I guerrieri della tempesta Le storie dei re sassoni – Bernard Cornwell

SINTESI DEL LIBRO:

Un incendio bruciava nella notte. Le fiamme illuminavano il cielo e
offuscavano le stelle. Dense spirali di fumo si alzavano dalle lingue di fuoco,
nascondendo il territorio tra i due fiumi.
Finan l’irlandese mi svegliò. «Guai in vista», disse laconico.
Eadith si girò verso di me, ma io la respinsi. «Resta qui», le dissi,
sfilandomi da sotto le coperte. Cercai a tentoni un mantello di pelliccia
d’orso, me lo gettai sulle spalle e seguii Finan, uscendo in strada. Era una
notte senza luna, ma il chiarore dell’incendio permetteva di vedere la grande
coltre di fumo che si spingeva nell’entroterra, sospinta dal vento. «Dobbiamo
disporre altri uomini sulle mura!» ordinai.
«Già fatto», rispose Finan.
A quel punto non avevo altro da aggiungere. Potevo solo imprecare, e lo
feci.
«È Brunanburh», disse Finan in tono lugubre.
La via principale di Ceaster si stava riempiendo di gente. Anche Eadith era
uscita di casa, avvolta in un ampio mantello. Le lanterne che ardevano
accanto alla porta della chiesa facevano risplendere i suoi capelli rossi. «Che
cosa brucia?» chiese, con voce arrochita dal sonno.
«Brunanburh», le rispose Finan, con aria torva.
Eadith si fece il segno della croce e, quando estrasse la mano da sotto il
mantello per toccarsi la fronte, intravidi il suo ventre nudo, ma lei si affrettò a
nasconderlo sotto il pesante tessuto di lana.
«Loki», dissi ad alta voce. È il dio del fuoco, di cui i cristiani si ostinano a
negare l’esistenza. Tra tutti gli dei, è il più infido, il più imbroglione. Lui
inganna, incanta, raggira e ferisce. La sua arma a doppio taglio è il fuoco, con
cui può scaldarci e permetterci di cucinare il nostro cibo, ma anche ustionarci
o ucciderci. «C’è Æthelstan, laggiù», dissi, sfiorando il martello di Thor che
mi penzolava dal collo.
«Se è ancora vivo», commentò Finan.
Il buio non ci permetteva di fare niente. Durante il giorno, per arrivare a
Brunanburh si impiegavano almeno due ore a cavallo; di notte, non solo ci
avremmo messo molto di più, ma avanzando alla cieca tra i boschi avremmo
anche rischiato di cadere in un tranello degli uomini che avevano dato fuoco
a quel lontano burh. Dunque, potevamo solo sorvegliare il terreno circostante
dall’alto delle mura di Ceaster, per non essere colti di sorpresa da un
eventuale attacco sferrato alle prime luci dell’alba.
Non che avessi paura. Ceaster era stata edificata dai romani, perciò era una
delle fortezze più inespugnabili della Terra degli Angli. I normanni avrebbero
dovuto superare un fossato pieno d’acqua prima di poter assaltare con le scale
le nostre alte mura di pietra e, in ogni caso, avevano sempre dimostrato una
certa riluttanza ad attaccare città fortificate. Brunanburh, però, stava
bruciando. Chi poteva sapere quali novità avrebbe portato l’alba? Brunanburh
era il nostro burh più recente. Æthelflaed, che governava la Mercia, aveva
deciso di edificarlo in riva al fiume Mærse per sorvegliare la via d’acqua su
cui le navi normanne avrebbero potuto facilmente inoltrarsi nell’entroterra e
raggiungere il cuore della Terra degli Angli. Negli anni precedenti, c’era stato
un intenso viavai su quel fiume, con remi che andavano su e giù per far
avanzare controcorrente navi decorate con prue a forma di drago e stipate di
nuovi guerrieri pronti a combattere l’interminabile lotta tra normanni e
sassoni. Grazie al nuovo burh, però, il viavai era stato interrotto: a
Brunanburh, infatti, avevamo radunato una flotta di dodici navi, i cui
equipaggi potevano asserragliarsi dietro le spesse mura di legno del fortino, e
i normanni avevano imparato a temere quell’ostacolo. Ormai, chi
raggiungeva la costa occidentale della nostra terra proseguiva in direzione del
Galles oppure del Cumbraland, che era il fiero e selvaggio paese a nord del
Mærse.
Stavolta, invece, non era andata così e, sul fiume Mærse, si alzavano le
fiamme.
«Va’ a vestirti», dissi a Eadith. Nessuno avrebbe più dormito per quella
notte.
Lei si portò una mano alla croce tempestata di smeraldi che portava al
collo. «Æthelstan», mormorò, facendo scorrere la croce tra le dita, come se
stesse pregando per quel ragazzo che le era diventato tanto caro.
«Può essere vivo o morto, ma lo sapremo solo all’alba», replicai in tono
secco.
Poco prima che sorgesse il sole, partimmo al galoppo verso nord, seguendo
la strada selciata che passava in mezzo alle ombre del cimitero romano. Con
me c’erano sessanta guerrieri, tutti in sella a cavalli veloci che ci avrebbero
permesso di fuggire, se ci fossimo imbattuti in un’orda di normanni ululanti.
Avevo mandato alcuni uomini in avanscoperta, ma avevamo fretta e il tempo
stringeva, perciò ero stato costretto a rinunciare alla consueta precauzione di
aspettare il ritorno degli esploratori. Stavolta, sarebbero stati soltanto i loro
cadaveri a metterci in allerta. Raggiunto il bosco, abbandonammo la strada
romana e seguimmo il sentiero che già in passato avevamo aperto tra gli
alberi. Da ovest erano giunte nuvole e iniziò a cadere una fitta pioggerella,
ma davanti a noi il fumo non si dileguò. Un forte acquazzone avrebbe potuto
spegnere il fuoco di Loki, di certo non quella misera acquerugiola. Il fumo si
faceva beffe di noi e sembrava invitarci a raggiungerlo.
Uscimmo dal bosco e ci inoltrammo nei campi che si trasformavano in
terreno fangoso a mano a mano che ci si avvicinava al fiume. Lì, in
lontananza, verso ovest, sull’ampia distesa di acqua grigia dai riflessi
argentei, c’era una flotta. Venti o trenta navi, se non di più. Non era possibile
contarle, perché erano state ormeggiate l’una accanto all’altra, però riuscii a
vedere che i dritti di prua erano decorati con sagome di animali cari ai
normanni: aquile, draghi, serpenti e lupi.
«Buon Dio», disse Finan, inorridito.
Accelerammo l’andatura, seguendo una pista per il bestiame che correva a
zigzag sulla sponda meridionale del fiume. Il vento, con le sue raffiche
improvvise, faceva increspare l’acqua del Mærse e ci sferzava la faccia.
Mentre tentavamo di distinguere Brunanburh, compito non facile perché il
fortino era nascosto da un’alta palizzata, un fruscio improvviso al margine del
bosco tradì la presenza di umani. I due esploratori girarono i cavalli e
tornarono al galoppo verso di noi. Chiunque li avesse messi in allarme svanì
nel fitto degli alberi, sotto la protezione del fogliame primaverile, e poco
dopo si udì il suono di un corno: un richiamo funereo in quell’alba grigia e
umida.
«Non è il fortino che sta bruciando», disse Finan, poco convinto.
Invece di rispondergli, io lasciai la pista e mi spostai su un pascolo verde.
Gli esploratori mi raggiunsero in un baleno, con gli zoccoli dei cavalli che
lanciavano in aria ampie zolle d’erba gonfie d’acqua.

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