Il signore della guerra. Le storie dei re sassoni – Bernard Cornwell

SINTESI DEL LIBRO:
Non molto tempo fa mi accadde di entrare in un monastero. Non ricordo
più quale; so solo che si trovava nelle terre che un tempo facevano parte della
Mercia. Stavo tornando a casa e viaggiavo scortato da alcuni uomini, in una
giornata invernale così umida che tutti noi sentivamo il bisogno di ripararci,
scaldarci e nutrirci, ma i monaci si comportarono come se davanti alla loro
porta si fosse presentata una banda di norvegesi. Uhtred di Bebbanburg era
entrato nelle loro mura e la mia fama era tale che i religiosi si aspettavano che
da un momento all’altro cominciassi a massacrarli. «Voglio soltanto un po’ di
pane», riuscii finalmente a spiegare, «e formaggio, se ne avete, con un
boccale di birra.» Gettai alcune monete sul pavimento. «Pane, formaggio,
birra e un letto caldo. Nient’altro!»
L’indomani mattina pioveva a dirotto, quasi fosse la fine del mondo, perciò
attesi che il vento e le intemperie si sfogassero. Vagai nel monastero finché
non mi trovai in un umido corridoio dove tre monaci dall’aria triste erano
intenti a copiare manoscritti, tenuti d’occhio da un monaco più anziano, con i
capelli bianchi e un’espressione arcigna e risentita, una stola di pelliccia sulla
tonaca e, in mano, uno staffile di cuoio, di cui senza alcun dubbio si serviva
per stimolare la laboriosità dei tre copisti. «Non devono essere disturbati,
signore», ebbe l’impudenza di dirmi in tono di rimprovero. Sedeva su uno
sgabello accanto a un braciere, il cui calore non raggiungeva i tre scrivani.
«Le latrine non sono state pulite a dovere», replicai, «e tu te ne stai qui a
far niente.»
Dopo aver tappato la bocca al vecchio monaco, sbirciai da sopra le spalle
dei copisti imbrattati d’inchiostro. Uno giovane con il viso smorto, le labbra
tumide e un enorme gozzo, stava trascrivendo una biografia di san Ciarano in
cui si raccontava come quest’ultimo fosse riuscito a edificare una chiesa in
Irlanda grazie all’aiuto di un lupo, un tasso e una volpe, una tale idiozia che
neppure il giovane monaco poteva crederci, a meno che non fosse ancora più
stupido di quanto sembrasse. Il secondo era impegnato in qualcosa di più
utile, copiava l’atto di donazione di un terreno, anche se probabilmente si
trattava di un falso. Nei monasteri vige l’usanza di inventare di sana pianta
documenti dai quali risulti che qualche antico re di cui ormai si è quasi perso
il ricordo abbia lasciato in eredità alla Chiesa una ricca proprietà terriera, così
da poter costringere il legittimo proprietario a cedere la tenuta o a versare, a
mo’ di indennizzo, un’enorme somma di denaro. Avevano provato a farlo
anche con me, ma quando il prete mi aveva portato quella prova fasulla ci
avevo orinato sopra, poi avevo messo a guardia del terreno contestato venti
guerrieri armati di spada e avevo mandato a dire al vescovo che poteva venire
a prenderselo quando gli pareva e piaceva. Non si era mai fatto vedere. La
gente racconta ai propri figli che per avere successo bisogna lavorare sodo e
vivere in modo frugale, una stupidaggine che fa il paio con quella secondo
cui un tasso, una volpe e un lupo sarebbero in grado di costruire una chiesa.
Per accumulare grandi ricchezze bisogna invece diventare vescovi cristiani o
abati di un monastero: loro si ritengono autorizzati da Dio a mentire,
ingannare e rubare.
Il terzo giovane stava copiando un testo di cronaca. Spostai di lato il
calamo, così da poter vedere cosa aveva appena scritto. «Sai leggere?» mi
chiese il vecchio monaco. Formulò quella domanda cercando di dare alla
propria voce un tono innocente, senza però riuscire a nascondere
un’inconfondibile venatura di sarcasmo.
«’Nel suddetto anno’», lessi a voce alta, «’i pagani irruppero nuovamente
nel Wessex ed erano una moltitudine, un’orda come non se n’erano mai viste
prima, che mise a ferro e fuoco tutte le terre, affliggendo le genti timorate di
Dio finché, per grazia di Nostro Signore Gesù Cristo, non arrivò in loro
soccorso Lord Æthelred di Mercia: alla testa del suo esercito, si scontrò con i
pagani a Fearnhamme e li sterminò.’» Indicai il testo con un dito. «A che
anno si allude?» domandai al copista.
«All’anno del Signore 892», rispose lui nervosamente.
«Che cos’è questa roba?» chiesi di nuovo, sfogliando il fascio di
pergamene che stava copiando.
«Sono annali», rispose il vecchio monaco al posto del giovane, «gli annali
di Mercia. Ne esiste una sola copia, signore, e noi ne stiamo facendo
un’altra.»
Tornai a guardare la pagina fresca d’inchiostro. «E sarebbe stato Æthelred
a salvare il Wessex?» proruppi indignato.
«Proprio così», disse il vecchio monaco, «con l’aiuto di Dio.»
«Di Dio?» ringhiai. «Grazie al mio, di aiuto! Io ho combattuto quella
battaglia, non Æthelred!» Nessuno dei monaci parlò. Si limitarono a fissarmi.
Uno dei miei uomini, apparso nell’ingresso che dava sul chiostro, si appoggiò
alla parete con un sorriso beffardo che mise in mostra la bocca quasi sdentata.
«C’ero io, a Fearnhamme!» aggiunsi, poi afferrai l’unica copia degli annali di
Mercia e girai le dure pagine. «’E sempre nel suddetto anno’», continuai a
voce alta, «’per grazia di Dio, Lord Æthelred e l’adelingo Edoardo
condussero gli uomini di Mercia a Beamfleot, dove Æthelred conquistò un
ricco bottino e fece strage di pagani.’» Fissai il vecchio monaco. «Alla testa
dell’esercito c’erano Æthelred e Edoardo?»
«Così si dice, signore», rispose frettolosamente. Il tono di sfida era sparito.
«C’ero io al comando, bastardo», replicai. Afferrai quindi le pagine appena
copiate e gli originali e mi avvicinai al braciere.
«No!» protestò il vecchio.
«Sono tutte menzogne», ribattei.
Il vecchio sollevò una mano, in un gesto conciliante. «Da quarant’anni,
signore», disse con voce umile, «si compilano e si conservano questi
resoconti dei fatti avvenuti in Mercia. Sono la storia del nostro popolo! Ed è
l’unica copia!»
«Non dicono il vero», ribadii. «Io c’ero. Sia sulla collina di Fearnhamme,
sia nel fossato di Beamfleot. C’eri anche tu?»
«A quei tempi ero solo un bambino», fece il monaco.
Poi, vedendomi gettare i manoscritti nel braciere, emise uno strillo
inorridito e tentò di togliere le pergamene dal fuoco, ma io gli allontanai la
mano con un colpo. «Io c’ero», ripetei fissando i fogli che si accartocciavano
e crepitavano prima che le fiamme divampassero lungo i bordi. «Ero lì.»
«Il lavoro di quarant’anni!» esclamò il monaco incredulo.
«Se tutti voi volete sapere come andarono realmente le cose », dissi,
«venite a trovarmi a Bebbanburg e ve lo dirò.»
Non vennero mai. Com’era prevedibile, non si fecero vedere.
Ma io c’ero, a Fearnhamme, e fu lì che cominciò la storia che sto per
raccontare.
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