La decomposizione dell’angelo – Mishima Yukio

SINTESI DEL LIBRO:
La nebbia, al largo, avvolgeva di mistero le navi lontane.
Nondimeno la luce all’orizzonte era più intensa del giorno prima, e si
distinguevano le cime della penisola di Izu. Il mare di maggio era
quieto. Il sole splendeva abbagliante, e nel cielo azzurro si scorgeva
solo qualche leggera striatura di nuvole.
Minuscole onde si frangevano sulla riva. Poco prima di frangersi,
mostravano all’altezza del ventre dai colori d’usignolo una sorta di
sensualità, come se racchiudessero la lascivia di tutte le alghe
marine. Il sommuoversi del mare, giorno dopo giorno, iterazione
quotidiana del mare di latte della leggenda indiana. Forse il mondo
non vuole che esso riposi. Forse nell’immobilità c’è qualcosa che
evoca tutto il male della natura. Il rigonfio mare di maggio, che
muove incessante e senza tregua i suoi punti luminosi, una miriade
di scintillanti aghi sottili.
Tre uccelli nell’alto del cielo sembrarono unirsi in volo, poi si
separarono prendendo ognuno la propria direzione. In quell’unirsi e
separarsi c’era qualcosa di arcano. Doveva significare qualcosa,
arrivare così vicini da sentire il vento spostato dalle ali dell’altro, e
poi volare via lontano separati dall’azzurra distanza. Allo stesso
modo, talvolta, tre idee si uniscono nel nostro cuore.
Lo scafo nero di un piccolo cargo aveva sulla ciminiera
l’emblema di una montagna sopra tre linee orizzontali. La sua
massa, vista da dietro mentre prendeva il largo, dava un senso di
grandezza e di crescita improvvisa.
Alle due del pomeriggio, il sole si ritirò in un sottile bozzolo di
nuvole, come un bianco baco scintillante.
L’orizzonte era un anello di acciaio nero bluastro, perfettamente
combaciante col mare.
Per un istante, in un solo punto al largo, un’onda bianca si alzò
come una candida ala, poi subito ricadde. Cosa significava? Doveva
essere un maestoso segnale, o forse un maestoso capriccio.
La marea saliva lentamente, le onde si gonfiavano, la terra
subiva il più potente degli assalti. Il sole era dietro le nuvole e il
colore del mare era diventato di un sinistro verde cupo. Una lunga
linea bianca lo attraversava da oriente a occidente, formando una
sorta di immenso triangolo capovolto. Sembrava torcersi e
distaccarsi dalla piatta superficie; più vicino, verso il vertice, linee
nerastre si allargavano a ventaglio, perdendosi nell’oceano verde
scuro.
Il sole spuntò di nuovo, e di nuovo il mare si trasformò nella
placida dimora della bianca luce. Poi, agli ordini del vento di sudovest, innumerevoli onde simili a dorsi di otarie si mossero verso
nord-est, innumerevoli branchi di onde lontane dalla riva. I flutti
erano tenuti sotto stretto controllo dalla luna lontana.
Nuvole a pecorelle coprivano a mezzo il cielo, ritagliando
dolcemente il sole con il loro contorno superiore.
Due pescherecci si allontanavano dalla riva. Più in là, si vedeva
un cargo. Il vento era rinforzato. Un’imbarcazione da pesca si
avvicinava da occidente, e col rumore del suo motore sembrava
annunciare l’apertura di una cerimonia. Era una povera piccola
barca, e, non avendo né ruote né gambe, sembrava incedere con la
fiera grazia di una dama in abito da sera.
Verso le tre, le nuvolette si assottigliarono. Quindi nel cielo a sud
altre nuvole si aprirono a ventaglio come la candida coda di una
tortora, gettando un’ombra profonda sull’oceano.
Il mare, un mare senza nome, il Mediterraneo, il Mar del
Giappone, la baia di Suruga, lì davanti ai suoi occhi; un’anarchia
anonima, ricca e assoluta, catturata dopo grandi lotte e denominata
“mare”, e che in fin dei conti rifiuta quel nome.
Quando il cielo si rannuvolò, il mare cadde in una cupa
contemplazione, punteggiato da meravigliose sfumature d’usignolo.
Simile a un ramo di rosa, era cosparso di spine ondose. In quelle
stesse spine c’era l’impronta di una tenera creazione. Le spine del
mare sono tenere e levigate.
Le tre e dieci. Nessuna nave all’orizzonte.
Molto strano. L’intera distesa era abbandonata.
Non si vedevano neanche le ali dei gabbiani.
Poi al largo comparve una nave fantasma, ma subito sparì
dirigendosi verso occidente.
La penisola di Izu era avvolta dalla nebbia. Per un po’ cessò di
essere la penisola di Izu e si trasformò nel proprio fantasma. Poi
scomparve del tutto. Era diventata solo il disegno di una mappa. La
penisola e le navi appartenevano nello stesso modo all’“assurdità
dell’esistenza”. Apparivano e sparivano. In cosa si differenziavano?
Se il visibile era la summa dell’esistenza, allora il mare, fin quando
non era immerso nella bruma, esisteva. Era sempre pronto a
lanciarsi nell’esistenza.
Una sola nave mutò tutto.
Mutò l’intera composizione. Squarciando tutto il model lo
dell’esistenza, una nave fu accolta dall’orizzonte. Atto di
abdicazione. L’intero universo fu gettato via. Una nave era
comparsa, per gettar via l’universo che aveva garantito la sua
assenza.
Molteplici mutamenti, attimo dopo attimo, dei colori dell’oceano.
Mutamenti delle nuvole. E l’apparizione di una nave. Cosa sta
accadendo? Di cosa si tratta? Ogni istante accade qualcosa di più
grave dell’esplosione del Krakatoa.2
Solo che nessuno se ne
accorge. Siamo troppo abituati all’assurdità dell’esistenza. Non vale
la pena di preoccuparsi tanto per la perdita di un universo.
Gli accadimenti sono i segnali di un’interminabile ricostruzione e
riorganizzazione. Rintocchi di una lontana campana. Una nave
appare e fa risuonare la campana. In un istante il suono si appropria
di ogni cosa. Sul mare i segnali sono incessanti, la campana suona
in eterno.
Un essere.
Non necessariamente una nave. Un solo mandarino estivo
apparso chissà quando. È sufficiente a far risuonare la campana.
Le tre e mezza. Un solo mandarino estivo rappresenta l’esistenza
nella baia di Suruga.
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