le ore in
qualcos’altro e tenendo il mio cane Chicco al guinzaglio. Potrei
sembrare uno che non fa nulla, e infatti lo sono, lo sto non facendo.
Ho l’hobby di rendere palese il vuoto.
Facendo dell’immobilità la mia meta, da qui osservo il piacevole
teatrino che quotidianamente l’universo ha deciso di mettere in
scena, usando come sfondo un sole tramontante su spazi verdi, più
verdi nel dirsi che nel loro verde.
Attorno a me contemplo un parco di per sé deserto, ma pieno di
gente. C’è un cane che porta a spasso il suo padrone facendosi
tenere al guinzaglio del proprio entusiasmo. Ogni tanto gira la testa e
lancia un’occhiata compassionevole al suo umano, sempre distratto
da sterili inquietudini.
Altri che invece con il proprio cane giocano lanciando
instancabilmente palle o bastoni: tra i cani si deve essere sparsa la
voce che gli umani lanciano sempre un qualcosa, se poi glieli si
riporta.
Poi c’è chi corre a perdifiato in scarpette da ginnastica: non so se
stanno scappando da qualcosa oppure se sono all’inseguimento di
se stessi. Ogni tanto li vedo rallentare fino a fermarsi, probabilmente
per riprendere quel fiato che hanno lasciato dietro a loro.
Il parco ci concede sempre quel che desideriamo, cioè aria, spazio e
libertà di interpretazione. Poi, a quest’ora, l’atmosfera tende al
chiaroscuro, con i colori che svaniscono in tenui ombre di
trascuratezza e la gente si accontenta di un soffio di vento.
«Quello è il tuo cane?», mi chiede una voce improvvisa alle mie
spalle. Colto in flagrante da quell’episodio dell’immaginazione che
chiamiamo realtà, mi volto verso la direzione del suono.
Liza, l’amore platonico della mia esistenza, la femmina che senza
saperlo domina tiranna la mia emotività, è in piedi dietro di me e sta
guardando Chicco con quell’atteggiamento apatico e supponente
che la contraddistingue.
Indossa grandi occhiali da sole con una montatura in plastica verde
ramarro, capelli di colore ultravioletto rizzati tra la testa e il cielo,
mentre una serie di orecchini a catenella sfidano la forza di gravità
aggrappandosi a lobi formato braciola. Con tutto quello che indossa
si potrebbe aprire un negozio di artigianato. Ha un’aria esigente da
donna-bambina cresciuta a capricci e pretese, e il solo starle
accanto mi crea uno strano effetto di sovrapposizioni temporali.
«Sì, anche se sono certo che lui preferisce pensare che io sia il suo
umano» rispondo, felice come un orsacchiotto per avere intrapreso
un dialogo con lei. Ho un’erezione al cuore e le farfalle nel mio
stomaco volano in formazione compatta. Se avessi la coda
scodinzolerei, come del resto sta facendo Chicco.
Nessuno lo sa, tanto meno lei, ma Liza mi piace, mi fa impazzire.
Scalerei le montagne più ardite pur di poter poi riposare all’ombra
del suo cuore. Ah, se solo Dio si decidesse a provare la propria
esistenza mettendomela fra le braccia, la farei lievitare di felicità, la
consumerei di cortesie e premure, la terrei come la cosa più pregiata
di questa Terra.
Non avrebbe il tempo di respirare da sola, perché io respirerei con
lei; non potrebbe avere fame, perché io l’avrei già saziata; non
potrebbe avere sete, perché io l’avrei già dissetata; non potrebbe
dubitare, perché io l’avrei già rassicurata; non potrebbe desiderare,
perché io l’avrei già soddisfatta; non potrebbe scappare… perché io
l’avrei già incatenata. E che caspita, con tutto quello che sto facendo
per lei!
«Beh, sì, potrebbe essere, anche se non capisco come potrebbe
pensare una cosa del genere» mi risponde lei con la cordialità di una
colica renale. «A me piacciono i cani però, sinceramente, odio quegli
stronzi di proprietari di cani. E sai perché? Perché si sentono in
diritto di possedere un essere vivente!» Dice questo lanciando una
caramella a Chicco. Lui la inghiotte come se aspettasse solo questo
da anni.
Sentendomi chiamato in causa, in qualità di proprietario di cane e, di
conseguenza, di stronzo, cerco di ragionare in tono conciliante.
«Non è una questione di possesso, è anche una questione di affetto
e di reciproca sintonia. Noi esseri umani siamo affascinati dai cani e
dal loro mondo di espressioni emotive, perché alla fine sono molto
simili a noi: devoti a qualcuno seppur a volte fuori luogo, smaniosi di
svago ma spesso rassegnati alla noia, grati per ogni gentilezza e per
ogni minima attenzione. Non vedo cosa ci sia di male.»
«Non vedi niente di male, però intanto questo atteggiamento da
egoisti porta noi esseri umani ad atteggiarci da razza dominante il
pianeta. Proprio noi, così meschini e arroganti» incalza lei
arricciando il naso per il disprezzo. «Ma te ne rendi conto? E tu cosa
fai per cambiare tutto ciò? Te ne freghi come se ne frega la maggior
parte di questa società di merda?»
