Matteo Ricci Un gesuita alla corte dei Ming- Michela Fontana

SINTESI DEL LIBRO:
Di fronte al Giappone si estende un immenso impero che gode di
pace profonda e che, secondo quanto dicono i mercanti portoghesi,
è superiore a tutti gli stati cristiani nella pratica della giustizia ... i
cinesi che ho visto ... sono acuti e ansiosi di imparare ... niente mi fa
supporre che lì vi siano cristiani.
FRANCESCO SAVERIO
L'udienza
Il prefetto1
Wang Pan indossava un'ampia tunica di seta rossa,
arricchita da una pettorina quadrata sulla quale spiccava l'elaborato
ricamo di due anatre selvatiche. Le maniche della veste erano
tanto lunghe e ampie da nascondere le mani. Alla cintura,
impreziosita da fitte decorazioni, erano appesi ciondoli d'argento,
legno e avorio. Il copricapo, nero come gli stivaletti, era una calotta
rigida con due ali arrotondate che scendevano verso le spalle.
Tutto, nella veste e nel portamento del funzionario di mezza età che
amministrava una regione nel Sud della Cina vasta quanto un
piccolo Stato italiano, denotava prestigio. La scelta degli ornamenti
non era lasciata al gusto personale, al caso o al desiderio di esibire
opulenza, ma era regolata da un preciso protocollo che era stato
codificato a Pechino, alla corte dell'imperatore. I particolari
dell'abbigliamento, primo fra tutti il tipo di volatile ricamato sulla
pettorina, indicavano che il «mandarino» - termine con cui i
portoghesi indicavano gli alti dignitari cinesi, mutuando dal verbo
mandare, ovvero comandare - occupava il quarto dei nove livelli
della burocrazia imperiale. Benché non fosse ai vertici
dell'amministrazione statale, il suo potere era sufficiente a intimidire
chiunque si trovasse al suo cospetto.
Seduto su una sedia con alti braccioli e imponente schienale,
poggiava le braccia su un tavolo di legno scuro dove erano collocati
volumi ricoperti di tessuto damascato. Su un supporto di legno e
porcellana policroma dipinta con il motivo di un drago, una specie di
elegante piccola rastrelliera verticale, erano adagiati pennelli da
calligrafia in legno e bambù di varie dimensioni, affiancati dalla
consueta lastra di pietra nera per l'inchiostro e da uno speciale
bricco di giada bianca a forma di uccello per l'acqua. Alle sue spalle,
sopra una libreria dai ripiani asimmetrici, erano esposti vasi di
porcellana bianca e blu e sculture di giada arricchite da intarsi
minuti.
Di fronte al funzionario erano inginocchiati, insieme ad alcuni
cittadini cinesi, due giovani missionari dai tratti somatici europei, che
avevano il capo rasato e indossavano una modesta tunica grigia
di cotone, simile a quella dei monaci buddisti.
I religiosi conoscevano appena l'ostica lingua dei loro interlocutori
e non avevano ancora dimestichezza con la storia, la cultura e i
costumi di quell'impero remoto, collocato nel più lontano Oriente,
così diverso dal mondo a loro conosciuto. La Cina a cui si
affacciavano con timore era un paese misterioso e ostile che vietava
l'ingresso agli stranieri, considerati barbari illetterati e nemici
pericolosi.
Aiutati da un interprete, e rispettando i dettami di un cerimoniale
complesso e a loro estraneo, i due gesuiti italiani Matteo Ricci e
Michele Ruggieri chiesero al mandarino il permesso di risiedere
nel suo paese. Volevano avere un terreno dove poter costruire una
casa e una chiesa e onorare, in pace e nel rispetto delle leggi locali,
il loro Dio, Signore del Cielo e della Terra.
II momento era solenne e la data, 10 settembre 1583, sarebbe
rimasta per sempre impressa nella memoria dei due gesuiti. Dopo
almeno trent'anni di infruttuosi tentativi di insediamento nel
territorio dell'impero da parte di religiosi occidentali, la prima
missione gesuita nella Cina dei Ming stava diventando realtà e,
grazie a essa, sarebbe cominciato uno dei periodi più significativi
nella storia degli scambi culturali tra Occidente e Oriente. Per il
trentunenne Matteo Ricci iniziava un'avventura umana, intellettuale e
spirituale destinata a durare tutta la vita.
Trent'anni prima...
I
IL GESUITA E LA MATEMATICA Da Macerata a Roma, 1552-1576
La nostra vocazione ci spinge a essere presenti in qualsiasi luogo
del mondo, e a condurre la vita proprio là dove ci si aspetta
un servizio di Dio più grande e un maggior aiuto delle anime.
