Non chiudere gli occhi – Mary Higgins Clark

SINTESI DEL LIBRO:
Se posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo?
Certo che posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un
palazzo. Cavolo, non sono mica deficiente. Posso spiegarlo perché non
è un fatto inspiegabile: è stata una scelta logica, la conseguenza di un
pensiero fatto e finito. E neanche di un pensiero troppo serio. Non
voglio dire che fosse un capriccio – solo che non era tremendamente
complicato o angoscioso. Vediamo un po’… immaginate di essere, che
so, un vicedirettore di banca di Guildford. Avevate già accarezzato
l’idea di emigrare quando vi viene offerto un posto di direttore in una
banca di Sydney. Be’, d’accordo che la scelta è abbastanza lineare, ma
viene naturale rifletterci un momento, o no? Se non altro per capire se
vi sentite di fare armi e bagagli, di lasciare amici e colleghi, di
sradicare moglie e figli. Magari vi mettereste a sedere con carta e
penna e stilereste una lista di pro e contro. Esempio:
CONTRO: genitori anziani, amici, golf club.
PRO: più quattrini, migliore qualità della vita (casa indipendente
con piscina, barbecue ecc.), mare, sole, niente consigli comunali
di sinistra che vietano le filastrocche infantili politicamente
scorrette, niente direttive ue che mettono al bando le salsicce
britanniche ecc.
Non c’è storia, che ne dite? il golf club? Ma vi prego. Naturalmente,
i genitori anziani potrebbero imporvi uno stop di riflessione, ma
niente di più: uno stop, e neanche troppo lungo. Dopo dieci minuti
sareste al telefono con l’agenzia di viaggi. Bene, io mi sentivo così. In
breve: non avevo abbastanza motivi per fermarmi, e ne avevo in
quantità per buttarmi. Nella lista dei miei «contro» c’erano solo le
bambine, ma non era neanche da pensare che Cindy mi permettesse di
rivederle. Non ho genitori anziani e non gioco a golf. Il suicidio era la
mia Sydney. E lo dico senza offesa per le bravissime persone che
vivono a Sydney.
MAUREEN
Gli ho detto che sarei andata a una festa di Capodanno. Gliel’ho detto a
ottobre. Non so se la gente manda gli inviti per le feste di Capodanno a
ottobre oppure no. Probabilmente no. (Come facevo a saperlo? Non ci
andavo più dal 1984. L’avevano data June e Brian, della casa di fronte,
appena prima di traslocare. E anche quella volta ci avevo fatto giusto
una capatina di un’ora, dopo che lui era andato a letto.) Però non ce la
facevo più ad aspettare. Ci pensavo da maggio o giugno, e friggevo
dalla voglia di dirglielo. Che stupida, davvero… Lui non capisce, sono
sicura. Mi dicono di continuare a parlargli, ma si vede che non gli
entra dentro niente. E comunque, friggere per una cosa del genere!
Be’, questo vi dice che non avevo altro da aspettare con ansia, vi pare?
Nel momento che gliel’ho detto, mi è venuto da andare a
confessarmi subito. Insomma, avevo detto il falso, vi pare? Avevo detto
una bugia a mio figlio. Oh, era solo una bugietta sciocca: gli avevo
detto con dei mesi di anticipo che sarei andata a una festa – una festa
inventata da me. E anche inventata come si deve. Gli ho detto chi dava
quella festa, e perché mi avevano invitata, e perché volevo andarci e
chi erano gli altri invitati. (Era la festa di Bridgid, la Bridgid della
chiesa. E io ero stata invitata perché veniva sua sorella da Cork, e sua
sorella in un paio di lettere aveva chiesto di me. Ci volevo andare
perché la sorella di Bridgid aveva portato sua suocera a Lourdes, e mi
interessava farmi dare tutte le informazioni, pensando di portarci un
giorno Matty.) Però confessarsi era impossibile, perché sapevo che
prima della fine dell’anno avrei dovuto ripetere il peccato, la bugia,
ancora tante volte. Non soltanto con Matty, ma anche col personale
della casa di cura e… insomma, poi non c’è nessun altro. Forse
qualcuno della chiesa, o qualcuno in un negozio. A pensarci, fa quasi
ridere. Se passi giorno e notte a badare a un figlio che sta male, spazio
per i peccati te ne resta pochissimo, e non avevo fatto niente che valeva
la pena di confessare da non so quanto. E poi, di colpo, son passata a
peccare così malamente che non potevo neanche parlarne con il prete,
perché avrei continuato a far peccato fino all’ora della mia morte,
quando avrei commesso il peccato più grave di tutti. (Ma perché è il
più grave? Ti ripetono tutta la vita che dopo la morte andrai in un
posto meraviglioso. E l’unico gesto che puoi fare per arrivarci un po’
prima ti impedisce di andarci… Oh, capisco che è un po’ come non
voler fare la coda. Ma se qualcuno salta la coda in posta, gli altri
borbottano. A volte protestano: «Scusi, sa, c’ero prima io». Non
dicono: «Brucerai tra le fiamme dell’inferno per l’eternità». Sarebbe
un pochino esagerato.) La situazione non mi ha fatto smettere di
andare in chiesa. Ma solo perché se non mi fossi fatta più vedere la
gente avrebbe pensato che qualcosa non andava.
