La scelta – Raffaella Spano

SINTESI DEL LIBRO:
Sei una troia, Charlie. Proprio come tua madre!»
«Ma vaffanculo», borbotto mentre riempio uno zaino con alcuni
ricambi che scovo nell'armadio della mia camera.
«Un'inutile troia che non serve a un cazzo!», continua a insultarmi
e batte i pugni con insistenza sulla porta chiusa a chiave. «Apri
subito e affrontami! Troia! Oppure hai paura?»
Digrigno i denti. Ne ho abbastanza.
«Esci, muoviti», batte un pugno più forte, facendomi trasalire. Do
un'occhiata alla porta e riprendo a infilare cose nello zaino.
Sono stanca di ritornare qui e quindi devo prendere quante più
cose possibili proprio per non doverci ritornare presto. Non ne posso
più di sentirlo parlare e offendermi ogni volta che metto piede in
questa casa. È troppo per me!
«Apri questa cazzo di porta, Charlie!» urla ancora e io chiudo lo
zaino con dei gesti nervosi e stizziti. Mi infilo una felpa larga e scura
e un berretto. Mi sistemo i leggings e gli anfibi ormai consumati.
Recupero gli ultimi risparmi da una scatola di latta conservata sotto il
letto e cammino a passo spedito verso la porta che apro con uno
scatto, trovandomi faccia a faccia con Johnny.
«Hai finito di rompere le palle?» sbotto acida.
«Dove cazzo vai?» nota il mio zaino in spalla e la camera alle mie
spalle diventare sempre più vuota.
«E a te che cazzo importa?»
Cerca di ostruirmi l'uscita, ma con una spallata riesco a
sorpassarlo e attraversare il corridoio. Ma lui mi sta alle calcagna.
«Stronza! A tua madre non importa nulla di te perché sei solo
capace di farti odiare da tutti. Per questo tuo padre si è tolto la vita.
Ne aveva fin sopra le palle di una figlia schifosa come te e di una
puttana come tua madre».
«Pensa ad ubriacarti di meno. Sei tu quello che fa schifo qui
dentro», dico tra i denti. Ormai ho imparato a non farmi scalfire dai
suoi insulti, anche se non ci ho mai dato peso. Johnny è uno
stomachevole alcolista che mia madre ha avuto la malsana idea di
scegliersi come compagno dopo la morte di mio padre, avvenuta
tragicamente cinque mesi fa. Ancora non supero il lutto e ancora mi
incolpo per l'accaduto!
Batto i pugni sulla porta della camera da letto di mia madre, con
Johnny alle mie spalle che continua ad insultarmi e a reggersi a
stento sulle gambe.
«Mamma! Mamma!» urlo e lei viene ad aprirmi, dopo qualche
secondo, mezza nuda, con il trucco colato e gli occhi socchiusi.
«Ma che cazzo succede? Cos'è questo chiasso? Sto cercando di
riposare, cristo santo». La spingo di lato e mi intrufolo nella sua
camera, che puzza di marijuana e alcol, e metto a soqquadro i
cassetti per cercare qualcosa di valore da poter rivendere.
«La stronza di tua figlia ci sta derubando», urla Johnny, venendo
verso di me per fermarmi. Ma intanto ho già recuperato un vecchio
braccialetto d'oro di mia madre e la vecchia fede nuziale.
«Metti giù quella roba, Charlie» biascica mia madre, ma io non le
do ascolto. E prima che Johnny mi tolga di mano il bottino, recupero
la glock dal fondo del cassetto e gliela punto contro.
«Fai un altro passo e ti sparo in mezzo agli occhi, schifoso
ubriacone del cazzo!» dico con tutto l'odio e la rabbia che provo
verso di lui.