IGNAZIO DI LOYOLA, Costituzioni della Compagnia di Gesù
La geometria è una ed eterna, brilla nella mente di Dio. La possibilità
che l'uomo ha di comprenderla è una delle ragioni per cui l'uomo è
immagine di Dio.
JOHANNES KEPLER, Osservazioni sul «Sidereus Nuncius»1
La scelta
Matteo Ricci nacque il 6 ottobre 1552 a Macerata, una città dello
Stato Pontificio, situata alla sommità di un colle tra le valli
parallele dei fiumi Potenza e Chienti, che contava poco meno di
13.000 abitanti.2
Il padre, Giovanni Battista Ricci, che esercitava la
professione di speziale, era stato membro delle magistrature civiche
e avrebbe fatto parte nel 1596 del Consiglio di credenza della città, a
cui erano chiamati a partecipare i notabili cittadini.3
I Ricci
appartenevano da secoli alla piccola nobiltà maceratese e il loro
stemma gentilizio era composto da un riccio color turchino in campo
rosso porpora. Alla fine del Seicento sarebbero stati insigniti del
titolo di marchesi di Castel Vecchio. La madre, anch'essa di famiglia
nobile, si chiamava Giovanna Angiolelli.
Matteo era il primogenito di una numerosa famiglia che contava,
oltre a lui, quattro sorelle e otto fratelli, uno dei quali, Antonio Maria,
destinato a diventare canonico di Macerata e un altro, Orazio,
a ricoprire incarichi di rilievo nel governo della città.4
Affidato alle
cure della nonna Laria, studiò sotto la guida del sacerdote senese
Niccolò Bencivegni fino all'età di sette anni, quando il religioso
lasciò l'incarico di tutore per entrare nella Compagnia di Gesù, uno
dei più importanti ordini nati nell'ambito della Controriforma.
Per proseguire gli studi Matteo frequentò il nuovo collegio gesuita
aperto in città nel 1561, dove, stando a quanto racconta il suo primo
biografo, Sabatino de Ursis,5
si distinse come uno dei migliori allievi
e manifestò una precoce vocazione religiosa. Ma le cronache
raccontano che il padre aveva altre aspirazioni per lui cosicché,
non appena il giovane completò il percorso scolastico inferiore, lo
indirizzò a Roma per seguire gli studi di giurisprudenza
all'Università, probabilmente prefigurando per il primogenito una
carriera nell'amministrazione pontificia.
Matteo raggiunse Roma nel 1568. La capitale contava allora quasi
centomila abitanti ed era uno dei maggiori centri artistici del
mondo. La basilica di San Pietro, simbolo della grandezza della
Chiesa, alla cui realizzazione avevano contribuito alcuni dei più
grandi artisti del Rinascimento, era ancora in costruzione. Il cantiere,
che si sarebbe chiuso soltanto nel secolo successivo dopo 176 anni
di attività e l'avvicendamento di 28 papi al soglio pontificio, era
considerato dai romani una fabbrica infinita. Ricci non avrebbe
assistito ai lavori di edificazione della famosa cupola progettata da
Michelangelo, morto quattro anni prima, che sarebbe stata
completata nel 1588 quando il maceratese aveva ormai lasciato da
dieci anni la capitale.
L'atmosfera che si respirava era intrisa dello spirito della Controriforma. Da pochi anni si era concluso il Concilio di Trento (1545-
1563), che aveva sancito una riorganizzazione dottrinale e
disciplinare della Chiesa cattolica, dopo l'irreversibile frattura della
cristianità causata dal movimento di Riforma protestante. L'autorità
del pontefice si stava facendo sempre più forte, e più determinata la
sua affermazione di supremazia nei confronti del potere temporale.
La creazione a Roma, nel 1542, della Congregazione del Sant'Uffizio
o dell'Inquisizione da parte di Paolo III e la pubblicazione dell'Indice
dei libri proibiti voluta da Paolo IV nel 1559, con la conseguente
azione repressiva nei confronti di autori e stampatori non ortodossi,
davano la possibilità di esercitare un forte controllo sulla cultura,
spegnendo la vivacità di pensiero che aveva caratterizzato il secolo
precedente. Da due anni e-ra asceso al trono pontificio, con il nome
di Pio V, il frate domenicano Antonio Michele Ghislieri, papa
inquisitore e futuro santo, inflessibile persecutore delle eresie e del
dissenso, che nel 1570 scomunicò la regina Elisabetta d'Inghilterra.
