Il mistero dei tre quarti. Un nuovo caso per Hercule Poirot – Sophie Hannah

SINTESI DEL LIBRO:
Hercule Poirot sorrise tra sé mentre il suo autista fermava
l’automobile con soddisfacente simmetria. Da buon amante della
precisione e dell’ordine, Poirot apprezzò l’allineamento perfetto con la
porta d’ingresso di Whitehaven Mansions, dove abitava. Si poteva
tracciare una linea retta dal centro del veicolo all’esatto punto
d’incontro dei due battenti.
Il pranzo dal quale tornava era stato un très bon divertissement: cibo
e compagnia ottimi. Scese, rivolse un caloroso ringraziamento
all’autista, e un attimo prima di entrare ebbe la strana sensazione che
(fu così che la descrisse nella sua mente) qualcosa dietro di lui
richiedesse la sua attenzione.
Si voltò, convinto che non avrebbe notato niente fuori
dall’ordinario. Era una giornata mite per il mese di febbraio, ma forse
un leggero venticello aveva smosso l’aria intorno a lui.
Ben presto si accorse che il turbamento non era stato causato dal
clima, anche se in effetti la donna elegante che gli si avvicinava di
gran carriera, pur indossando un cappotto e un cappello azzurri
all’ultima moda, somigliava a una forza della natura. «È una violenta
tromba d’aria» mormorò Poirot.
Il cappello non gli piaceva. Aveva visto donne in città portarne di
simili: sobri, senza fronzoli, che aderivano al cranio come cuffie da
bagno di stoffa. Un cappello necessitava di una tesa o di qualche
forma di ornamento, pensò. Quantomeno, non doveva limitarsi a
coprire la testa. Di certo si sarebbe abituato in fretta ai cappelli
moderni, e a quel punto la moda sarebbe cambiata, come sempre.
Le labbra della donna vestita di azzurro si contrassero e si
arricciarono, ma non ne uscì alcun suono. Era come se stesse
ripetendo le parole che avrebbe detto quando, infine, lo avesse
raggiunto. Era senz’altro lui il suo obiettivo. Sembrava determinata a
fargli qualcosa di spiacevole non appena fosse stata abbastanza vicina.
Poirot fece un passo indietro mentre la donna marciava verso di lui in
quella che gli parve a tutti gli effetti una carica, condotta solo ed
esclusivamente da lei.
La donna aveva i capelli castano scuro e lucenti. Quando si fermò
bruscamente di fronte a lui, Poirot notò che non era giovane come gli
era sembrata da lontano. No, superava i cinquant’anni. Poteva averne
sessanta. Una donna di mezza età, esperta nel celare le rughe del viso.
Gli occhi erano di un blu straordinario, né chiaro né scuro.
«Siete Hercule Poirot, vero?» disse con un sussurro ben udibile.
Poirot notò che voleva comunicare la propria rabbia senza che altri la
sentissero, anche se non c’era nessuno nei paraggi.
«Oui, madame. In persona.»
«Come avete osato? Come avete osato mandarmi una lettera del
genere?»
«Madame, chiedo scusa, ma non credo che voi e io ci conosciamo.»
«Non fate l’innocentino con me! Sono Sylvia Rule. E lo sapete
benissimo.»
«Ora lo so perché me lo avete detto voi. Un attimo fa non ne avevo
idea. Avete accennato a una lettera…»
«Volete costringermi a ripetere in un luogo pubblico le calunnie che
mi avete rivolto? E sia, vi accontento. Ho ricevuto una lettera questa
mattina, una lettera oltremodo disgustosa e riprovevole, firmata da
voi.» La donna infilzò l’aria con l’indice, e lo avrebbe colpito al petto se
Poirot non avesse fatto un balzo laterale per schivarlo.
«Non, madame…» provò a obiettare, ma il tentativo di negare
l’accaduto venne prontamente demolito.
«In questa farsa di lettera mi avete accusato di omicidio. Di
omicidio! Io! Sylvia Rule! Avete affermato di poter dimostrare la mia
colpevolezza, consigliandomi di recarmi subito alla polizia per
confessare il mio crimine. Come avete osato? Non potete dimostrare
niente contro di me, per il semplice fatto che sono innocente. Non ho
ucciso nessuno. Sono la persona meno incline alla violenza che abbia
mai incontrato. E non ho mai sentito nominare questo Barnabas
Pandy!»
«Barnabas…»
«È mostruoso che voi accusiate proprio me, fra tutti! Semplicemente
mostruoso. Non intendo tollerarlo. Sarei tentata di sottoporre la
questione al mio avvocato, ma non voglio fargli sapere che sono stata
calunniata in questo modo. Magari andrò alla polizia. Che ingiuria ho
dovuto subire! Che oltraggio! Una donna con la mia reputazione!»
Sylvia Rule proseguì su questa linea per un po’. C’erano molti sibili
e gorgoglii nel suo mormorio agitato. Quella donna gli ricordava le
cascate fragorose e tumultuose che aveva incontrato nei suoi viaggi:
sbalorditive da guardare, ma perlopiù allarmanti nella loro
inesorabilità. Il loro corso non si arrestava mai.
