Il conservatore- Nadine Gordimer

SINTESI DEL LIBRO:

  Uova di faraona.
Sterzando sui solchi che conducono al cancello del terzo
pascolo, domenica mattina, il proprietario della farm vede
all’improvviso una manciata di uova coperte di pallide
lentiggini schierate di fronte a un semicerchio di bambini.
Alcuni sono accovacciati; quello subito dietro le uova sta a
gambe incrociate, come un venditore al mercato. C’è
l’orgoglio del possesso nel sorriso levato timidamente verso
il farmer. Le uova sono disposte come biglie, gli altri bambini
si stringono intorno, ma si vede che a loro non è concesso
toccarle, a meno che quello a gambe incrociate non dia il
permesso. I piedi scalzi, le piccole natiche, hanno creato un
nido nell’erba morta, sia per le uova che per i bambini.
Lo stemma sul cofano dell’auto, a forma di lampo
prismatico, fa mostra di sé con una lama abbagliante
verticale-orizzontale. Questo è il punto in cui di solito, anche
se non si vede nessuno intorno, appare sempre un bambino
che attraversa di corsa il campo per aprire il cancello alla
macchina. Oggi invece il farmer tira il freno a mano, lascia il
motore acceso e smonta. Un ragazzino molto giovane, che
porta un maglione fatto tanto tempo prima per braccia molto
più lunghe delle sue ma troppo corto per coprire una pancia
nuda, corre al cancello e si ferma. Tutti gli altri sorridono
fieri intorno alle uova. Quello a gambe incrociate (porta un
vestito da donna, ma potrebbe essere un maschio) allunga le
mani sulle uova e, delicatamente, le accosta, lasciando che le
due più esterne gli rotolino in mano. Le uova sono vellutate
come camoscio, il guscio è spesso, poroso, lievemente
picchiettato. Di forma, sono più appuntite di quelle di
gallina; le palme rosa albicocca delle piccole mani nere
sembrano traslucide. L’unico suono è un respiro rumoroso e
impaurito di nasi moccicosi.
Fa una domanda a quello a gambe incrociate e scoppiano
delle risatine. Indica le uova, senza toccarle, e domanda di
nuovo.
I bambini non capiscono la lingua. Continua a parlare,
gesticolando. Il bambino dalle gambe incrociate piega la
testa di lato, sorridendo come sotto il peso di un elogio e
passa le uova da una mano all’altra.
Undici uova coperte di pallide lentiggini. L’intera covata di
una faraona.
Il bambino al cancello sta ancora aspettando. Il farmer
torna alla macchina, spegne il motore e si allontana a piedi
nella direzione da cui è arrivato. Ha lasciato la strada ed è
filato via attraverso il veld, saltando un donga asciutto e
atterrando con un agile scricchiolio sulla cosmea morta e
sull’erba color kaki che l’estate prima faceva da bordura. Sul
terreno compatto le suole di gomma strofinano le spazzole
fitte di erba morta, bruciata fino alle radici. Fa rotta verso il
compound; è proprio accanto al recinto dove di notte
vengono chiusi i vitelli. Il recinto quadrato, con bidoni di
benzina vuoti tagliati in due per farne mangiatoie, è vuoto; in
giro non c’è nessuno, da una fila di costruzioni in
calcestruzzo grigio la musica di una radio soffia come fumo
sonoro nel bel mattino terso: è domenica. Una donna spunta
da dietro le baracche di latta e fil di ferro che eclissano le
abitazioni o le integrano. Quando lo vede avvicinarsi rimane
assolutamente immobile, come una di quelle figure col sole
negli occhi catturate in una fotografia. Le chiede dov’è il
capomandriano. 

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