Fisica quantistica per poeti – Leon M. Lederman

SINTESI DEL LIBRO:
La serie televisiva Star Trek, con i suoi vari sequel,
racconta i viaggi intergalattici dell’astronave Enterprise, la
cui missione, inizialmente di cinque anni, è raggiungere
mete mai toccate dal genere umano. Grazie alla tecnologia
futuristica (e fantasiosa) di cui è dotata, è in grado di
viaggiare alla cosiddetta «velocità curvatura», assai
maggiore di quella della luce; di chiamare senza problemi il
comando della flotta, ad anni luce di distanza, via una
forma di «comunicazione subspaziale»; di analizzare a
distanza pianeti e astronavi aliene, dai cui eventuali
attacchi si difende a botte di «siluri fotonici». Ma la
tecnologia forse più nota e innovativa è quella che consente
ai membri dell’equipaggio di teletrasportarsi dall’astronave
alla superficie degli strani mondi che incontrano, dove si
trovano faccia a faccia con i capi di antiche civiltà, a volte
più avanzate di quella terrestre, a volte meno.
Ma mai nella lunga storia di Star Trek, né per quanto ne
sappiamo in qualsiasi altra serie di fantascienza, si sono
toccati i livelli di bizzarria raggiunti durante l’esplorazione
scientifica dell’universo nei primi trent’anni del XX secolo.
Anche in quell’occasione il viaggio fu lungo e avventuroso,
ma non nel senso di milioni e milioni di anni luce nello
spazio intergalattico: fu piuttosto l’esplorazione di
profondità ignote e sconosciute, all’interno degli oggetti più
piccoli tra i costituenti dell’universo, a scale di miliardesimi
di miliardesimi di millimetro.
Gli avanzamenti tecnologici e scientifici alla svolta del
secolo consentirono ai ricercatori-esploratori dell’epoca di
mettersi in contatto per la prima volta con una civiltà aliena
e formidabile: il mondo dell’atomo. Si trovarono di fronte a
un panorama incredibile, surreale e dalle profonde
implicazioni filosofiche. Sembrava quasi che le arti, la
musica e la letteratura dell’epoca (che si avvaleva tra gli
altri dello sguardo di Picasso, dell’orecchio di Schoenberg e
della penna di Kafka) procedessero a braccetto con la
scienza nello svelare mondi nuovi, sconosciuti e bizzarri,
nascosti nelle profondità segrete della natura.
Praticamente tutte le idee della scienza classica, tutte le
leggi fisiche enunciate e raffinate nei tre secoli precedenti,
per sofisticate e apparentemente provate che fossero, si
rivelarono del tutto sbagliate all’interno di questo strano e
nuovo mondo. Era come se il capitano Kirk e la sua
Enterprise fossero atterrati su un pianeta simile a quello
trovato da Alice dopo la sua caduta nella tana del coniglio.
Era una realtà diversa, che seguiva logiche da mondo dei
sogni. Un oggetto poteva sparire e apparire
istantaneamente in un altro posto. Un altro, duro e liscio
come pietra, sembrava perdere consistenza fino a diventare
una nebbia indistinta. I muri più solidi si potevano
attraversare senza sforzo. Tutto sembrava muoversi
all’impazzata nel tempo e nello spazio.
In questo strano mondo esistevano molte «particelle» di
materia, che se ne andavano in giro per i fatti loro. Ma a un
esame più attento, le cose si rivelavano più complicate: il
loro moto non era un semplice trasferimento dal punto A al
punto B, secondo le leggi stabilite da Galileo e Newton
trecento anni prima.1 No, queste particelle dette
«fondamentali», mattoni di cui è composto l’universo, come
ad esempio l’elettrone, sembravano esplorare tutti i
possibili percorsi in grado di portarle da A a B – e non uno
dopo l’altro, ma tutti simultaneamente! Le particelle erano
in ogni momento ovunque e in nessun luogo. Arrivavano a
destinazione dotate in modo misterioso di informazioni su
tutti i cammini a loro permessi, ma non c’era certezza di
sapere quale avessero davvero percorso. Gli scienziati nei
loro esperimenti provarono a interferire con questo
processo, bloccando alcuni possibili percorsi che portavano
da A a B, e si accorsero che in alcuni casi erano in grado di
influenzare il comportamento della particella (a volte
bastava un piccolo cambiamento in uno dei cammini
possibili per facilitare l’arrivo in B), ma in altri no.
Le particelle, questi puntolini di materia apparentemente
prive di meccanismi interni per contare il tempo o
memorizzare conoscenza, lasciano tracce ben visibili e
definite nei vari apparati rivelatori, che si tratti di punti
luminosi su uno schermo fluorescente o di «clic, clic,
clic…» in un contatore Geiger. Eppure, allo stesso tempo,
sembrano anche comportarsi come se fossero onde. C’è
sempre una componente indefinita nel loro moto, che
presenta l’analogo di creste e ventri, come nelle onde che
vediamo sulla superficie dei laghi e dei mari. Viceversa,
fenomeni sempre considerati ondulatori, come la luce o le
onde radio, si rivelarono essere composti da particelle.
Particelle che diventano onde e onde che diventano
particelle: o meglio, oggetti che sono allo stesso tempo un
po’ onda e un po’ particella, senza essere davvero né l’una
né l’altra. Sembravano leggi di natura concepite dalle
avanguardie artistiche dell’epoca.
Per farla breve, gli esploratori del primo Novecento
(aiutati da nuovi e sofisticati strumenti) si trovarono un
mondo cambiato letteralmente sotto il naso. Si accorsero
che l’universo funzionava secondo leggi del tutto diverse da
quelle ricavate nel corso dei tre secoli precedenti, secoli
illuminati che affondavano le loro radici nel Rinascimento.
Questo mutamento radicale di prospettiva nella nostra
visione del mondo si accompagnò alla nascita di una nuova
scienza di base: la fisica quantistica.
Gli scienziati che cercavano di barcamenarsi tra nuovi dati
sperimentali e nuove teorie relative al funzionamento degli
atomi non riuscivano più a utilizzare il linguaggio naturale
e le metafore che avevano accompagnato la fisica dell’era
classica, quella di Galileo e Newton: le parole sembravano
tristemente inadeguate a descrivere la nuova realtà. Si
dovette ricorrere a termini quali «incertezza»,
«indeterminazione» e «azione a distanza».
Alla fine saltò fuori un concetto inedito, la cosiddetta
«identità onda-particella», grazie al quale si riusciva a dar
conto del fatto che le onde a volte si comportavano come
particelle e viceversa, ma rimanevano molte perplessità. Le
implicazioni della fisica quantistica erano così strane che i
primi pionieri della teoria, forse per non impazzire, furono
spinti a negare che si trattasse di una autentica descrizione
della realtà: dicevano infatti di avere «solo» inventato nulla
più di un metodo matematico per far tornare i conti e
ottenere previsioni corrette sui risultati degli esperimenti.
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