I Goldbaum – Natasha Solomons

SINTESI DEL LIBRO:
Palazzo Goldbaum era fatto di pietra, non d’oro. I bambini che
passeggiavano sulla Heugasse, con i loro cappottini abbottonati fino al collo e
la bambinaia o la Mutti che li teneva per mano, immancabilmente ci
restavano male. Avevano promesso loro il palazzo del Principe degli Ebrei,
fatto d’oro e d’avorio e presumibilmente tempestato di gemme, e invece era
solo un grande edificio di comunissima pietra chiara. Certo, la pietra bianca
più bella d’Austria, trasportata dalle Alpi fino a Vienna sulla ferrovia
costruita grazie a un prestito della banca Goldbaum, con un treno di proprietà
della compagnia ferroviaria Goldbaum dipinto con i colori di famiglia
azzurro e oro e adorno del suo stemma: cinque cardellini su un ramo di
sicomoro. Gli spiriti arguti amavano descriverlo come “gli uccelli sull’albero
dei soldi”. All’interno, l’ampio vestibolo risplendeva d’oro dal battiscopa al
culmine della copertura a cupola, tanto che persino nelle giornate più grigie la
luce riflessa si tingeva di sole. Si diceva che i Goldbaum fossero così ricchi e
potenti che nelle giornate uggiose noleggiavano il sole perché brillasse per
loro.
Di sera tutte le finestre si illuminavano e l’intera casa sfavillava come un
transatlantico ormeggiato fra le strade di Vienna. A volte, per i ricevimenti
più sontuosi, venivano liberati nel salone centinaia di cardellini che
frullavano e svolazzavano sopra le teste degli invitati. (Accompagnavano gli
uccellini un paio di dozzine di cameriere extra, il cui unico compito era di
ripulire le cacchette nell’istante stesso in cui toccavano il pavimento di
marmo: evidentemente esistevano limiti persino al potere dei Goldbaum.) In
ogni caso, accadeva ben poco dentro e fuori la capitale su cui non avessero
voce in capitolo, e meno ancora senza che ne fossero a conoscenza. Lo stesso
imperatore disprezzava i Goldbaum ma li sopportava, come si fa col
maltempo. Non poteva fare altrimenti. Possedevano loro il suo debito.
Il palazzo sulla Heugasse era semplicemente la manifestazione della loro
influenza. La vera fonte della loro ricchezza era una costruzione più piccola e
meno appariscente sulla Ringstrasse. Dietro il portone nero c’era la banca
Goldbaum, filiale austriaca della banca di famiglia. Gli uomini Goldbaum
erano tutti banchieri. Mentre le donne Goldbaum sposavano uomini
Goldbaum e producevano piccoli Goldbaum. Eppure la famiglia non si
considerava solo una dinastia di banchieri, ma anche una dinastia di
collezionisti.
I Goldbaum amavano collezionare la bellezza: mobili Luigi XVI di
squisita fattura, dipinti di Rembrandt, Leonardo e Vermeer, e poi grandi
dimore, ville e castelli in cui esporli. Collezionavano gioielli, uova Fabergé,
automobili, cavalli da corsa, e debiti di primi ministri. Anche Greta
Goldbaum seguiva la tradizione di famiglia. Lei collezionava guai. Era quella
la dote che Otto Goldbaum apprezzava di più nella sorella. Prima del suo
arrivo, la madre era andata a trovarlo nella nursery, si era cullata
solennemente sulla sedia a dondolo riservata a quello scopo e, con
l’assistenza della sua tata preferita, gli aveva spiegato che di lì a qualche
settimana avrebbe avuto un fratellino o una sorellina. Avevano bevuto
cioccolata calda nel servizio di porcellana in miniatura adorna dello stemma
di famiglia in oro a ventiquattro carati, sbocconcellando fettine di Sachertorte
decorata con volute azzurre e oro che il grand hotel preparava espressamente
per loro. Otto l’aveva ascoltata in silenzio, mentre osservava notevolmente
insospettito il sollevarsi e abbassarsi dell’ampio ventre della baronessa.
Eppure quando, quattro settimane più tardi, Greta aveva fatto la sua comparsa
nella nursery scortata dal suo personale esercito di bambinaie inamidate, non
si era minimamente scomposto. Per la prima volta nei suoi tre anni di vita,
Otto poteva contare su un’alleata. Di certo Greta sembrava appartenere più a
lui che ai genitori che abitavano al piano di sotto. La baronessa era
considerata una madre molto affettuosa perché andava a trovare la neonata
quasi tutti i giorni, mentre Otto veniva convocato a pranzo con il barone e la
baronessa almeno due volte alla settimana. Ascoltava attraverso la parete i
pianti e i gorgoglii della sorellina e, quando le bambinaie dormivano,
scivolava nella sua cameretta e si stendeva sul pavimento. Lo faceva così
spesso che le bambinaie finirono per rinunciare a sgridarlo e riportarlo nel
suo letto, e decisero invece di sistemare un lettino per Otto accanto alla culla
della piccola.
Greta non era la cocca delle tate. Non riuscivano mai a renderla carina
per le visite della mamma. I suoi capelli non erano lisci come quelli di Otto,
ma le si imbizzarrivano sulla testa in riccioli disordinati. Sulla chiazza pelata
del cocuzzolo, simile alla tonsura di un monaco, non spuntarono i capelli fino
a quasi i due anni d’età. Era sempre raffreddata. Quando cominciò a essere
più grandicella le bambinaie le dicevano spesso: «Se non fossi una Goldbaum
le prenderesti di santa ragione». Greta disse a Otto che stando così le cose era
felicissima di essere una Goldbaum, ma le dispiaceva terribilmente per tutti i
bambini che non lo erano, perché a quanto pareva passavano buona parte del
loro tempo a buscarle per marachelle di poco conto (sciogliere saponette nel
camino della nursery per farne argilla da modellare; nascondere cibo sgradito
dietro la credenza giocattolo finché non cominciava a puzzare dopo qualche
settimana; togliere la sella dal cavallo a dondolo e sellare il bracco preferito
di papà per poi montarlo fra le aiuole di tulipani). A Greta capitava spesso di
essere spedita a letto senza cena, a parte un po’ di pane e latte. Ma non le
importava. Tanto lei aveva Otto.
Il carattere di Otto era l’esatto contrario di quello della sorella. Se Greta
era impulsiva, Otto era cauto. Lei parlava e lui ascoltava. I capelli di Otto
erano perfettamente lisci, con la riga al centro impeccabile. Se Greta era in
continuo movimento, Otto ostentava una flemma che spesso sconcertava i
suoi coetanei; eppure non si considerava un tranquillo, la sua mente era
perennemente irrequieta e affaccendata, i pensieri così rumorosi. A Otto
occorreva tempo per arrivare a una decisione ma, una volta presa, agiva con
determinazione. Snello e di statura media, era però abile nella scherma e nella
boxe, traeva piacere dall’esercizio fisico e nell’anticipare le mosse
dell’avversario. Considerava entrambi gli sport una perfetta combinazione di
brutalità ed eleganza.
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