Man mano che ci avvicinavamo alla data, gli passavo scampoli di
notizie che dicevo di avere raccolto. Ogni domenica fingevo di aver
saputo qualcosa di nuovo, perché la domenica era il giorno che vedevo
Bridgid. «Bridgid dice che ci sarà da ballare.»
«Bridgid ha paura che il vino e la birra non piacciano a tutti, quindi
metterà in tavola anche dei liquori.»
«Bridgid non sa quanti arriveranno dopo aver già mangiato.» Se
Matty fosse riuscito a capire qualcosa, avrebbe deciso che quella
Bridgid era pazza a darsi tanti disturbi per una festicciola. Io ogni volta
che la incontravo in chiesa diventavo rossa. E chiaramente avrei voluto
sapere cosa avrebbe fatto in realtà la notte di Capodanno, ma non
gliel’ho mai chiesto. Se pensava di dare una festa, magari si sarebbe
sentita obbligata a invitarmi.
A ripensarci mi vergogno. Non per le bugie… ormai sono abituata a
raccontarle. No, mi vergogno per la penosità della cosa. Una domenica
mi son sentita che dicevo a Matty che Bridgid avrebbe comperato il
prosciutto per i tramezzini. Ma era una cosa che mi stava in testa, la
notte di Capodanno, è naturale che mi stava in testa, e quello era un
modo di parlarne senza in realtà dir niente. E penso di essere arrivata
a crederci un pochino anch’io, alla festa, come si può credere a una
storia in un libro. Ogni tanto mi immaginavo come mi sarei vestita, e
quanto avrei bevuto, e a che ora sarei venuta via. Se per tornare a casa
avrei preso un taxi. Cose così. Alla fine mi sembrava di andarci
davvero. Però nemmeno nella fantasia mi vedevo a parlare con
qualcuno, alla festa. Ero sempre contenta di levarmi dai piedi.
JESS
Sono stata a una festa giù da basso, nella casa occupata. Festa di
merda, piena di quei vecchi arteriati seduti per terra a bere il sidro,
fumarsi cannoni e ascoltare del reggae assurdo, da strafatti. A
mezzanotte, uno di loro ha battuto le mani quasi per scherzo, degli
altri hanno riso e fine delle trasmissioni: Buon Anno pure a voi. Una
poteva anche esser arrivata alla festa sentendosi la donna più felice di
Londra, che per mezzanotte e cinque avrebbe avuto voglia comunque
di salire sul tetto e buttarsi giù. E io non ero mica la donna più felice di
Londra. Chiaro.
Ci ero andata solo perché qualcuno al college mi aveva detto che ci
sarebbe stato Chas, ma non c’era. L’ho cercato per la miliardesima
volta al telefonino, ma era spento. La prima volta che ci eravamo
mollati mi aveva detto che ero una maniaca, ma quella è una parola
che gli è venuta fuori così, cioè voglio dire «maniaca», capito? Non
credo che si può dire che una è maniaca se non va oltre le lettere, le
telefonate e le e–mail e bussarti alla porta. E sono andata a cercarlo un
paio di volte al massimo, sul lavoro. Tre, a contare anche la sua festa di
Natale, che però io non la conto, perché aveva detto che mi ci avrebbe
portata lui. Una maniaca è una che ti insegue nei negozi, in vacanza
eccetera, capito? Ecco, io ai negozi non ci sono mai neanche andata
vicino. E comunque, non mi sembra che è fare la maniaca se uno ti
deve una spiegazione. Quando ti devono una spiegazione è come se ti
dovessero dei soldi, e non solo un cinquone, voglio dire. Minimo–
minimo cinque o seicento sterline, hai capito. Se vi dovessero
Minimo–minimo cinque o seicento sterline, e la persona che ve le deve
vi evitasse, andreste bene a bussargli la sera tardi quando sapete che
dev’essere in casa. Con tanti soldi in ballo, la gente fa sul serio. Pagano
dei gorilla per andare a farseli dare, anche rompendo delle gambe, se è
il caso. Ma io a questo ci son mai arrivata. Mi sono controllata come si
deve.
Perciò, anche se ho visto subito che lui alla festa non c’era, mi sono
fermata lì. E in quale altro posto potevo andare? Ho avuto
compassione di me stessa. Come fai a diciott’anni a non avere neanche
un posto dove passare la notte dell’Ultimo, a parte una festa merdosa
in una merdosa casa occupata, dove non conosci nessuno? Ebbe’, io ce
la faccio. A quanto pare, ce la faccio ogni anno. Non ho problemi a
trovarmi nuovi amici, ma poi li faccio incazzare, questo è sicuro, anche
se non so bene come e perché. E così la gente sparisce, e anche le feste.
Jen l’ho fatta incazzare, su questo non ci piove. Ed è sparita come
tutti gli altri
La camera di Casey era vuota. Sul tavolo in sala da pranzo c’era
un biglietto.
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