Me ne sto zitto, un po’ incartato nel mio pudore emotivo. Sono
sempre stato un cauto, diffidente, solido guardiano della mia
stabilità. Ho sempre cercato di mettere il silenziatore alle cose per
potermi circondare di un delicato e indefinito oblio, un rifugio dove
nascondermi non appena la realtà attorno prendesse sfumature
incerte.
Ma com’è che Liza deve essere sempre così scorbutica e
indisponente, per non dire meschina e arrogante, tanto per
confermare la sua opinione sugli esseri umani? Alzo gli occhi e la
guardo e, malgrado tutto, devo constatare che si ostina a essere
bella.
«Questa società di merda ci propone un modello di vita artificiale, e i
poteri forti ci obbligano a pensare e a sentirci come vogliono loro,
non come vogliamo noi. Io non voglio che la mia felicità sia una
felicità falsa e sfruttatrice degli esseri inferiori, hai capito?» Liza parla
a ruota libera di concetti che pure io condivido, ma con un tono che
mi sa di esclusione. «Questo è un mondo di merda! Lo stereotipo
della società capitalista è fallito, e anche per te è ora di aprire gli
occhi, non più dormire come un coglione! Il mondo va cambiato con
una bella rivoluzione. Solo così è possibile estirpare l’ipocrisia e
raggiungere la verità delle cose e nei rapporti tra le persone. Non più
sfruttati e sfruttatori, non più pochi ricchi a discapito di una massa di
poveri, ma un mondo di uguali e di solidali!»
Liza si proclama paladina dell’uguaglianza e della solidarietà, ma a
me risulta essere una gran campionessa delle contraddizioni. È
l’esatto contrario della persona nobile e sensibile. Per lei, gli altri
contano meno di nulla, e il suo agitarsi è spinto più dall’invidia che
dal desiderio di giustizia sociale. Il suo mondo ha sempre avuto un
solo abitante con diritto di parola: lei stessa! A proposito di
ipocrisia…
Comunque, come dicevo prima, nessuno lo sa ma questa stronza mi
piace, mi fa letteralmente impazzire. Forse addirittura la amo, ma
devo stare attento perché la linea di confine tra innamoramento e
imbecillità è molto labile.
Il grosso problema è che temo di essermi innamorato, me ne rendo
conto. Ahimè, questo è Amore, è quello stato di grazia e disgrazia
che toglie il sonno, che rimanda la fame, che distrae la mente. Il
castigo degli dèi perché non siamo riusciti a restare da soli con noi
stessi. È una fiamma che acceca e corrompe la ragione, la dignità, il
rispetto di se stessi. Seppur, in fondo, resta sempre la sublimazione
dell’esistenza.
Se mai potessi averla, ringrazierei Iddio per aver posato sulla Terra
un angelo tutto per me, da carezzare e stringere tra le braccia, una
creatura in grado di liberarmi l’anima e innalzarmi al di sopra di tutto
e tutti, al di là della realtà stessa… Vedrei in lei la madre dei miei
bambini, saprei finalmente che il mio cuore avrebbe trovato un posto
in cui fermarsi: sono convinto che la mia vita inizierebbe con lei, e
senza di lei potrebbe addirittura finire.
Ora mi è più vicina. Emana un buon profumo che sa di mattina,
d’immenso illuminato, un misto di aria pulita e di rugiada, di spiaggia
deserta e di terra bagnata. È proprio vero, una donna che si profuma
è una che utilizza armi chimiche per conquistare: non vale!
Il corpo della donna va sfiorato con leggere mani d’angelo, lambito
sulla sua superficie come una veste in seta che ne accarezza la
carnagione, fluttuando su di un cuscino d’aria mentre lei si muove.
La donna va vestita di suadenti pensieri, affinché ogni luogo del suo
essere si dischiuda per ricevere infiniti omaggi d’amore. Va scoperta
svestendola, bottone dopo bottone, come quando si sbuccia una
caldarrosta in una fredda notte d’inverno.
In lei va cercata la bellezza celata negli angoli più reconditi, e in lei
va liberato il desiderio di sentirsi amata, per poi lasciarsi
completamente avvolgere in quell’indicibile ardore che sa donare. La
donna va gustata con l’appetito della trasgressione, fino a farle
credere che può essere soddisfatta solamente quando non avrà
consumato la lingua che la sta divorando.
«…E allora? Ti sei incantato! Si può sapere cos’hai da fissarmi con
quello sguardo da invasato?»
Le sue parole mi svegliano di soprassalto dal mio dolce e disperato
delirio d’amore, o del Regno parallelo che ne imita la forma. Se solo
sapesse verso quali lidi hanno portato la mia mente le sue
disquisizioni politiche…
«Sì, sì. Sono d’accordo» è tutto quello che riesco a dire.
Era da tanto che sognavo di poterla incontrare, e ora che è davanti a
me, dopo il mio esordio con una battuta che non mi pareva neanche
male, non mi viene niente da dire. Mi sento impacciato e maldestro,
privo delle qualità minime necessarie per avvicinare la ragazza che
ha abitato il mio intimo fin da ragazzino, i tempi in cui l’ho idealizzata
consacrandola all’altare del mio cuore
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