All'epoca in cui Ricci entrava nella capitale, l'Italia era un mosaico di
Stati in larga parte assoggettati alla Spagna, fra i quali solo
Venezia e, entro certi limiti, lo Stato Pontificio conservavano
un'effettiva autonomia da Madrid. In Europa gli aspri conflitti religiosi
si intrecciavano alle lotte per la supremazia fra le nazioni. Nel vicino
Oriente era scomparso due anni prima Solimano il Magnifico, che
aveva portato all'apogeo l'impero turco-ottomano, arrivando a
minacciare i confini orientali dell'Austria. A contendersi il predominio
sugli oceani erano le due potenze marittime cattoliche Spagna e
Portogallo, ai cui navigatori si dovevano le più importanti imprese
marinaresche del secolo precedente, dalla scoperta del Nuovo
Mondo fino allo sbarco in India e alla circumnavigazione del globo.6
L'immagine del nostro pianeta era cambiata e, grazie alle spedizioni
in mari e paesi prima sconosciuti, le carte geografiche si
modificavano e gli scambi commerciali si intensificavano dando vita
a un mercato che abbracciava ormai diversi continenti. Lungo le
rotte aperte da esploratori e mercanti viaggiavano i missionari,
gesuiti insieme a francescani, domenicani e agostiniani, pronti a
convertire gli «infedeli» in ogni angolo del mondo e a riconquistare in
terre lontane parte del potere perso dalla Chiesa cattolica in Europa
a causa della Riforma protestante.
Nel secolo precedente, mentre i confini del mondo conosciuto si
allargavano, il Vecchio Mondo era stato teatro di profondi
cambiamenti culturali. Principi, condottieri, cardinali, cortigiani,
avventurieri, mercanti, banchieri insieme ad artisti, architetti, scrittori,
filosofi, astronomi, matematici, medici e maghi erano stati gli attori
di una rappresentazione destinata a trasformare il mondo. Ormai
però, a metà Cinquecento, la spinta verso il nuovo che aveva
caratterizzato il periodo rinascimentale doveva fare i conti, nei paesi
cattolici come Italia e Spagna, con il rigoroso controllo dell'ortodossia
attuato dalle autorità religiose. Tuttavia, nonostante feroci guerre di
religione insanguinassero l'Europa e l'intolleranza ostacolasse la
libera espressione della cultura, il sapere, l'arte e il processo di
progressiva edificazione degli Stati nazionali continuavano la loro
evoluzione verso la modernità. In un panorama sociale e culturale
complesso e contraddittorio, nuove idee si mescolavano a vecchie
concezioni e filosofie. Superstizioni antiche accompagnavano i primi
passi della scienza moderna. Le conoscenze in ogni settore dello
scibile si approfondivano e si specializzavano e la filosofia naturale
si preparava a cedere il passo alle discipline scientifiche che si
sarebbero affermate nei secoli successivi. La matematica acquisiva
un ruolo centrale come strumento per indagare e comprendere i
fenomeni naturali e la tecnica guadagnava nuova fòrza e rilievo.
Non è dato sapere quali fossero le aspirazioni e i sogni di Matteo
Ricci mentre si affacciava alla vita nella Roma
tardorinascimentale. Nel racconto agiografico tracciato dai biografi
gesuiti7
non mancano accenni a segni premonitori della Provvidenza
divina sul suo destino di missionario ed è impossibile cogliere dubbi,
esitazioni o incertezze, verosimilmente presenti in lui come nella
maggior parte dei giovani che cercano la propria strada. Si può solo
ipotizzare, sulla base degli eventi successivi, che il maceratese si
convincesse abbastanza presto di non essere attratto da una
carriera secolare. Matteo iniziò nel 1569 a frequentare la
congregazione mariana aggregata al Collegio Romano, l'Università
gesuita di Roma, e ancora prima di aver completato tre anni di studi
universitari prese la decisione di lasciare giurisprudenza per entrare
nell'ordine dei gesuiti. Si presentò il 15 agosto 1571 al noviziato di
Sant'Andrea al Quirinale e fu ammesso nella Compagnia di Gesù da
Jeronimo Nadal, allora vicario generale. Entrato nella casa di
probazione, ebbe come guida Alessandro Valignano, gesuita di
tredici anni maggiore di lui, ammesso nell'ordine soltanto quattro
anni prima, che sostituiva temporaneamente il maestro dei novizi
titolare, Fabio de Fabii. Nel registro della Compagnia di Gesù, tuttora
conservato, si legge un documento redatto da Valignano che
certifica l'avvenuta ammissione di «Mattheo Riccio da Macerata» e
testimonia che il giovane ha sottoscritto la consueta dichiarazione di
rinuncia a se stesso, per aderire totalmente alle Costituzioni della
Compagnia di Gesù8
e accettare «il modo di viver della Compagnia,
et essere indiferente et resi-gnato per esser admesso ad quel grado
et officio che la Compagnia giudicherà et facer quanto dalla
obedienza li sarà ordinato».
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