Johnny si arresta all'istante. Quell’unico neurone nel suo cervello
capisce il pericolo, anche se la pistola è scarica, ma lui non lo sa. E
leggo la confusione sul suo viso invecchiato dall'alcol e segnato da
una vita schifosa, fatta di due matrimoni falliti alle spalle e tre figli
grandi che non intendono stringere legami con lui. Li capisco
perfettamente. E comunque, la pistola ce l'aveva messa mio padre
in quel cassetto, anni e anni fa, dopo un tentativo di furto che
subimmo, e credeva di poter spaventare così i futuri ladri che
sarebbero venuti a farci visita, me nessuno dei due qui presenti
sapevano di avere in casa un’arma.
«Dai, tesoro. Mettila giù», mormora mia madre, senza troppa
enfasi. Se ne frega di quello che prova la sua unica figlia poiché la
sua preoccupazione più grande è quella di avere abbastanza roba in
casa da fumare o da bere.
«Fai togliere prima 'sto coglione dalla mia vista! Non voglio più che
mi rivolga la parola», sbotto amareggiata. Sono stanca di questa
casa, di vedere mia madre ridotta in questo stato pietoso e di dover
combattere con Johnny ogni volta che metto piede qui dentro. Mi dà
il tormento con i suoi insulti e suoi tentativi di palpeggiarmi, o di
stuprarmi. Più volte l'ho scampata e ora è arrivato il momento di
porre fine a tutto questo!
«John, levati da lì. Falla andare via», dice mia madre,
ritornandosene a letto, come se la questione non la sconvolgesse
affatto. Non le importa nulla che il suo compagno ci provi
costantemente con la figlia. E lei? Non mi difende, non mi considera
e non mi caga per niente! Preferisce starsene a letto, con il culo
all'aria, svestita e strafatta.
Quella donna non è affatto mia madre!
«La lasci andare con le nostre cose?» replica Johnny. «Si merita
dei bei ceffoni. E se non sei disposta a tirarglieli tu, ci penso io a
farla rigare dritto», continua, fissandomi con disprezzo.
«Azzardati solo ad avvicinarti, e te ne pentirai!» Sentenzio
stringendo la mano sull'impugnatura della pistola e l'indice sul
grilletto, ma lui mi risponde sputando a pochi centimetri dai miei
piedi, dopodiché si slaccia la cintura dei pantaloni. E sono costretta a
girare la testa se non voglio ammirare il disgustoso spettacolo dei
suoi genitali che tira fuori dai pantaloni. Poi, sento le molle del
materasso che cigolano e intuisco che ci sia salito sopra, per
scoparsi mia madre sotto i miei occhi. E lei, ormai con il senno
completamente perduto, lo accoglie con dei gridolini eccitati che mi
fanno salire la bile.
Mi rifiuto di stare un secondo di più ed esco sbattendo la porta,
riponendo la pistola in camera mia che chiudo meticolosamente a
chiave, a doppia mandata. E poi, scappo via. Mi lascio investire
dall'aria gelida della sera e cammino lungo il marciapiede con il capo
chino e le mani infilate nelle tasche della felpa, contando i passi fino
alla fermata dell'autobus.
Le luci natalizie, montate già con largo anticipo, illuminano la mia
passeggiata solitaria e mi stupisco di come la gente sia già in estasi
per i preparativi, senza capire che questa insulsa festa è stata
inventata solamente per consolidare il consumismo. Regali,
decorazioni, alberi, cibo, vestiti a tema... tutte stronzate per ritrovarsi
con le tasche vuote e mangiare pasta asciutta nei mesi successivi,
riciclando o rivendendo addirittura i regali ricevuti, solo per poter
rientrare nelle proprie ristrettezze economiche.
Che strana la gente! Non possono semplicemente fare del Natale
un giorno qualsiasi? Beh, anche se un tempo non la pensavo affatto
così. Ero esattamente come questa gente che scorrazza avanti e
indietro per accaparrarsi l'albero migliore, anzi, eravamo. Perché
eravamo una vera famiglia e ora non lo siamo più. E quale Dio vuole
tutto questo? Non dovrebbero essere tutti felici nel giorno dedicato a
Gesù bambino? Non meritiamo un po' tutti un abbraccio o una
misera fetta di panettone? Evidentemente no. Qualcuno è destinato
a rimanerne fuori a pensare che un Dio benevolo non esiste affatto.