Non appena riuscì a farsi ascoltare, Poirot disse: «Madame, vi
prego di credermi quando vi garantisco che non ho mai scritto una
lettera del genere. Se l’avete ricevuta, non sono stato io a spedirla. Per
giunta, neanch’io ho mai sentito nominare questo Barnabas Pandy. È
il nome dell’uomo che siete accusata di aver assassinato, da chiunque
abbia scritto la lettera?».
«L’avete scritta voi, e non provocatemi ulteriormente fingendo di
non averlo fatto. È stato Eustace a istigarvi, non è così? Sapete
entrambi che non ho ucciso nessuno, che sono la persona più
innocente sulla faccia della terra! Voi ed Eustace insieme avete
escogitato un piano per farmi uscire di senno! È proprio il genere di
cosa che farebbe lui, e di sicuro poi affermerà che è stato tutto uno
scherzo.»
«Non conosco nessun Eustace, madame.» Poirot ci stava mettendo
il massimo impegno, tuttavia era chiaro che le sue parole non
facevano la minima differenza per Sylvia Rule.
«Si crede così furbo, l’uomo più furbo d’Inghilterra!, con quel
ghigno disgustoso sempre stampato sulla sua faccia orrenda. Quanto
vi ha pagato? Sono certa che è stata un’idea sua. E voi avete fatto il
lavoro sporco. Voi, il famoso Hercule Poirot, che gode della fiducia
della nostra leale e solerte polizia. Siete un impostore! Come avete
potuto? Denigrare una donna buona come me? Eustace farebbe di tutto
pur di sconfiggermi. Di tutto! Qualunque cosa vi abbia detto sul mio
conto è una bugia!»
Se fosse stata disposta ad ascoltare, Poirot avrebbe potuto spiegarle
che era improbabile che lui collaborasse con un uomo convinto di
essere il più furbo d’Inghilterra, almeno fino a quando lui, Hercule
Poirot, avesse abitato a Londra.
«Vi prego, madame, mostratemi questa lettera che avete ricevuto.»
«Credete che l’abbia tenuta? Mi sentivo male solo ad averla in
mano! L’ho strappata in una decina di pezzi e l’ho gettata nel fuoco.
Vorrei tanto buttarci Eustace, nel fuoco! Peccato che simili azioni siano
contro la legge. Posso solo dire che chiunque abbia fatto quella legge
in particolare non ha conosciuto Eustace. Se mai doveste calunniarmi
di nuovo in questo modo, andrò subito a Scotland Yard: non per
confessare qualcosa, visto che sono del tutto innocente, ma per
accusare voi, Mr Poirot!»
Prima che Poirot potesse formulare una risposta appropriata, Sylvia
Rule si era già voltata e se n’era andata a passo di marcia.
Lui non la richiamò. Rimase lì qualche secondo, scuotendo piano la
testa. Mentre saliva i gradini del suo palazzo mormorò tra sé: «Se lei è
la persona meno incline alla violenza, spero di non incontrare mai
quella più incline».
Nell’appartamento spazioso e ben ammobiliato lo attendeva il suo
maggiordomo. Il sorriso un po’ forzato di George si trasformò in
un’espressione costernata quando lui vide il volto di Poirot.
«Vi sentite bene, signore?»
«Non. Sono perplesso, Georges. Ditemi, giacché voi siete bene
informato sui gradini più elevati della società inglese… conoscete una
certa Sylvia Rule?»
«Solo di fama, signore. È la vedova del defunto Clarence Rule. Ha
relazioni di altissimo livello. Se non sbaglio, è nel consiglio di
amministrazione di varie organizzazioni benefiche.»
«E che mi dite di Barnabas Pandy?»
George scosse la testa. «Questo nome mi giunge nuovo. La società
di Londra è l’area di competenza in cui sono specializzato, signore. Se
Mr Pandy vivesse altrove…»
«Non so dove viva. Non so se viva o se sia stato, forse, assassinato.
Vraiment, sul conto di Barnabas Pandy non potrei sapere meno di
quanto sappia al momento, sarebbe impossibile! Però, Georges,
guardatevi bene dal farne parola con Sylvia Rule, che immagina che io
sappia tutto di lui! Crede che io le abbia scritto una lettera in cui l’ho
accusata del suo assassinio, una lettera che nego di averle scritto.
Quella lettera non è opera mia. Non ho inviato alcun tipo di
comunicazione a Mrs Sylvia Rule.»
Poirot si tolse il cappello e il cappotto con meno cura del solito, e
consegnò entrambi a George. «Non è piacevole essere accusati di
qualcosa che non si è fatto. Bisognerebbe riuscire a ignorare le falsità,
ma in qualche modo prendono possesso della mente e generano una
forma spettrale di rimorso, come un fantasma nella testa, o nella
coscienza! Qualcuno è convinto che abbiate fatto questa cosa terribile,
e a poco a poco vi sembra di averla fatta davvero, anche se sapete che
non è così. Comincio a capire, Georges, perché le persone confessino
crimini dei quali sono innocenti.
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