Ma forse, nel mio caso, esiste un Dio vendicativo capace di
annientare un povero essere umano dopo aver infranto uno dei suoi
dieci comandamenti. E allora, forse, me lo merito proprio un Natale
solitario.
Questa sono io. Charlotte McQueen. Charlie per tutti quelli che mi
conoscono.
E benvenuti nella mia merdosa vita.
2:
Siamo creature stupide e incostanti, con la memoria corta e un grandissimo talento per
l’autodistruzione. (Hunger games)
Riesco a racimolare centocinquanta dollari con i gioielli di mia
madre, gli ultimi regali rimasti che mio padre le aveva donato. Ma so
di non averlo fatto rivoltare nella tomba perché mi servono per
portare avanti questa vita ormai diventata davvero invivibile per me.
Ritorno al motel dove mi sono stabilita da quando Johnny è
comparso nella mia vita, e mi avvicino a Mary, la proprietaria, che
sta completando l'ennesimo cruciverba.
«Ciao Mary. Ecco una parte dell'affitto», le metto una banconota
da cento sul bancone. «Il resto te lo porto in settimana. Lo
prometto».
Alza gli occhi dal color della nocciola, perfettamente truccati, da
sopra le lenti spesse, dalla forma cat eye, e poi guarda la banconota.
Lascia perdere il rompicapo e l'afferra per ficcarsela tra i seni. «Lo
sai che mancano altri centocinquanta, vero?»
«Lo so. Sto cercando un secondo lavoro per rientrare nelle
spese».
«Mio marito ha staccato l'acqua calda per la tua stanza e anche il
riscaldamento. Non li riattiverà fin quando non avrai pagato».
Sbuffo. «Okay. Al diavolo tuo marito e il riscaldamento che
neanche funziona a dovere, ma ho bisogno di tempo, Mary. Solo
qualche giorno e ti darò tutto. Lo sai che non ho un altro posto dove
andare...» la imploro.
Lei mi fissa, compassionevole. «Le cose a casa tua peggiorano
sempre?»
Annuisco, abbassando lo sguardo sulle mie mani.
«Tua madre come sta?»
«Non la riconosco più», ammetto con un sussurro.
Lei sospira, poi si alza dallo sgabello per frugare qualcosa da
sotto il bancone e mi passa una coperta di lana. «È una serata
abbastanza fredda. Quella in camera non ti basterà».
«Grazie, Mary. Per tutto». Le stringo le mani e poi prendo la
coperta con un largo sorriso.
«Non ringraziarmi. Voglio solo che tu stia bene. Ti stai
ammazzando di lavoro...»
«Sto bene. Lavorare mi fa bene. Puoi stare tranquilla». Sorrido
ancora e poi mi rifugio nella mia camera piccola e angusta, e adesso
anche gelida. Ripongo le mie cose in un cassetto rotto e mi
raggomitolo sotto le due coperte di lana, sperando che questa notte
scivoli via velocemente.
E dopo essere stata svegliata da una coppia che ci ha dato dentro
per due interminabili ore al piano di sopra, dallo sciacquone della
camera accanto e dagli addetti alla pulizia stradale, mi decido ad
affrontare la doccia ghiacciata e a darmi una sistemata per una
nuova giornata di lavoro.
Indosso la divisa del Supermarket Spinny, e la solita felpa per
ripararmi dal freddo, che diventa ogni giorno sempre più intenso. Do
un po' di luce e di colore al mio viso pallido e stanco con del trucco
non troppo carico e lego la mia chioma scura in una coda alta, e il
brontolio del mio stomaco mi ricorda che non tocco cibo da ieri a
pranzo.
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